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era il suo il battesimo cioè nello Spirito Santo. Certo più di questo non suonano le parole: Hic est qui baptizat in Spiritu Sancto; ed il segnale della colomba era molto appropriato a significare la cosa, che si voleva significare. Poscia il Battista soggiunse di aver visto il segno annunziatogli; ed accennando alla voce udita dal cielo, ricordò di aver pure attestato, lui (cioè Gesù) essere Figliuolo di Dio: Et ego vidi; et testimonium perhibui quia hic est Filius Dei. La quale interpretazione si rende tanto più ragionevole, quanto che le voci greche, rese quì per nesciebam, sono oúx ýjdetv aútóv, le quali propriamente valgono non videram eum.

Il dì seguente, cioè dopo a quello, che Gesù era venuto, e quindi il terzo dalla fine del digiuno e dalla tentazione, stava di nuovo Giovanni (forse al medesimo luogo, dove il dì precedente avea indicato Gesù alla gente), e con lui trovavansi due dei suoi discepoli: Altera die iterum stabat Ioannes et ex discipulis eius duo. Ora egli, vedendo Gesù, che andava per colà, disse (certamente a quei due): « Ecco l'agnello di Dio : Et respiciens Iesum ambulantem, dicit: Ecce Agnus Dei ». Quella settima testimonianza del Battista, benchè la più breve di tutte, ebbe tuttavia un effetto, quale fino allora nessuna delle precedenti non avea avuto: effetto ampio e fecondissimo, che si distende fino a' di nostri; ma di esso cominceremo a trattare nella prossima ventura Lezione.

SECONDA PARTE.

VII. Già fu da S. Ambrogio notato 25, come la triplice tentazione, alla quale il Signor N. degnò soggiacere per l'amore che ci portava, ebbe per oggetto quella triplice concupiscenza, che non avea nessun luogo in lui, ma che in noi pur troppo ha luogo per effetto del peccato originale, e rimane sempre, più o meno vivace, in tutti, anche dopo che quello fu cancellato nel santo battesimo; anche quando la persona sia figliuola ed amica di Dio per la grazia santificante. Essa concupiscenza poi, a con

SOPRA I QUATTRO EVANGELI. VOL. II.

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siderarla nei suoi oggetti capitali, ci si rivela nelle inordinate propensioni alle soddisfazioni del senso, detta da S. Giovanni concupiscenza della carne; nella cupidigia sfrenata della ricchezza, del cui luccichio pasconsi soprattutto gli occhi, e però fu detta dallo stesso Apostolo concupiscenza degli occhi, e nell'orgoglio del primeggiare, del sovrastare, dell'essere riputato un gran fatto, e per questo chiamata superbia della vita: in queste tre concupiscenze è raccolto quanto è, e può il mondo nemico di Dio e nostro, come insegnò S. Giovanni 26. Se voi cercate con diligenza il vostro interno, notando i varii movimenti che vi si destano, per condurvi ad atti men buoni o rei, troverete che tutti, in un modo od in un altro, si possono rivocare ad una di quelle tre propensioni, le quali sono, come dissi, la sustanza, il tutto del mondo, e ci rappresentano quasi tre facce di quel disordinato amore di noi, che ci fa dimenticare di Dio; il quale amore i Greci chiamano plautia, e gli Italiani han cominciato a chiamare egoismo: brutta parola ad esprimere più brutta cosa! E fosse in piacere di Dio che si potesse escludere dal cuore la cosa, come il vostro rinomato lessicografo ha esclusa dal Vocabolario la parola.

Questa triplice concupiscenza nostra è il campo precipuo, dove il tentatore lavora per istigarci al male, facendolo nella maniera, che vi dichiarai poc' anzi; operando sopratutto nella immaginativa, e facendo dentro di noi per maniera invisibile ciò, che fece visibilmente col Signor nostro. Egli conosce le nostre propensioni, le nostre necessità, le nostre vaghezze, ed a quelle propone oggetti conformissimi, e li ci dipinge con colori molto vaghi, seducenti e talora per fino di bene; e guai all'uomo che si lascia cogliere a quel laccio! beato l'uomo che sa uscirne vittorioso! Voi vedeste con quanta audacia osò Satana tentare il N. Signore, valendosi del bisogno che la sua umanità avea di cibo, e della sua inclinazione ad essere conosciuto per figliuolo di Dio, per acquistare tutto il mondo a Dio, e travolgendo quella prima legittima propensione, e la seconda molto santa ad intento di gola, di vanagloria e di cupidigia. Ma se nelle tentazioni sostenute da Cristo noi impariamo le scaltre arti del nemico, dalla maniera, onde esso Cristo ne trionfò, ci è dato imparare il modo, onde dobbiamo e certo possiamo sempre trionfarne anche noi. Ora al vedere, come egli, in tutti

