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casi: o quando parla delle grandi umiliazioni e dei grandi dolori, a cui la sua umanità sarebbe soggiaciuta 12; ovvero quando si attribuisce opere ed onoranze, le quali, trascendendo ogni creata virtù, non possono appartenere, che alla divina, com'è la remissione dei peccati 13, e com'è in questo luogo l'ascendere ed il discendere gli angeli sopra di lui, detto a Natanaele. Se alcuna volta (forse è una sola ") pare che non sia così, dalla più attenta considerazione del contesto si vedrà che è così.

Si cerca ora chi fosse questo Natanaele, chiamato con vocazione così singolare, e del quale poi non è alcun altro vestigio nell'Evangelo. Ed a me sembra indubitata la opinione di alcuni gravi Interpreti, lui essere stato l'Apostolo S. Bartolommeo. E delle molte ragioni, che se ne recano, sarò contento a questa, che mi pare decisiva. S. Giovanni, che parla di Natanaele, non novera tra gli Apostoli Bartolommeo; e gli altri tre Evangelisti, che noverano tra gli Apostoli Bartolommeo, non hanno nessun cenno di Natanaele. Quale indizio più chiaro dell' essere quelli due nomi della stessa persona? Anzi non sono due nomi; ma Bartolommeo, composto da (bar) figlio, e da " (tholmai) nome, secondo alcuni, proprio tra i Siri, e che fu dei re Tolomei di Egitto, significa in sustanza figliuolo di Tolmai, come Bar Iona significa figliuolo di Giona o di Giovanni. S. Giovanni dunque lo chiamò del proprio suo nome Natanaele; gli altri tre da quello del padre. Così il Signore, fino dalle prime mosse della sua vita pubblica, si trovò avere già intorno a sè riuniti cinque Apostoli Andrea, Giovanni, Pietro, Filippo e Bartolommeo. E benchè questi per allora non gli aderissero stabilmente, e fossero lasciati andare, finchè non vennero con più esplicita vocazione chiamati, si potè tuttavia fin d'allora affermare, che il primo nucleo della Chiesa era già costituito. Forse questo si aspettava per dar principio alla solenne manifestazione del Venturo già venuto per via di pubblici miracoli: il che fu fatto appunto il dì appresso alla chiamata di Natanaele, o più probabilmente il giorno di là, nelle Nozze di Cana.

V. Fin qui il N. Signore non avea data alcuna manifesta e solenne dimostrazione della sua divinità. Vi erano bensì occorse cose straordinarie e portentose; erano tuttavia fatti avvenuti attorno a lui piuttosto, che adoperati da lui; ed egli lasciava, che

gli avvenimenti si svolgessero naturalmente, secondo la libera volontà di ciascuno; ma intanto si compiva il suo consiglio. Questo portava, che fosse dato oggimai principio a quella serie di portenti, che si sarebbe intrecciata a tutta la sua vita pubblica ; ed ecco, che da persone, ignare affatto di quel consiglio, si fece ciò, che richiedevasi per compierlo. S. Giovanni entra nel capo II a narrare il miracolo di Cana, notando, ciò essere avvenuto il terzo giorno: Die tertia; ma resta incerto quale sia il primo, a rispetto di cui questo si dice terzo. A me pare, che si debba riferire all'ultimo fatto da lui narrato; il quale è il colloquio con Natanaele; quantunque non si guasterebbe nulla, chi computasse i tre giorni dall' arrivo di Gesù nella Galilea 15.

