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priamente vaso da acqua, a differenza dell'anfora, che si dice piuttosto del vaso da vino. Il sacro testo nota, che quelle sei idrie contenevano ciascuna due o tre metrete, forse perchè non erano uguali, ed alcune ne conteneano tre, altre due; ovveramente perchè essendo uguali, non se n'è voluto determinare la capacità precisa. La metreta 25 poi era una misura, come suona il greco. pétpov, misura, diventato oggi il modulo molto comodo di tutte le misure ed anche dei pesi (vedete che non fummo noi i primi ad usurpare quella voce); la metreta, dico, come insegnano gli studiosi di archeologia giudaica, era una misura, che conteneva 108 libbre di acqua. Dicendosi pertanto, che le sei idrie contenevano due o tre metrete, potremmo supporre o che tutte e sei ne contenessero due e mezzo per ciascuna, ovvero che fossero tre da tre, e tre da due; nell'uno e nell'altro caso darebbero 15 metrete, cioè 1620 libbre di acqua: Ora Gesù disse ai ministri che empissero quelle sei idrie di acqua; e quelli ne le riempirono fino all'orlo: Dicit eis Iesus: « Implete hydrias aqua ». Et impleverunt eas usque ad summum. La quale circostanza sembra aggiunta sì per rimuovere ogni sospetto, che vi potess' essere stato introdotto del vino, sì, per far notare la non mediocre quantità di vino, che si ebbe da quel miracolo. Credo che, standone al volume non al peso, 1620 libbre di acqua rispondano a 540 litri di vino: un po' troppo veramente trattandosi di un convito privato, e che dovea già volgere al suo termine. Ma questo, più che solo supplemento al bisogno del convito, fu dono fatto a quella famiglia, la quale, chi sa per quanto tempo ne avrà conservato, a memoria di quel miracolo.

Empite adunque che furono di acqua le idrie, Gesù disse ai ministri, attingessero da quelle, e ne portassero all'architriclino; colla quale voce greca si significava il preposto al convito, il quale personaggio i nostri antichi dissero Siniscalco. Et dicit eis Iesus: « Haurite nunc, et ferte architriclino ». Et tulerunt. Or quegli, come prima ebbe gustato il vino fatto dall'acqua, e non sapendo donde venisse, come ben lo sapevano i ministri, che lo aveano attinto dai vasi d'acqua, chiamò a sè lo sposo, e gli disse: << Ogni persona pone prima a tavola il buon vino, e quando i commensali siano ebbri, allora serve loro dello scadente; ma tu facesti al rovescio, ed hai fino ad ora, che siamo all'ultimo, serbato l'ottimo ». La quale circostanza è notata, per

fare intendere l'ottima qualità di quel vino, come sogliono essere tutte le cose per opera miracolosa prodotte. Nè vi è da pigliare scandalo di quella parola: cum inebriati fuerint. Già l'architriclino parlava di una usanza giudaica, e non ci sarebbe a troppo maravigliarsi, se alcuna di quelle usanze, massime in quel tempo, supponesse un po' di ubbriachezza, nè noi non siamo obbligati a difenderle tutte. Nel resto, l'inebriari, nel linguaggio biblico, non sempre importa la turpe ubbriachezza 26; ma talora significa semplicemente quella ilarità e gaiezza, che dal vino negli animi è ingenerata, e che Iddio volle ai mortali concedere, quando apprestò loro quella bevanda, appunto per esilararne i cuori: Vinum laetificet cor hominis 27. Quantunque non è a dissimulare, che il linguaggio dell' architriclino accennava ad una conseguenza del vino, dalla quale fosse impedito il discernerne le varie qualità: il che presuppone qualche cosa più di una semplice allegria. Ma già dissi, che colui parlò di una generale costumanza, non di ciò che avveniva in quel particolare convito ; nel quale la presenza di Cristo e della santissima sua Madre non ci permette pensare, che occorresse nulla di men conforme alle leggi sante della temperanza.

