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nere umano quasi altrettanto universale, che quella di un Dio. Vero è che più di questo la ragione non ce ne dice; ma questo è più del bisogno, per non avere alcun titolo di rigettare nulla di quanto ce n'è manifestato dalla rivelazione: i cui pronunziati allora solamente si potrebbero ripudiare, quando, per impossibile, si dimostrassero contraddittorii ed assurdi. Ora chi oserebbe, non che altro, tentarlo sia della colpa degli angeli ribelli, sia della pena, a cui furono quelli mancipati, rimanendo gli altri, in premio della loro fedeltà, sortiti a quella beatitudine, che, come speriamo, dovrà essere ancora la nostra? E ponete ben mente: a rifiutare ciò, che noi Cristiani crediamo intorno agli spiriti, non basta affastellare difficoltà mal comprese, biascicare dubbi indigesti, e meno ancora berteggiare con ischerni villani od insulsi: conviene dimostrare positivamente, come dissi, che quella credenza è contraddittoria ed assurda. Quando sorga un chi chessia, il quale presuma di averlo fatto (e finora non è sorto ancora chi lo abbia, non che altro, tentato), allora esamineremo i suoi argomenti. Intanto teniamci saldi a quanto universalmente si crede nella Chiesa; e ciò per amore non del diavolo, ma della verità, la quale è santa, è bella, anche quando riguarda la esistenza del diavolo.

Quanto alle attinenze, che questi spiriti, buoni o rei che siano, hanno colla natura corporea, e quindi anche con noi, secondo che si raccoglie dalle Scritture e dalle tradizioni ecclesiastiche, tutto è chiarito col semplice riconoscere, che quelle sustanze spirituali, senza essere circumscriptive nel luogo, vi sono virtute, secondo che S. Tommaso dimostra; e che potendo con quella virtù muovere i corpi, con ciò solo, veduto la somma perspicacia del loro intelletto, possono produrre effetti svariatissimi e mirabili. Di questi ricorderò due soli: il primo, foggiarsi un corpo d'aria o d'altra sottile materia, e per esso rendersi visibili all'uomo, e comunicare con lui per suoni vocali; il secondo, operare nell'interno organismo dell'uomo stesso, e modificando così la immaginativa e gli altri sensi interiori, influire potentemente nei suoi pensieri e nei suoi affetti, e perfino investirlo per guisa e dominarlo, da non lasciargli alcuna balia dei propri movimenti, come avviene nella ossessione strettamente detta. Quantunque rimanendo sempre quegli spiriti, come tutto il creato, sotto il governo della Provvidenza divina, nulla pos

sono, senza la permissione di quella. Nel resto nessun secolo mai meno del nostro ebbe ragione di negare la esistenza dei diavoli; esso che se ne mostra in tante maniere dominato, non pure per l'odio gratuito e feroce, onde osteggia tutto ciò, che sa di cristiano, ma anche più per la unità d'indirizzo, onde quella ostilità è esercitata sopra tutta la terra da innumerevoli empii, che gli uni non sapendo degli altri, e pure operando con un conserto maraviglioso, ben ci attestano esservi qualcuno, che li governa ed ispira. Ora domando io: chi mai può essere questo qualcuno a governare il mondo dei malvagi, se non il detto nell'Evangelo Princeps huius mundi'? Il quale mondo col suo Spiritismo, è entrato, nel tempo presente, tanto innanzi nelle buone grazie del diavolo, che i vecchi fattucchieri e stregoni si potrebbero, al paragone, andare tutti a riporre.

Volle Dio, che per buon tempo al diavolo restasse occulto il mistero della Incarnazione; il quale non si potendo da creato intelletto, non che conoscere, ma nè tampoco pensare come possibile, non può aversi, che per sola rivelazione. Di che avvenne che quel superbo, ridotto a dovere giudicare, intorno alla persona di Cristo, col solo lume dell' intelletto, benchè lo avesse perspicacissimo, e fosse loico consumato quanto nessun filosofo non fu giammai, vi restò terribilmente avviluppato, rompendo in quello scoglio, in cui, con tanto maggiore ragione, ruppero e romperanno tutti gli uomini, fin che, restii alla Fede, vogliono del mistero di Cristo giudicare superbamente colla sola ragione. Che se una mente angelica, la quale, per essere reproba, non ha perduto nulla del suo acume intellettivo, ne fu solennemente gabbata e scornata, pensate che ha da essere di questi poveri parabolani della scienza moderna, dei quali tutta la suppellettile scientifica non va più sù dei segni algebrici, del microscopio e dei lambicchi.

