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deltà e la lascivia degli uomini. Il Battista glorioso oggi ed in eterno nel Paradiso, ci mostra col suo esempio, che ne fu molto bene servito; e quanto a noi, prendiamo guardia, che il desiderio, nel resto legittimo e santo, di vedere trionfare la giustizia non muova, più che dallo zelo per la giustizia, dagli incomodi che ci vengono dalla prevalenza dell'ingiustizia. E pure per noi può essere che la nostra eterna salute debba operarsi col prezioso concorso dell'altrui ingiustizia.

V. Stando nella corte di Macherunte le cose nei termini che dicemmo, era chiaro che vinta la riverenza del Tetrarca per la santità del Battista, la vita di lui oggimai non dipendeva, che dal trovare qualche macchina per vincere quell'altro timore entrato in corpo allo stesso Tetrarca, impensierito dell'effetto sinistro, che l'uccisione del Santo avrebbe potuto fare nel popolo. E pensate se l'astuta femmina ed inviperita volea starsene oziosa nello spiare e cogliere per l'aria la prima occasione propizia, che le si offerisse, per venire al suo intento; e la fortuna gliela mandò migliore, che forse essa non aspettava". Egli avvenne che nel di natalizio di Erode, o come suona il greco revesiwv arquévwv, celebrandosi le feste natalizie di Erode, questi fece nella sua reggia una gran cena ai principi", ai tribuni ed ai principali della Galilea; e pare che quella triplice categoria di dignitarii si riferisca ai nobili, agli uffiziali militari ed ai cívili. In quella circostanza la figlia di Erodiade, e s'intende avuta dal suo marito Filippo, e che avea nome Salome, entrata nella sala danzò innanzi a tutti, nè già, secondo che affermano alcuni moderni interpreti, al modo un po' grossiero, che usavasi tra le donne ebree, ma secondo le movenze che dicevano gioniche, introdotte di fresco dalla Grecia nella reggia della Galilea. Che che sia di ciò, il fatto è che la fanciulla danzò con grazia e leggerezza ammirabile; tanto che plauditane fragorosamente da quanti erano gli astanti, Erode che più di tutti l'avrà ammirata, senza capire quale vergogna a lui ne ridondava, ne fu infatuato; e precipitoso com'era negli affetti e nelle parole, punto non badando a ciò che diceva, promise alla fanciulla le avrebbe dato qualunque cosa avesse chiesta: Pete a me quod vis, et dabo tibi; e quasi non bastasse l'inconsideratezza di quella stolta promessa, la rincarò, raffermandole con giuramento, che le avrebbe

data ogni domanda che facesse, fosse pure la metà del suo regno: Et iuravit illi: quia quidquid petieris dabo tibi, licet dimidium regni mei 8. Qui egli chiama regno la sua Tetrarchia, e lo stesso S. Marco in questo capo lo dice ora Tetrarca, ora Re; perchè veramente la potestà di Tetrarca era come di Re, e forse solo nell' ampiezza del paese soggetto si distinguevano. Certo gli antichi grammatici, come Esichio, interpretano la voce Tτράρχαι per βασιλεῖς.

