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sia Frate Bartolommeo; e così tengono ancora gli Accademici della Crusca. Ma, fra le molte ragioni che potrebbersi addurre in contrario, basti solamente notare col Moschini, che si leggono in quell'opera alcune sentenze che putiscono di paganesimo e feriscono la cristiana carità; come ex. gr. son le seguenti. Niuna cosa può parere laida per rimedio di rendersi salvo. · Chi bene dissimula l'ingiuria, meglio si può vendicare. — Chi di vendicarsi teme, molti ne farà malvagi.-Gioiosa è la macula del sangue del nemico. Rimedio del dolore, a quello ch'è danneggiato, si è il dolore del nemico. E chi crederà volgarizzatore, anzi sceglitore di sì fatte sentenze il nostro buono e religiosissimo frate, il compilatore dell'Opera degli Ammaestramenti, e specialmente del Cap. Che le ingiurie si debbono perdonare, dispregiare e dimenticare? Nè fa forza che stia ne'MSS. quella Giunta in continuazione degli Ammaestramenti, perchè niente di più naturale, che la sola conformità della materia abbia indotto gli amanuensi a quivi trascriverla.

In nono luogo, la lettera indirizzata dall'Università di Parigi al Capitolo generale de'Frati Predicatori in occasione della morte di San Tommaso d'Aquino, ancor questa per alcuni errori, che per entro vi sono sparsi, avea mestieri di essere riveduta. Io non ho potuto rinvenirla in nessuno dei Codici che ho preso a svolgere, e mi sono aiutato solamente col lume della critica a raddirizzare

alcune parole, le quali è cosa da recar maraviglia come si sieno lasciate passare in tutte l'edizioni.

In decimo luogo, ho riscontrato co' Codici il Trattato della memoria artificiale, che in tutte l'edizioni va con degli errori; e coll'aiuto di essi e del testo latino ho potuto ridurlo a buona lezione. Credesi comunemente esser questo Trattato di Frate Bartolommeo, che prese a tradurlo, o diciam meglio a parafrasarlo dal terzo libro (1) della Rettorica ad Erennio. Ma, lasciando che in nessun Codice è riportato sotto il nome di lui, io tengo per fermo che non è lavoro della sua penna anche per le ragioni, che sono per accennare.

Prima di tutto il proemio, che è posto in fronte al suddetto Trattato, oltre al non aver nulla che fare col soggetto della memoria artificiale, è quel medesimo, tranne alcune parole mutate, che si legge nella Rettorica di Tullio (2), la quale nel Codice Riccardiano, segnato col N.o 2338, è assegnata a Bono Giamboni (3). Ora, è da credere che F. Bartolommeo volesse torre così di peso da un altro scrittore quel proemio, e, ciò ch'è più assurdo, inserirlo per introduzione in un Trattato di affatto disparata materia? Di più, il trattato incomincia così: « Memoria, ec. Qui comincia il sesto

(1) Erra il Manni che dice dal secondo libro.
(2) Pubblicata dal Manni, Firenze 1734.

(3) Il suddetto proemio si legge con poca differenza anche nel Fiore di Rettorica attribuito a Frate Guidotto da Bologna.

Trattato del libro, nel quale si dà dottrina come il dicitore la sua diceria a mente si possa tenere. Già abbiamo veduto della prima cosa, che al dicitore fa bisogno di sapere, cioè come ha a imparare di favellare perfettamente, in ciò che a te ho mostrato qual'è buona, qual'è composta, qual è ornata e qual'è ordinata favella, laonde a osservare la dottrina già detta la favella perfetta si rende. Or ti voglio mostrare della seconda cosa, che fa bisogno al dicitore di sapere, acciocchè perfettamente dica la sua diceria, cioè come la sua diceria si reca a memoria, ec. ». Qui comincia il sesto Trattato del libro, ec. Già abbiamo veduto della prima cosa .... in ciò che a te ho mostrato, ec. Or ti voglio mostrare della seconda, ec. Chi non vede per queste parole che quel Trattato, chiamato qui il sesto, seguitava ad altri cinque, ne' quali era dichiarato ciò che fa bisogno al dicitore per saper favellare perfettamente, e che sì di quello che di questi uno stesso fu certamente l'autore? Se dunque F.Bartolommeo avesse scritto il Trattato della memoria artificiale, dovrebbe aver dettati eziandio gli altri cinque, che sono quivi accennati. Aggiungasi che anche nel proemio si legge: e io udendo nella favella cotanta utilità, si mi venne voglia e talento, e a priego di certe persone, della Rettorica di Tullio e di altri detti di savi cogliere certi fiori, per li quali del modo di favellare dessi alcuna dottrina. Da ciò si fa manifesto che quello scritto serviva di prologo non al

