Page images
PDF
EPUB

10

dicebat; et crediderunt Scripturae, et sermoni, quem dixit Iesus: alla Scrittura, che ne conteneva aperto predicimento; a questa parola di Gesù, che ne avea determinato anche il giorno. Per contrario, i pertinaci ed increduli Giudei se ne ricordarono tre anni dopo, per falsarle e calunniarnelo innanzi a Pilato, apponendogli di avere detto, che egli avrebbe distrutto il tempio 1o, quando il Signore avea detto distruggetelo: solvite ; e volea dire voi lo distruggerete. Intanto allora quei tristi, intendendo quelle parole del tempio materiale, perfidiarono, in aria di schernirnelo, soggiungendo: « Come? Tu riporre in piedi in tre giorni que« sto tempio, a cui edificare si vollero 46 anni? Quadraginta « et sex annis aedificatum est templum hoc, et tu in tribus « diebus excitabis illud? » Ma Gesù per allora non li degnò di altra risposta.

11

Or qui si domanda in qual modo si potè dire, che quel tempio era stato edificato in 46 anni? E pria di tutto è fuori di dubbio, quì non parlarsi del tempio edificato la prima volta da Salomone, sì perchè ad innalzare quello si erano impiegati soli sette anni e mezzo 11, e sì perchè quello era stato affatto distrutto, molti secoli innanzi, dai Caldei. Neppure si potè alludere senz'altro al tempio riedificato, dopo il ritorno dalla cattività, per opera di Zorobabele, il quale lavoro si compì in non più di 20 anni 12; e nondimeno questo era il tempio, che stava in piedi al tempo di Cristo, e che fu incendiato dai Romani sotto di Tito; tanto che si chiamò sempre domus secunda, non mai tertia. Dall' altra parte era stato predetto che quel tempio appunto, riedificato dopo il ritorno dalla cattività, sarebbe stato riempito di gloria, perchè vi sarebbe venuto il Desiderato da tutte le genti: ciò si leggea nella profezia di Aggeo 13. Al tempo di Cristo pertanto era in piedi il tempio di Zorobabele; ma i Giudei coi loro 46 anni intesero parlare di altro, che degli anni spesi nella costruzione di quello.

Egli è dunque a sapersi, che il primo Erode, per ingraziarsi la nazione, o per altre cagioni che noi ignoriamo, imprese a fare grandiosi lavori intorno a quel tempio secondo, per ristaurarlo, ampliarlo, abbellirlo; ma fecelo a poco a poco, perchè non se ne dovesse sospendere l'esercizio del culto. Ora da Giuseppe Flavio sappiamo, che quei lavori furono incominciati l'anno 18 di Erode dal secondo inizio del suo regno, nel quale anno Au

[ocr errors]

gusto andò per la seconda volta nella Siria, sendo Consoli M. Apuleio e P. Silio 15. E poichè a quell' anno Erode ne sopravvisse 17, e morì quando il Signor N. ne avea un po'più di due, ne séguita, che noverandone questi ora 31, quei lavori, con varii e lunghi interrompimenti, erano durati gli ultimi 17 anni di Erode, ed i primi 29 del Salvatore; e però erano precisamente 46, quando i Giudei gli dissero quella parola. È tuttavia da osservare, che quell' opera non fu compiuta, che l'anno 10 di Nerone, cioè tra il 63 ed il 64 dell' Èra vulgare; e però allora durando ancora, l'aedificatum est, come l'wxodoμnon del greco, si deve intendere in senso di continuazione, cioè si sta edificando da 46 anni. Da ultimo, notate, che un altro scacciamento fatto da Gesù dei profanatori del tempio ebbe luogo nell' ultima sua Pasqua, ed è narrato dagli altri tre Evangelisti1o; sicchè parve che il Signore volesse iniziare e conchiudere la sua predicazione con un tratto di zelo per l'onore della Casa di Dio. Che poi i due racconti riguardino due fatti diversi, apparisce evidentemente da tutta la serie della storia evangelica, e peculiarmente dalle diverse parole, che nell' uno e nell' altro furono dette; ma soprattutto è chiaro da questo, che, dopo il narrato da S. Giovanni, Gesù tornò nella Galilea; laddove, dopo il narrato dagli altri tre, seguì immediatamente la sua Passione e morte, alla quale, com'è affermato da Marco 17 e da Luca1 quello scacciamento die' se non l'ultima, certo una delle più potenti spinte.