SECONDA PARTE

VII. Poichè l'Evangelista ebbe narrato il fatto di Cana, soggiunge, quello essere stato l'inizio dei miracoli di Gesù: Hoc fecit initium signorum Iesus; e' che così avendo egli manifestata la sua gloria, i suoi discepoli gli credettero, cioè si raffermarono nella Fede in lui: Et manifestavit gloriam suam, et crediderunt in eum discipuli eius. La quale circostanza dell'essere questo il primo miracolo narrato del Redentore, mi faceva venire in mente il pensiero di trattarvi posatamente in una Lezione questo punto dei miracoli. Ma poscia, avendo considerato, che vi avremmo quasi perduto il tempo voi ed io, ho smessa quell'idea, per ispendere il nostro tempo in cose molto più utili.

Ed a qual fine, a servizio di chi, entrerei io in quella discus

sione? A fine forse di persuadere chi non ci crede, e per credere pretende di vedere un miracolo? Siatene certi: non l'otterrei, quand'anche, non che dimostrare, che vi sono miracoli, potessi io medesimo fare un miracolo. Il N. Signore ne fece tanti nella sua predicazione; ma non si legge, che ne facesse mai alcuno per soddisfare la superba curiosità di chi, per credere, metteva a condizione si facesse un miracolo. Anzi espressamente protestò che a quel fine non lo avrebbe fatto. Questa generazione, malvagia ed adultera, domanda un segno; e non le sarà dato, se non il segno di Giona profeta; e volea dire, che non lo avrebbe fatto in vita. Ma forse che il segno di Giona, cioè la sua risurrezione valse a nulla? Eh! cari! siatene certi! Se risuscitasse un morto sotto i loro occhi, non crederebbero. Così lo ha detto. il Signore stesso nell'Evangelo. Quando l' Epulone nell'inferno pregava Abramo, volesse mandare Lazzaro ai suoi cinque fratelli superstiti, perchè facessero senno, Abramo rispose, che quelli aveano Mosè ed i Profeti : se a questi non credevano, non avrebbero creduto, quand'anche avessero visto un morto risuscitato 29. Oh no! davvero! La difficoltà non dimora nel credere ai miracoli, dimora piuttosto nel praticare una Morale, che è confermata dai miracoli. E però l'orgoglio s'inalbera, si afferra a tutti i rampini; e dando la cosa per ispacciata, afferma, che la società moderna non crede più ai miracoli, illuminata com'è, dalla scienza moderna, la quale ha fatta finalmente la peregrina scoperta, sapete di che? Voi lo crederete appena; e pure proprio questo si è scritto con grande sussiego da uno dei corifei della moderna incredulità: la scienza progredita ha finalmente fatta la peregrina scoperta, che le leggi della natura sono invariabili 30. Con uomini così disposti, torno a dire, sarebbe un perditempo mettersi a discorrere per argomenti fisici o metafisici : vi si richiede una specie di argomenti, che sono in mano non a noi, ma a Dio solo; e preghiamolo, si degni adoperarli con questi poveri disgraziati.

Quanto a voi, che mi piace supporre tutti cristiani, qual bisogno ne potreste avere voi? Voi, colla semplice fede in Dio Creatore, professate di credere la possibilità dei miracoli, ed è il medesimo di un filosofo, che tenesse quella verità per semplice naturale discorso. E se Iddio ha costituite tutte e singole le leggi invariabili della natura, chi può obbligarlo ad operare

sempre in conformità di quelle, come vi siamo obbligati noi, i quali non le abbiamo fatte, ma vi sottostiamo, e vi ci dobbiamo conformare, sotto pena di danneggiarci e di distruggerci? Ora il dimostrarci appunto, che quelle leggi sono liberamente da lui stabilite, e rimuovere così ogn'idea di Fatalismo o Panteismo, non potrebb'essere ancora una degna ragione, per la quale Iddio alcune rarissime volte se ne diparta con opere miracolose? In somma nè si è dimostrato mai, nè si potrà mai dimostrare, che il miracolo sia impossibile; e non ci vorrebbe meno di questo per negarlo di buona ragione. E pertanto, suppostane la possibilità, esso miracolo entra nella regola generale di tutti gli altri fatti, della cui verità possiamo acquistare certezza, sia dalla sperienza propria, sia per attestazione altrui orale o scritta, salvo ad usare, per la prima non meno, che per la seconda maniera, quelle cautele, che la prudenza e talora ancora la scienza suggeriscono, per non essere tratti in inganno. Facendo a questa maniera, non nego, che qualche volta si sono scoperti dei falsı miracoli. Ora essendo il falso essenzialmente posteriore al vero ed inconcepibile senza di quello, questo medesimo essersi scoperti dei miracoli falsi, è il migliore argomento, che dunque ve ne debbono essere stati dei veri. E chi avrebbe potuto mai pensare a falsificare la scrittura e le monete, se non vi fossero state mai vere scritture e vere monete?