E lo scoglio, come dissi, pel diavolo fu il medesimo, che pei suoi discepoli ed imitatori nell'orgoglio. Esso, osservando in Cristo delle operazioni, che lo dimostravano vero Dio, e delle altre che lo chiarivano puro uomo, non sapea che si pensare, ne restava perplesso, confuso, era incerto se dovesse tenerlo per uomo, ovvero per Dio, non potendo assorgere col solo lume naturale, al concetto di una persona divina, in cui sussistessero entrambe le nature, l'umana e la divina. E ciò gli avvenne peculiarmente

dopo il digiuno di Cristo nel deserto. Avendo osservato, che il Signore era rimasto quaranta giorni, per propria virtù (per virtù divina vi erano stati anche altri) senza cibo, avrà pensato lui essere veramente Dio, e quella sua forma di uomo essere una parvenza passeggera, come quella qualsiasi figura, onde esso diavolo si può ammantare. Se non che, visto il languore, lo sfinimento, onde al fine di quei giorni Gesù fu compreso, postea esuriit, tornò da capo al pensiero, che ei fosse puro uomo. Il perchè volle tentarlo, cioè metterlo alla pruova, prenderne sperimento; e, Dio permettente, venne all'opera. Che poi quella tentazione avesse luogo tutta al di fuori per una forma sensibile quale che si fosse, presa dal diavolo, e per parole sensibili dette dall'una e dall'altra parte, ciò fu perchè, essendo quella tentazione ordinata a nostro ammaestramento, noi in altra maniera non ne avremmo potuto avere notizia. Nè fu uopo, come notò S. Tommaso, che noi la vedessimo: fu anzi convenientissimo, che a noi ne venisse narrata quella notizia; sicchè l'avessimo per udito, come ci debbono essere comunicate le cose della Fede. Ma in quel dialogo esteriore tra Gesù ed il tentatore, ci vengono espressi ben molti altri dialoghi, che noi intrecciamo spesso dentro di noi col tentatore stesso, quando discutiamo, e talora anche troppo, se faremo o no quel male, se lasceremo o no quel bene, ed i pensieri ci tenzonano in capo come fossero di due, quando ciascuno di noi sa di essere un solo. E pure in quel caso vi è un altro, che ci parla di dentro. Faccia Dio, che le nostre discussioni finiscano sempre con una vittoria somigliante alla riportatane dal Salvatore.

IV. A voi la sustanza della triplice tentazione è certamente nota; ma vi sarà caro conoscerle per singolo nelle loro particolarità minute; e poichè dei due Vangelisti, che con uguale ampiezza le recano, S. Matteo mette per ultima quella dell'adorare il diavolo, la quale da S. Luca è posta per seconda, noi ci atterremo al primo, parendomi più naturale, che la massima fosse l'ultima; tanto che il vade Satana fosse l'ultima parola del Salvatore, e che a quella Satana di fatto se ne andasse.

Presentatosi a Cristo il tentatore, mostrando forse, e forse ancora tenendo in mano alcuni di quei ciottoli, che in quel monte dicono i viaggiatori trovarsi molto somiglianti nella forma ai

pani, gli disse: « Se sei Figliuolo di Dio, dì (vuol dire comanda), che questi sassi diventino pani: Si filius Dei es, dic ut lapides isti panes fiant ». Cristo potea farlo, ed alcun che di simile fece, multiplicando pochi pani da satollarne un popolo: nè di quello sarebbe stato maggiore miracolo il cangiare in pane quei sassi; oltre a ciò, egli nulla volea meglio, che essere conosciuto e confessato per figliuolo di Dio; ed a quell' effetto ordinò principalmente i suoi miracoli. Ma in quel caso era empia la proposta di chi, per conoscerlo, pretendeva si facesse un miracolo, determinandone eziandio la materia ed il modo; nè sarebbe stato senza colpa chi avesse voluto soddisfare l'empia proposta, adoperando la onnipotenza divina, per provvedere ad un bisogno, al quale si poteva con mezzi naturali molto facilmente occorrere. Il perchè il Signore rispose: « L'uomo non vive di solo pane, ma può sustentarsi di ogni parola, che procede dalla bocca di Dio. Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo quod procedit de ore Dei ». Le quali parole si leggono nel Deuteronomio al verso 3 del VIII Capo, e furono da Mosè dette al popolo, per rammentargli come Dio lo avesse, in difetto di altro cibo, alimentato di manna nel deserto. Citandole pertanto il Salvatore volle significare, non dovere gli uomini prescrivere a Dio il modo di sustentarli, e meno ancora pretendere, che ciò facciasi per miracolo, come Satana proponeva; ma doversene rimettere alla Provvidenza di Dio, la cui parola come tutto fece, così tutto sustenta e porta: portans omnia verbo virtutis suae1o.