e tre gl'investimenti, di cui fu segno dalla parte del tentatore, per ischermirsene non si valse di altra arme, che della divina parola, e con un semplice scriptum est, ebbe le due e le tre volte sventate le colui macchinazioni; al vedere, dico, ciò, mi pare d'intendere, averci voluto il Redentore ammonire col suo esempio, che, in somiglianti frangenti, poco e fragile presidio potremmo trovare nella ragione, negl'interessi, nelle convenienze, nella filosofia, ed in somma nella natura, e che dobbiamo a tutti i patti ricorrere alle armi forniteci dalla Fede. E di fatti l'Apostolo Pietro, esortandoci a resistere da forti al diavolo, che, quasi lione che rugge, ci circuisce, per divorarci, ci esorta appunto a resistergli nella Fede: Resistite fortes in Fide "7.

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NOTE

alla Lezione ventesimaterza

1 AUGUST. Tract. XVII in Ioan.

in quanto esse furono sostenute da altri.

* Missal. Rom. Praefat. temp. quadr. Ciò è significato col dirsi, che per le In3 Potrebbe parer troppo assoluta quel- dulgenze sono applicati i meriti dal tesoro l'affermazione, che la pena delle colpe an- della Chiesa, per effetto della Comunione che rimesse non si estingue, che per ope- dei Santi; e soprattutto dall'applicarsi a re satisfattive, potendosi ciò ottenere colle noi parzialmente i meriti infiniti di Cristo, Indulgenze, od averne altrimenti la re- dal quale tutti gli altri hanno ogni loro missione da Dio per grazia. Ora pria di valore, e senza il quale non ne avrebbero tutto, è da notare, che Dio non conosce alcuno.

questa maniera di grazie, che si usano Nel testo della Lezione non è parutanto spesso al presente a tribolazione dei to opportuno di aggiungere altro intorno a buoni, e ad impunità ruinosa dei malva-quella gravissima difficoltà, del concepire gi. Entrato nel mondo morale il disordine l' unione di uno spirito colla materia per della colpa, quello non si abolisce piena- guisa, che ne resti costituita e salva l'unimente, che per l'ordine della pena; e da tà sustanziale del composto. Ma qui non quello che ne sappiamo dalla rivelazione, vuole preterirsi di notare, come chi ignora dee dirsi, che il fare altrimenti ripugnerebbe questo, ignora, non che altro, l'alfa e l'omealla divina sapienza e giustizia. Le Indul-ga della filosofia, e ad ogni modo non conogenze poi, lungi dallo infermare questa dot-sce che cosa sia l'uomo, che cosa sia egli trina, la confermano. Di fatti per quelle medesimo. Ora questa è la condizione di tutnon si rimettono le pene ad uno, se non te le pretese filosofie, che, dopo l'insipiente

e forse anch'empio ripudio della Scolastica,| 12 Il ROSENMÜLLER (Scholia in Novum si fabbricarono, e si stanno fabbricando, Testamentum ad h. 1.) che pure è uno dei massime in Alemagna, vera Libia di parti meno avventati, comincia dall' interpretare intellettivi svariatissimi e mostruosi. Nella l'assumere, il rapaλaμßávev del greco, per Filosofia Socratica, esplicata con diverso comitem se adiungere, per poscia venirci indirizzo, ma per questo capo con suffi-a contare, che il diavolo dovett'essere un ciente conformità, da Platone ed Aristotile, qualche barbassoro di Gerusalemme, il quaquella difficoltà era stata sciolta, massime le, preso seco Gesù, per una passeggiata da questo secondo nei tre suoi Libri de nella santa città, lo menò sul pinacolo del Anima; ma poscia quella dottrina stessa tempio, e di là gli fece la strana proposta chiarita, ampliata, confortata da S. Tom- di precipitarsi giù. Non riferisco le altre maso, che si giovò dei SS. Padri e soprat- scempiezze puerili, che escogita, per dare tutto di S. Agostino, fu recata a tale in- spiegazione tutta naturale alla terza tenconcussa solidità ed universalità, che potè tazione. Ciò che ho ricordato può bastare dirsi essere la dottrina della Chiesa. Del- per intendere a quali strane ipotesi si debl'uomo non si saprà mai un'acca, se non bono apprendere coloro, che, pur volendo si riconosce, che in lui l'anima è per sè tenere il Vangelo per cosa divina, non vi forma sustanziale della materia, la quale, vogliono trovare nulla, che si levi sopra solo per quella unione, è e si dice corpo. la loro ragione. Ma per capire ed ammettere questo, bisogna capire ed ammettere tutta la Filosofia scolastica di S. Tommaso. Come l'uo