Non voglio tuttavia dissimularvi un fatto, dal quale ci è rivelata una speciale condizione, e non molto allegra, del presente tempo. Per quanto sia vero, che miracoli non si fanno, e forse inutilmente si farebbero a soddisfarne la superba curiosità di chi li pone a patto del suo credere, non è meno vero, che, parlando in generale, i miracoli di Cristo molto sovente furono seguitati dalla Fede degli spettatori, com'è in cento luoghi ricordato nell'Evangelo, e poscia nei secoli posteriori i miracoli degli Apostoli e dei Santi furono il mezzo direi quasi ordinario, del quale si valse la Provvidenza, per operare la straordinaria conversione del mondo. Ora al vedere come al presente, benchè non manchino miracoli nella Chiesa, manca nondimeno, e da non breve tempo, quella santità prodigiosa, strepitosa, taumaturga, che scuote le moltitudini ed impone loro se non la Fede in Cristo, almeno la riverenza alle cose cristiane; al vedere, ripeto, ciò, noi abbiamo nuovo argomento di quel severissimo

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divino giudizio, ond'è gastigato il presente mondo. E dico a vero studio il mondo; perciocchè i segni, e vuol dire i miracoli si fanno, non pei fedeli che non ne hanno bisogno, ma per gl' infedeli, che ne potrebbero acquistare salute: signa non fidelibus sed infidelibus ; e però se Iddio non ne fa al presente, questo è a meritata punizione di una generazione apostatrice, che di troppe grazie ha abusato; ma questo, come tutto il rimanente, torna ad insigne vantaggio degli eletti, i quali ne hanno occasione ad esercitarvi una Fede tanto più vivace e più meritoria, quanto è meno sostenuta da esterni presidii.

NOTE

alla Lezione ventesimaquarta

1 Dal Vangelo si sa, che quei due anda-quei due discepoli rimasero col Signore rono a Gesù; ma non si nega che altri pure tutto un giorno naturale; ma ciò veravi andassero. Nondimeno il Crisostomo ed mente non veggo come si possa rilevare Eutimio, credono che quelli fossero allora i dal contesto. Mi pare anzi che dalle parole soli. È molto acconcia l'osservazione del die illo si rilevi precisamente il contrario. V. Beda (in h. 1.) in questi termini: se- 6 Il Crisostomo (hom. XVII in Ioan.) quentes Iesum reliquerunt Ioannem; se- nell' invenimus di Andrea a Pietro vede quentes Evangelium, legem amiserunt (for- un segno di grande gaudio, come animae se omiserunt). Sic tamen sequuti sunt Evan-maxime eius praesentiam desiderantis, e gelium, ut testimonio uterentur de lege. la quale si affretta di comunicare altrui il 2 Questo domandare di parlare al Si- bene trovato.

gnore con agio parve a S. Cirillo (Lib. II, 7 Questa voce Messias non si trova cap. 8) segno, che quei due intendevano nella Scrittura, che qui e nell'altro luogo la gravità di ciò, che erano per fare: Non dello stesso Evangelo di S. Giovanni IV, enim ubique res grandes oportere dici ar-25. La voce (masciah) deriva da bitrabantur. hop (mascah) unse, e significa propria

3 Ioan. XVIII, 16; XIX, 27; XX, 4, mente unctus, come il xprós da xpiw, un8. Questa nondimeno non è, che una con-go, da cui pure è xpíopa, unctio. E poichè gettura, la quale al Maldonato non sem- presso gli Ebrei la potestà regia e la sabra molto probabile (in h. 1.).

Ioan. XI, 9.

cerdotale si conferiva colla unzione, ne avvenne, che al Re ed al Sacerdote fosse

L'Alapide dice essere manifesto, cheldato il nome di Messia; tanto che furo

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