17

18

IV. Trovandosi Gesù in Gerusalemme per la Pasqua, molti credettero in lui al vedere i segni, o vogliamo dire le opere miracolose, che egli faceva a dimostramento dell' essere suo. La quale espressione c'induce ragionevolmente a pensare, quì alludersi ad altre opere, che il Signore fece in quel tempo, ma non furono registrate negli Evangelii, essendo certo da una parte dallo stesso S. Giovanni ", che queste opere non ricordate vi furono ed innumerevoli; e dall' altra non essendo men certo, che il fatto dell' avere s cacciati i profanatori dal tempio, il solo che si narri per quella sua prima venuta nella santa città, sarebbe troppo poco per quella così ampia espressione molti avergli creduto, propter signa quae faciebat. La coloro Fede nondimeno non dovea essere molto salda, nè se ne potea fare.

gran caso; perchè, come nota il Crisostomo, gli Scribi ed i Farisei, cominciando ad invelenirsi contro di Gesù, poteano molto bene, colla loro autorità e più coi loro tranelli, travolgere gli animi dei Giudei; i quali quasi tutti d'indole voltabili e poco fidi, erano dispostissimi a lasciarsi sedurre, come generalmente sono le moltitudini nelle grandi e molto incivilite Capitali. Il perchè ci fa sapere l' Evangelista, che Gesù vi stava con qualche riserbo, e non si affidava loro: Non credebat semetipsum eis; e ciò, non per relazioni ch' ei ne avesse avute da suoi confidenti, ma perchè egli conosceva tutti; nè già solo di sembianza o di nomi, od al più pei discorsi loro od altrui, che sono le sole maniere, che noi uomini abbiamo, per conoscere i nostri simili: maniera abbastanza fallace, per la quale tanto spesso vi restiamo gabbati. Ma Gesù li conosceva in quella maniera intima, profonda, penetrante, onde il Creatore, presente a tutto, vede tutto, fino i più riposti e segreti moti dello spirito, fino negli arcani recessi della coscienza, dove non può penetrare altro. sguardo, che il suo. Opus ei non erat ut quis testimonium perhiberet de homine; ipse enim sciebat quid esset in homine. Della quale conoscenza degl'intimi pensieri, che l' uomo asconde nelle alte mansioni della mente, si potrebbe con facile discorso dimostrare, non potere essere propria, che di solo Iddio.

Tra coloro, che credettero in Cristo alla vista od alla fama delle sue opere, vi fu certo uomo di sètta Fariseo per nome Nicodemo, principale tra i Giudei; e la voce pov del greco, più che non la latina princeps, importa un qualche potere nella pubblica cosa: si tiene dai più, che fosse membro del Sanhedrin o Sinedrio. Questi, appunto perchè locato molto alto, come vi feci considerare da principio, benchè già credesse a Cristo, non ebbe animo di professarlo spiegatamente ed accostarglisi, come tanti del piccolo popolo faceano. Ottenuto pertanto un segreto colloquio con Gesù, vi andò con grande circospezione di notte; e, come gli fu innanzi, gli disse: « Maestro, noi sappiamo, « che tu venisti da Dio ad istruire (così deve intendersi quel « venisti magister, perchè non sia una ripetizione del rabbi); << chè nessuno potrebbe fare le opere, che tu fai, se con lui << non fosse Dio: Rabbi, scimus quia a Deo venisti magister; « nemo enim potest haec signa facere, quae tu facis, nisi fue<< rit Deus cum eo ». Qui Nicodemo, parlando in plurale, mo

stra quasi di essere venuto a prendere informazioni anche per conto di altri; e può ben essere, che glielo avessero commesso alcuni amici e colleghi, ai quali non era bastato il coraggio di andarvi neppure di notte. Il suo discorso poi era giustissimo; quantunque la sua Fede non fosse ancora quello, che dovea essere. Dal miracolo non si può dedurre altro, che l'intervento divino; e però colui ne inferiva, che Gesù era venuto da Dio (a Deo venisti), e che Dio dovess' essere con lui (fuerit Deus cum eo); ma che esso medesimo fosse Dio, ciò non si potea rilevare dal semplice miracolo, ma dovea impararsi da lui stesso.