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Trattato della memoria artificiale, ma ad un corpo di oratoria dottrina, che l'autore di esso prese a raccorre dalla Rettorica di Tullio, ossia dalla Rettorica ad Erennio, creduta anticamente di Cicerone. Ora, nessuno di coloro, che ci hanno dato esatta contezza delle opere di F. Bartolommeo, ha fatto alcun cenno d'aver egli messo insieme siffatto lavoro. Per lo che sono fermamente persuaso che il Trattato della memoria artificiale sia stato staccato dal corpo detto di sopra, e copiato separatamente dai menanti, e che si sia poscia creduto di F. Bartolommeo per sapersi ch'egli compose veramente di suo un Trattato dell'arte della memoria artificiale (1), e si sia così confuso l'uno coll'altro.

Finalmente, per servire al vantaggio della gioventù studiosa, e di quelli singolarmente che non fossero abbastanza addentro nella lingua de' nostri vecchi, ho riputato non dover esser opera affatto vana l'accompagnare gli Ammaestramenti e le altre operette di alcune note, le quali, fra le altre cose, dichiarino le voci e forme di dire proprie di quella età, e avvertano i leggitori quali di esse possano usarsi ancora oggidì, e quali, benchè per la maggior parte tuttora vive

(1) Il Manni afferma che a' giorni suoi questo Tratlato esisteva in un Codice della Libreria di San Marco di Firenze, ma ridondante a tal segno d'errori che, non potendo emendarli, depose il pensiero di pubblicarlo.

tra la nostra plebe, pure non sono più da entrare nelle buone scritture (1). Io le ho mantenute scrupolosamente nel testo, seguitando l'esempio del Manni, e sulla fede di tutti i Codici che mi son caduti sott'occhio. Nè bene adoperarono a parer mio gli editori Bresciano (2) e Milanese (3), che si fecero lecito di manometterle, mutando ex. gr. abbo in ho, contastare in contrastare, stormento in stromento, dialago, prolago e filosafo in dialogo, prologo e filosofo, avvenante in avvenente, concepea in concepia, dimoro in dimora, sempice in semplice, piuvico e piuvicare in pubblico e pubblicare, stei in stii, perseverrebbono in persevererebbono, enterranno in entreranno, ammonigione in ammonizione, spervertire in pervertire, pentere in pentire, in nel in nel, micidio in omicidio,raddolcare in raddolcire, offerere in offerire, testimonia in testimonio, sucitò in suscito, ed altre infinite, le quali, tuttochè ora dismesse, servono alla storia della lingua, ed a far fede dell'età in cui le scritture furono dettate, e che dai suddetti editori sono state ri

(1) Queste note parranno forse ad alcuni soprabbondanti; ma jo le ho distese pe' giovanetti, Le ho ancora ripetute dove ricorreva il bisogno, perchè, non essendo gli Ammaestramenti uno di quei libri, che si leggono seguitamente, ma a salti e senz'ordine, abbia il lettore il comodo di vedersi sempre dichiarate le voci poco familiari ad ogni Capitolo, sul quale per avventura gettasse l'occhio.

(2) Brescia, Tipografia Vescovi 1817.

(3) Milano, per Giovanni Silvestri 1829.

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