Ma Satana a quella risposta non si tenne per isconfitto; e preso il Signore lo trasportò nella santa città, cioè in Gerusalemme, e poselo sul pinacolo del Tempio. Tunc assumpsit cum diabolus in sanctam civitatem, et statuit eum super pinnaculum templi. Qui davvero avea ragione S. Gregorio di notare, come gli orecchi cristiani debbono inorridire ad ascoltare, che il benigno Gesù fosse dal diavolo ghermito, quasi candida colomba dallo sparviero, e trasportato come una piuma di luogo in luogo; Mens refugit credere, humanae hoc audire aures expavescunt". La quale maraviglia, non disdetta ai credenti, diviene, al solito, grande scandalo pei Razionalisti tedeschi, i quali non mancano di rincarare la derrata, chiedendo che mai avrà detto il popolo della metropoli, vedendo quella coppia volare per l'aria, ovvero confabulare sul pinacolo del tempio. Ma già lo

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stesso S. Gregorio ha risposto alla giusta maraviglia dei credenti, e S. Tommaso allo scandalo degli eretici. Se Cristo si lasciò levare in croce dagli empii, non dee parere gran cosa, che si lasciasse trasportare sulla vetta del tempio, o sul monte dal loro padre che è il diavolo. Nec est mirum si se ab illo permisit in montem duci, qui se permisit a membris eius crucifigi: disse S. Gregorio ; e S. Tommaso osserva, che se lo stesso Signore si rese più di una volta invisibile passando per mezzo a rabbiosi suoi nemici, non si vede perchè non abbia potuto fare lo stesso in quella singolarissima congiuntura, come pensò il Crisostomo 13. Ma forse quell' assumpsit mal si rende per fu portato o lo portò; mercecchè (e fu notato da Origene 1) il Signore non era sforzato in quel caso, ma di propria volontà vi andava, e sequebatur eum ad tentationem, quasi athleta sponte procedens.

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Il pinacolo o, come disse S. Luca, la pinna, secondo che suona anche il greco πτερúɣtov, significa propriamente ala, e davasi questo nome, come nota il Villalpando, a quella cornice, che correa attorno alla sommità del tempio, e la quale era munita da una ringhiera; e diceasi ala o pinna, forse perchè da lungi quella parte sporgente ai lati del tempio avea qualche somiglianza colle ali dell' uccello. Quivi sopra pertanto avendo il diavolo collocato il Salvatore, gli disse: « Se sei figliuolo di Dio, gettati giù di qui, essendo scritto, ch' ei commise ai suoi angeli di portarti nelle mani, perchè non abbi ad incespicaré nel sasso. Si filius Dei es, mitte te deorsum; scriptum est enim. Quia angelis suis mandavit de te, et in manibus tollent te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum ». Questo era, un istigarlo a superbia, proponendogli di fare mostra dell'essere suo con un portento, che Dio avrebbe dovuto fare per attenere una pretesa promessa. E poichè il Signore nella prima tentazione si era fatto scudo colla divina parola, di questa stessa si vale il tentatore, per rincalzare la seconda, citando a sproposito due versetti (1'11 e 12) del Salmo XC. Ma a lui Gesù : « Anche scritto è: Non tenterai il Signore Dio tuo. Ait illi Iesus: « Rursum scriptum est: Non tentabis Dominum Deum tuum ». Colla quale prescrizione, registrata al verso 16 del Capo VI del Deuteronomio, volle il Signore ammonirci, che la promessa da Dio fattaci della protezione, che pei suoi angeli avrebbe presa

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