Ivi dunque si narra, che furono fatte nozze, cioè solennità di nozze, e quindi il convito, che n'era parte precipua, in Cana di Galilea: Nuptiae factae sunt in Cana Galilaeae. Questa Cana era piccola città posta a circa tre ore di cammino da Nazaret verso ponente, e chiamavasi così dalla voce p (kana) canna (guardate! è la medesima che la nostra italiana!), perchè nelle sue campagne erano dei grandi canneti. Vi avea un'altra Cana più sù verso il mare nelle vicinanze di Tiro e di Sidone 16, anch'essa nella Galilea, ma nella Galilea Inferiore, la quale dicevasi Galilaea gentium, ed era posta nella tribù di Aser da essa fanno alcuni venire la mulier cananaea 17, che colla sua Fede ottenne da Cristo la guarigione della figliuola ossessa; laddove questa nostra era posta nella Galilea Superiore e nella tribù di Zabulon. È poi comunissima opinione, che quelle nozze si celebrassero dal Simone, che poscia fu chiamato all' Apostolato, il quale era appunto da Cana; e però nel Vangelo è chiamato Cananeo 18. Questi era figliuolo di Alfeo, come si scriveva e pronunziava grecamente il nome ebreo Cleofa, ovveramente Cleopa ed anche Clopa; il quale essendo fratello di S. Giuseppe, esso Simone veniva ad essere nipote della B. Vergine, e quindi cugino del Signor N., come n' erano altri, i quali però si chiamavano Fratres Domini 19. Questa circostanza dell'essere lo sposo così stretto congiunto della Vergine benedetta, ci spiega, come essa si trovasse nella casa di lui, e forse per tutti i sette giorni, che duravano le solennità nuziali, di cui, come dissi, il convito era la principale, ed eziandio l'ultima: Et erat (notate bene questo erat, vi stava) mater Iesu ibi. A questa,

SOPRA I QUATTRO EVANGELI. VOL. II.

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diciamo così, corona delle feste, che poi si compivano con ceremonie religiose e con comuni preghiere, fu, tra gli altri, invitato anche Gesù coi suoi discepoli; coi cinque cioè, che ei testè avea chiamato; ed il Signore degnò accettare l' invito: Vocatus est autem et Iesus et discipuli eius ad nuptias.

Tutta l'antichità cristiana si è accordata nel notare ed ammirare questa singolarissima degnazione del Salvatore, il quale, non solo condiscese a decorare della sua presenza una festa nuziale, ma da quella volle pigliare l'occasione del primo miracolo, che pubblicamente adoperò nella sua carriera mortale; ed i SS. Padri veggono in quel fatto un onore pubblico ed insigne da Cristo conferito all' umano connubio 20. Quello nondimeno non fu, che un lontano accenno ed un pegno di quella dignità tanto maggiore, a cui egli lo avrebbe innalzato facendone un Magno Sacramento, come parla l' Apostolo ". Per tal modo il matrimonio, il quale, già fino dai primordii del mondo benedetto da Dio, come sacra cosa, fu come cosa sacra riguardato, non solo dal popolo giudaico, ma dalla stessa Gentilità, divenne in Cristo e nella Chiesa una espressione viva delle ineffabili sponsalizie di Cristo colla Chiesa stessa, ed una fonte perenne di grazia sopra dei coniugi, per aiutarli a compiere fedelmente i gravi doveri, ed a portare nobilmente i pesi non meno gravi del loro stato. Significazione mistica e conferimento di grazie, la quale ed il quale costituiscono la propria ragione di Sacramento; e la cui mercè col matrimonio cristiano resta benedetta, santificata, consecrata la famiglia, con tutte le domestiche affezioni, che vi s'intrecciano e n'escono a nobilitare e consolare tutto il genere umano. Quale profanazione si stia facendo nel mondo moderno di questa divina istituzione col legale concubinato, a cui si è voluto dar nome di matrimonio civile, voi lo sapete; ma i danni, che già ne derivano, fanno troppo sentire a quale caro prezzo di pace domestica perduta, e di decoro manomesso si stia pagando questo indegno ripudio della consacrazione cristianą del domestico tetto. Di questi danni il più ed il peggio ne va a carico, com'era già nel Paganesimo, della parte più dilicata e più debole del genere umano. Si sa! tolto di mezzo Cristo, unico ed eterno protettore dei deboli, in tutto ciò, che nel mondo si mulina e si compie senza di lui, i deboli debbono rimanere schiacciati dalla forza; nel caso del matri

monio scristianeggiato, la debolezza muliebre resta vilipesa e calpestata dalla prepotenza virile.