A quella così pazza ed inaspettata promessa la fanciulla non sapendo che si rispondere, uscì fuori a consultarne la madre; e questa, non le parendo vero di avere così opportunamente la palla al balzo, non esitò un istante a dare il suo avviso dicendo: Domanda il capo di Giovanni Battista: At illa dixit: Caput Ioannis Baptistae". Chi conosce di quali pervertimenti sia capace la gentile è dilicata indole muliebre, tanto più feroce talora quanto è più debole, non si stupirà che tal madre potesse a figlia degna di lei proporre quell' incredibile eccesso, che fu preferire l'uccisione di un giusto ad un mezzo regno che erale stato offerto. E tuttavolta il computo era stato fatto con senno. Finchè era vivo il Battista, ci era sempre rischio, che dalla sua autorità e dalle sue parole vinto il Tetrarca, avesse finalmente scacciate dalla sua casa quelle due sgualdrine; laddove tolto di mezzo quell'importuno censore, esse non ottenevano un mezzo regno, ma si mantenevano un regno intero sopra l'animo abbietto d' un tirannello, docile strumento delle prave loro voglie. Nè la fanciulla inorridì alla scellerata proposta : già avea bevuta col latte la crudeltà materna, e da gran pezzo Erodiade ispirando alla figlia il proprio odio pel Profeta, l'avrà abituata a riguardare in lui uno sfidato comune nemico. Così pertanto indettata Salome rientrò nella sala, e presentatasi ad Erode colla fronte alta, come chi venisse a riscuotere un suo diritto, ed un diritto veramente le pareva avere acquistato dalla colui promessa giurata, gli disse: « Voglio che incontanente tu mi dia in un bacile il capo di Giovanni Battista: Volo ut protinus des mihi in disco caput Ioannis Baptistae ». Questo protinus, rispondente molto bene a quella fretta, onde la fanciulla era rientrata nella sala cum festinatione, dimostra come entrambe, madre e figlia, consapevoli del quanto fosse volta

bile il colui animo, temevano che da un istante all' altro potesse cangiare consiglio e deludere ogni loro disegno.

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Nelle moderne abitudini anche malvage e cortigianesche tutto codesto garbuglio dovrebbe parere strano e quasi incredibile; ma per ciò che ne sappiamo dalle storie erano cose poco · meno che consuete, e sono in piena conformità con quello che Giuseppe Flavio ci narra di quella nefasta progenie degli Erodi. Ciò nondimeno, che anche allora dovette giungere singolare e forse anche ridicolo, fu il gran caso che il Tetrarca volle fare del giuramento, dal quale si credeva obbligato a soddisfare la scellerata domanda. Già è quasi dettame di natura, che il giuramento, atto strettamente religioso, non può essere mai vincolo d'iniquità, come dicono i Teologi morali: e pare che quel tiranno non potesse soffocare del tutto quel dettame; in quanto alla inaspettata domanda fu turbato : Et contristatus est rex propter iusiurandum. Ma ad acquetare quel turbamento vennero in buon punto i conforti della Erodiade, le lagrimucce della danzatrice, ed i consigli dei circostanti: tutta gente acconcissima a risolvere quel caso di coscienza. Il fatto è che il re, per non contristare innanzi ai convitati la fanciulla: Propter simul discumbentes noluit eam contristare, si decise, come parlò S. Agostino, a mantenere empiamente ciò, che stoltamente avea giurato". Il perchè di presente comandò ad un manigoldo portasse ivi in un bacile il capo di Giovanni. Misso spiculatore 2, praecepit afferri caput eius in disco; perchè la domanda fosse non pure nella sustanza, ma eziandio nel modo in ogni sua parte compiuta. E quegli, decollato Giovanni nel carcere, ne diè il capo in un bacile alla danzatrice, e questa lo diede alla madre sua. Et decollavit eum in carcere. Et attulit caput eius in disco, et dedit illud puellae, et puella dedit matri suae 33.

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Nulla più efficace della sublime semplicità e della mestizia solenne di questa narrazione, a far sentire tutta l'atrocità infanda di quella tragedia, della quale un Santo, ed un Santo di quella portata, fu la vittima insieme ed il protagonista. Una femmina incestuosa ed adultera, che a sfogo di antichi odii fa dimandare l'uccisione del Profeta; un regolo vituperoso che, sotto specie di attenere un precipitoso ed empio giuramento, la concede; una fanciulla che non rabbrividisce a prendere in