13 Greg. 1. c.

1 S. Thom. p. 3, q. 41, a. 4 ad 7. 15 Hom. V. in Op. imperf. Diabolus sic mo è μixpóxooμos, un piccolo mondo, cos Christum assumebat in pinnaculum temchi conosce l'uomo, ha la scienza del pli, ut ab omnibus videretur; ipse autem, mondo, e vuol dire la naturale Filosofia in nesciente diabolo, sic agebat, ut a nemine tutta la sua ampiezza. Veggasi con quanta videretur. assennatezza discorre di questo punto il KLEUTGEN: La Filosofia antica esposta e difesa (Versione dal tedesco Roma, 1866-68, Vol. V, Tratt. VIII, Cap. 2).

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Super Lucam Homil. XXXI. 17 P. l. q. 41, a. 4 ad 7.

18 Quel luogo è parte di una lunga istruzione, che Mosè, in nome di Dio, porge 5 La prima radice della libertà di aral popolo. Come ebbi a notare nella Lesiobitrio è l'universalità dell'apprendere (S.ne, in quel luogo si legge timebis per la Tomm. p. 1, q. 89); e di qui con grande voce, che nell' Evangelo è adorabis. Ma ragione affermò Dante (Parad. V, 20) che l'adorabis è precisamente ciò, che suona di quella libertà

. le creature intelligenti

E tutte e sole furo e son dotate.

il greco λατρεύσεις ; ed il λατρέυω à voce, che si adopera unicamente a significare il culto dovuto a Dio. Qual voce adoperasse S. Matteo nel Sirocaldaico, non sap

6 P. 1, q. 52, a. 1, et q. 8, a. 2, ad 1. piamo; ma dovett'essere l'identica, o con 7 Ioann. XII, 31. piccolo mutamento, la quale si legge nel

› Ecco come intorno a ciò si esprime l'ebreo del Deuteronomio; ed è x77 (thira) S. Agostino (De Civitate Dei. Lib. IX, e significa veramente temerai da x7 (jaré) c. 21): Christus tantum innotuit daemoni- timuit. Ma presso gli Ebrei, secondo l'indole bus, quantum voluit, non per id quod est della loro legge, il concetto del temere era vita aeterna, sed per quaedam temporalia inseparabile dall'adorare; tanto che spesso suae virtutis effecta. si scambiava l'uno per l'altro, e si esprimevano entrambi colla stessa parola.

9 P. 3, q. 41, a. 2, ad 1.

10 Hebr. I, 3.

11 Gregor. Hom. XVI in Evang.

19 AUGUST. De Genes. ad litt. Lib. 1. 20 Questo vade retro è nel greco üñaɣɛ

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inio pou; alla lettera: va dietro a me; ma Super Luc. IV, 13. Non dixisset non si altera il senso dal mancare questo Scriptura, quod consummata omni tentaa me nel latino. tione diabolus recessit ab illo, nisi in tri

21 Intorno alle ragioni di questa in- bus praemissis esset omnium materia deterposizione si vegga ciò, che ne discorre lictorum; quia causae tentationum causae il Patrizi De Evang. Lib. II. Notae XVI, sunt cupiditatum; scilicet carnis oblectaXVII, XVIII. tio, spes gloriae et aviditas potentiae.

?? Isai. LIII, 7.

23 August. Tract. IV in Ioan. § 15, 16. 24 Toled. In Ioan. ad h. 1.

26 I. Ioan. II. 16.

27 I. Petr. V. 9.

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