Allora Gesù gli rispose: « In verità ti dico: Se altri non sia nato di nuovo (quel renatus, che rende inutile il denuo, non è nel greco, il quale ha semplicemente γεννηθῆ ἄνωθεν, nato o meglio, generato di nuovo 20), non può vedere il regno di Dio: Amen, Amen dico tibi: nisi quis renatus fuerit denuo, non potest videre regnum Dei. L'Amen, anche raddoppiato, non è formola di giuramento, come altri pensò; ma è una semplice particella ebraica asseverativa, ed equivarrebbe al nostro certamente, veramente, derivandosi dal verbos (aman) fu fermo, fu sicuro; quella particella raddoppiata, come solo usa e spesso S. Giovanni nel suo Vangelo (lo fa non meno di 26 volte), rincalza l'affermazione: ripetuta dopo il detto da altri, lo approva e conferma, come si usa oggi nella liturgia cristiana. Il videre poi regnum Dei è un ebraismo, per significare acquistare, possedere quel regno. La quale risposta, non legata da alcun nesso colla proposta, mi rende indubitato, che una parte di questa fu preterita dall' Evangelista; ma dalla risposta stessa si può molto bene supplire ciò, che sembra mancarvi. Nicodemo pertanto, dopo quella professione di Fede, dovette chiedere al Salvatore, che cosa fosse a farsi per entrare nel regno di Dio, del quale regno si dovea già parlare molto nella Giudea, da che il Battista ne avea annunziato l'avvenimento: era in sustanza un presso a poco la domanda, che al Battista stesso aveano mossa le turbe, i soldati ed i gabellieri: Quid faciemus? Allora il Signore gli rispose, richiedersi la rigenerazione: nasci denuo, intendendo manifestamente il rinascere a quella nuova vita dello spirito, la quale egli era venuto a dare al mondo, secondo che dichiara, al suo solito, profondamente e nobilmente, sopra questo luogo, S. Agostino "1.

21

«

Ma quel bravo uomo era un po' di grossa pasta in fatto di spirito, come erano quasi tutti i suoi connazionali di quel tempo, e sono per nostra sventura quasi tutti i suoi pari nel presente; e non avendo altezza di mente uguale all'eminenza del suo grado, prese la cosa materialmente, come suonavano le parole; e però ne mosse un dubbio appena perdonabile ad un bimbo tant'alto, chiedendo: « Or come può egli nascere un uomo già attem« pato? Forse che può esso entrare da capo nel seno della ma« dre e rinascere? Quomodo potest homo nasci cum sit senex? Numquid potest in ventrem matris suae iterato introire, et « renasci? » A quella così strana e puerile difficoltà, Gesù, pieno di benigna condiscendenza verso la colui lentezza nell'intendere, gli dichiarò con parole anche più esplicite, come egli intendeva di una rigenerazione spirituale, rispondendogli in questi termini: « In verità ti dico, che se altri non sia rinato di acqua « e di Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio: Nisi « quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest in« troire in regnum Dei ». Con ciò gli veniva a manifestare l' efficacia insieme e l'assoluta necessità del nuovo battesimo da lui già istituito, quando lo ricevette dal Battista nel Giordano; che dagli Apostoli, nel nome di lui, poco dopo si amministrò, e la cui obbligazione, come necessità di mezzo alla salute, non fu imposta a tutti gli uomini, che dopo la Pentecoste; fin d'allora nondimeno stringeva i Giudei, che ne avessero avuta sufficiente contezza. A fargli poi intendere onde nascesse quella necessità di rinascere spiritualmente, per entrare nel regno di Dio, cosa tutta spirituale, soggiunse: Quod natum est ex carne, caro est; et quod natum est ex Spiritu, spiritus est; quasi volesse dire: Dalla generazione carnale, come tu solamente la concepisci, non può nascere, che carne, affatto sproporzionata al regno di Dio; per trovarsi atto a quello, bisogna essere spirito, e lo spirito non può procedere che da spirito 22. « Non ti maravigliare adunque (conchiuse il Salvatore) se ti dissi do« vere voi nascere di nuovo: Non mireris, quia dixi tibi: opor«tet vos nasci denuo ».

«

Restava tuttavia a sapersi come farà l'uomo ad ottenere questa rigenerazione spirituale; e benchè Nicodemo non movesse questa difficoltà, Gesù nondimeno, preoccupandola, la risolve col dire, ciò essere per dono affatto gratuito dello Spirito

"

« PreviousContinue »