Mentre il convito nuziale di Cana stava nel suo più bello, la Vergine benedetta si accorse, che già stava per mancare il vino; e ponete ben mente a questo: stava per mancare il vino, che mi pare richiedersi dal deficiente vino; nè la forma di aoristo, come indeterminata, del greco Tepavtos dvou ci obbliga ad intendere, che già fosse mancato del tutto. Essa Vergine però, sollecita com'era del decoro della famiglia, ond' ella stessa era parte, e persuasa, che il divino suo Figliuolo avrebbe potuto colla sua potenza provvedervi, gli disse: « Ei non hanno vino »; ma Gesù le rispose: « Donna, e che ho io a fare con teco? Non venne per anco la mia ora»: Et deficiente vino, dicit mater Iesu ad eum: « Vinum non habent». Et dicit ei Iesus: « Quid mihi et tibi est mulier? Nondum venit hora mea ». Questa risposta ha dato assai da pensare agl' Interpreti; e molte maniere si sono escogitate, sia per attenuarne la portata, sia per ammorbidirne quella specie di durezza, che suona nelle parole, le quali non credo ne potranno essere mai, per osservazioni filologiche ed esegetiche, liberate". A me pare nondimeno, che tutta la difficoltà nasca dal non distinguersi da noi abbastanza le relazioni, che Cristo e la benedetta sua madre ebbero da viatori in terra, da quelle, che hanno al presente da gloriosi in cielo. Dichiaro il mio pensiero intorno al come a me sembra doversi intendere la cosa.

Dal vedere, come al presente Maria Vergine è diventata l'universale causa impetrativa di tutte le grazie, che il Signor N. fa al mondo, sicchè il popolo cristiano non mai indarno a lei si rivolge, persuaso di avere in lei la tesoriera di tutte le grazie, noi facilmente c'immaginiamo, che ciò dovess' essere eziandio quando entrambi erano pellegrini sopra la terra. Ora così non fu; e nell' altra occasione somigliante, che Cristo appena dodicenne non parlò men reciso ai suoi parenti, vi feci notare, com' egli, sommesso in tutto ciò, che si atteneva alla vita terrena, ad essi, quanto a quelle opere teandriche o divinumane, nelle quali interveniva la divina potenza, ed erano direttamente ordinate allo stabilimento del Regno di Dio nel mondo; quanto, dico, a tutto quest' ordine di operazioni, egli, conforme alla volontà del celeste suo Padre, non volle, che entrassero

come chessia attinenze ed affezioni terrene, per legittime e sante che fossero. Trattandosi dunque di un'opera miracolosa, Gesù, con quella risposta, volle significare, che la madre gli era come estranea, nè vi potea prendere parte più di qualsiasi altra donna 23. Nè vi è uopo supporre, che la SS. Madre conoscesse quel fermo consiglio della Provvidenza, o prima o per altra via, che di quella risposta; la quale fu data in pubblico, perchè, conosciuta dagli altri, cessasse ogni pensiero di trovare interceditori nei congiunti del Salvatore. Di fatti se quello fu il primo, fu ancora l'ultimo caso, che dalla benedetta Vergine si facesse una somigliante proposta; appunto perchè ella, intesa la volontà del divino Figliuolo, fu fedelissima nel custodirla. Nè le dovette parere gran cosa l' astenersi, per quel poco tempo, dall' intercedere per gli uomini, veduto che le restavano tutti i secoli avvenire, per esercitare con larghezza inestimabile quel pietoso uffizio, ottenendo loro ogni maniera di grazie.

Quanto poi al nondum venit hora mea, non mi pare si possa intendere, non essere ancora giunto il tempo da fare miracoli, avendo il Signore fatto ivi medesimo, poco stante, appunto quello; nè so intendere quale legame possa avere questa risposta col tempo della Passione, come alcuni si avvisano. Più ragionevole pertanto mi sembra la opinione di quegl' Interpreti, i quali stimano, che, non essendo per allora mancato ancora tutto affatto il vino, com'è significato dal participio deficiente vino, che vi feci testè notare, egli volle si aspettasse quell' ultimo termine, acciocchè meglio se ne sentisse il bisogno, ed il miracolo fosse più cospicuo e giungesse più accetto. È quello, che Dio molto spesso fa con noi, quando indugia a graziarci dei suoi favori, perchè meglio da noi se ne senta la necessità, e se ne apprezzi il valore.

VI. La Vergine benedetta, ad onta di quella risposta, intese molto bene, che la grazia si sarebbe fatta, e però disse ai ministri del convito, facessero quanto Gesù ingiungerebbe loro. Ora vi aveano colà sei idrie di pietra, tenutevi per comodo delle abluzioni, le quali gli Ebrei facevano molto frequenti in tutte le comuni relazioni della vita, ma in modo speciale nel desinare, non tanto per prescrizione di legge, quanto per consuetudini introdotte dai Farisei; ed idria è voce, che, dal dop acqua, significa pro

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