mano il capo testè reciso e sanguinoso di un uomo, che cogli occhi semispenti l'avrà ancora guardata e minacciata, sono un tal gruppo di mostruose atrocità empie, che gli annali delle umane scelleratezze ne potranno avere un somigliante, non credo ne abbiano un maggiore. E pure tra quel gruppo di mostruose atrocità empie permise Dio, che si tramasse, si decidesse e si eseguisse la uccisione del suo Precursore, della creatura più santa, che per quel tempo, salvo solo la B. Vergine, vivesse in terra. Giuseppe Flavio che del Battista ci tesse uno splendido elogio ", narra che compiuto l'indegno fatto, ne fu un gran rammarico nel popolo; ma nou si legge che questo zittisse per giustificare i timori di Erode. Ma appunto da quel popolo uscirono quei ventimila, che restarono trucidati nella guerra, che Areta re degli Arabi e suocero di Erode gli mosse in vendetta dell' oltraggiata figliuola. Di queste cose attenentisi agli occulti giudizii di Dio, che si compivano per fatti narrati dalla storia profana, i due Evangelisti non toccano; ma continuandosi entrambi nella semplicità maestosa della loro narrazione, la conchiudono con queste parole, piene di solenne e mesta tranquillità: Le quali cose sapute dai discepoli di Giovanni, essi vennero, e presone il corpo, lo deposero in un monumento. Quo audito discipuli eius venerunt, et tulerunt corpus eius et posuerunt illud in monumento. Così finì l'ultimo giusto nell'antico Testamento, ed il primo del nuovo, ma poichè noi ne abbiamo considerato il fine, quale, dagli Evangelii ci è descritto, deh! non si dica di noi che il giusto finisce, senza che alcuno ne ripensi la fine. Facciamo di ripensare questa, ed impariamovi quale è il modo, onde il mondo tratta i servi di Dio, e qual'è la nobile mercede onde Iddio rimerita in questo mondo i servi suoi,

SECONDA PARTE

VI. Dalle grandi colpe degli uomini, vi sarà certo molto caro, miei amatissimi, tornare un tratto alla grande misericordia di Dio: due oggetti che in astratto hanno sempre, ed assai spesso

anche in conereto un vincolo molto stretto tra loro. Vi dissi che pei poveri peccatori è piena di grande consolazione quella parola detta dal Salvatore nel convito del Fariseo: A chi meno è perdonato meno ama, e quindi a chi più è perdonato più ama. Cui minus dimittitur minus diligit; di che seguirebbe, che a chi niente è perdonato niente ama. La quale ultima illazione a rigore di logica verissima, va incontro, moralmente parlando, ad uno scoglio, che ha dato molto a pensare ai Teologi. E pure voi, anche senza essere Teologi, se terrete presente ciò che pocanzi vi feci notare intorno a questo testo, non pure schiverete felicemente lo scoglio, ma scoprirete una verità gloriosa altrettanto a Dio, che consolante per noi. Se pertanto quel cui minus dimittitur minus diligit s'intenda, non dell'amore in genere, che per sè non dee e non può presupporre nessun peccato; ma s'intenda di quella speciale maniera di amore, che si desta nell' anima colla memoria di avere peccato, e colla ferma fiducia di averne portato il perdono; se, dico, s'intenda così quella parola, allora è evidente, che di questo speciale amore non possono amare Dio gl' innocenti; lo possono molto bene amare i penitenti, ed i penitenti soli. Anzi dall' intenderla a quel modo si fa altresì evidente, che quanto furono più frequenti di numero le colpe, e per gravità più intense, e tanto ne è, o certo ne dovrebb' essere più ampio e più intenso quell' amore. Tant'è! Non ne dubitate! S. Agostino e S. Maria Egiziaca ebbero una cotale loro maniera propria di amare Dio, la quale fu ignota alla Vergine benedetta ed al Battista; e della quale dovremmo noi partecipare a misura dei peccati, che commettemmo, e del perdono che confidiamo averne conseguito.

Dal quale assai chiaro discorso guardate quale altra conseguenza si potrebbe inferire! Se ne inferisce, che nella sventura di avere offeso Dio, la persona che sa di essersene pentito, e spera di averne conseguita misericordia, può scorgere un lato, pel quale lodare, benedire, ringraziare Dio dei medesimi suoi peccati. Ma badate! non dei peccati per loro medesimi; così quelli non possono essere oggetto, che di profondo abbominio; si veramente della. gloria, che viene a Dio dallo averli con si profusa misericordia perdonati. Sarebbe, come a dire, il caso di un infermo disperato il quale, guarito per opera di un medico amatissimo,

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