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Fa poi tre sonetti su queste metafisicali sguaiataggini. In un sonetto spiega quel che gli accadde quando levò gli occhi, come udimmo pocʼanzi, “levai gli occhi":

E se io levo gli occhi per guardare,

Nel COR mi s'incomincia un terremoto

Che fa dai polsi l'ANIMA partire.

In un altro sonetto parla dell'ANIMA ch'era da lui partita, quando si sentì quel tremore nel petto dalla sinistra parte, e non si dimentica mica del CORE:

Lo viso mostra lo color del CORE

Ch'è tramortendo dovunque s'appoia* (s' appoggia)...
Peccato fa chi allora mi vede

Se l'ALMA sbigottita non conforta.

In un altro sonetto indica il mistero d'essersi appoggiato simulata mente ad una pittura.

Ond' io mi cangio in figura d'altrui,

Ma non sì ch'io non senta bene allora
Li guai de' discacciati tormentosi.

E dopo questo sonetto soggiunge in prosa così: "Vero è che tralle parole ove si manifesta la cagione di questo sonetto si truovano dubbiose parole; cioè, quando dico che Amore uccide tutti gli miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori degli strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simil GRADO fedele d'Amore, ed a coloro che vi sono (in simil GRADO) è manifesto ciò che solverebbe le dubbiose parole. E perciò non è bene a me dichiarare cotal dubitazione, a ciò, che il mio parlare sarebbe indarno, ovvero di soperchiot. Appresso la mia trasfigurazione mi giunse un pensamento forte." (pp. 21, 22.) Questa trasfigurazione, di cui parla e riparla, non era diversa da quella di Raffaello; cioè l'essersi cangiato in figura d'altrui fuori di sè, l'aver

*Cioè, il CORE sta tramortendo dovunque s'appoggia.

+ Indarno ai profani, di soperchio a chi era in simil grado fedel d'Amore, poichè sapea che ciascuna delle due persone, le quali figurano a lui dinanzi le sue due facoltà interne, porta in mostra un Occhio scolpito in oro," an Eye of gold."

appoggiata la sua persona, simulata mente, ad una pittura, che lo fè divenir tre, PER SIMILITUDINE DICO.

Si può egli parlar. più chiaramente di quel che Dante ha qui fatto, per dire che vi erano di coloro che capivano il suo gergo? e che questi erano i fedeli d'Amore ch'erano in simil grado? E spesso fa così nella Vita Nuova; e già l'udimmo più addietro, là dove, dopo averci assicurato d'aver fatto due parti di sè stesso, l'ANIMA e il CORE, in senso di Ragione ed Appetito, soggiunse: "E che degno sia di chiamare l'Appetito CUORE, e la Ragione ANIMA assai è manifesto a coloro a cui mi piace che ciò sia aperto;" cioè ai fedeli d'Amore. Ecco alcuni altri simili passi: "La mia donna fu immediata cagione di certe parole che nel sonetto sono, siccome appare a chi le intende." (p. 11.) 'Di ciò toccai alcuna cosa nell'ultima parte delle parole ch'io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le intende." (p. 12.) "Chiamo i fedeli d'Amore che m'intendano." (p. 53.) E questi fedeli d'Amore vivevano nel terzo cielo, nell'astro di Venere, poichè là si sposano Amore e Psiche. A tali abitatori del terzo cielo, volendo meglio spiegare la Vita Nuova, scrisse le canzoni in gergo che comentò nel Convito, i quali abitatori divenivano donne, perchè eran considerate come anime, e l'udimmo poc' anzi dall' amante di Lucia col cappuccio. Ecco come comincia la prima canzon del Convito. Voi che, intendendo, il terzo ciel movete,

Udite il ragionar ch'è nel mio core,
Ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo:

Il ciel che segue lo vostro valore

Mi tragge nello stato ove mi trovo :

Onde il parlar della Vita (Nuova) ch'io provo

Par che si drizzi degnamente a vui:

Però vi prego che lo m'intendiate.

Io vi dirò del COR la novitate

Come l'ANIMA trista piange in lui*,

A smascherare i fantasmi di questa impercettibile finzione, che prese aspetto d'indubitabile realità, sarà bene innanzi tratto stabilire le principali basi su cui il ghiribizzoso edificio di un

*Indica il primo sonetto della Vita Nuova, in cui il suo Cuore, cangiato in Amore, ha in braccio l'Anima sua, cangiata in Donna, che piange.

tal gergo si fonda. Nel far ciò prenderò Dante per guida principale, e nulla avanzerò che da lui non sia o in gran parte esposto o pienamente confermato.

Mosè pose la sede dell'Anima nel sangue; onde nel settimo del Levitico scrisse: "Anima omnis carnis in sanguine est :”“tanquam in sede sua,” annota ivi il Tirino: dottrina che passò a molti filosofi antichi, fra i quali ad Empedocle. Sì alla sacra che alla profana autorità appoggiato, Dante pose anch'egli la sede dell'Anima nel sangue; onde fè dire da un'Anima purgante che, mentr' era al corpo congiunta, ella sedea sul sangue ("uscì il sangue sul quale io sedea." Purg. v.): "Anima carnis, seu animalis in sanguine sedem habet, sive ubicumque sanguis est ibi est Anima:" glosa il Bonfrerio, al nono della Genesi.

Il poeta stabilì su di ciò una distinta teoria, per bocca di quel suo Stazio Tolosano ch'egli introdusse nel mondo delle anime ad esporre il mistero della generazione umana*; ed ecco in breve ciò che insegna. Un così detto sangue perfetto prende nel cuor del generante (fonte del sangue, o lago del cuore) virtù informativa a tutte membra umane; in guisa che la virtù attiva di tal sangue perfetto comincia tosto ad operar dov'è scesa, ed opera tanto ch'è “Anima fatta la virtute attiva." Dapprima è solo Anima vegetale, ma poi a questa si aggiunge la sensitiva, ed in fine la razionale. Per la prima l'uomo somiglia alle piante, e per la seconda agli animali, ma per la terza ha la sua caratteristica distintiva e propria, la quale è infusa così. Quando il motor primo spira in lui “ Spirito nuovo di virtù repleto," un tale Spirito nuovo tira in sua sostanza ciò che ivi trova, talchè delle tre Anime fassi un'Alma sola, la quale vive per la vegetale, sente per l'animale, e sè in sè rigira per la razionale†. Nel

* Mistero veramente, poichè quella ch' ivi a lungo spone non è teoria fisica ma allegorica, la quale sulla fisica è da lui appoggiata.

+ Dopo il verso " Apri alla Verità che viene il petto," continua così : "Lo motor primo a lui si volge lieto

Sopra tant' arte di natura, e spira
Spirito nuovo di virtù repleto,

Che ciò che trova attivo quivi tira

In sua sustanza, e fassi un' Alma sola,

Che vive, e sente, e sè in sè rigira." (Purg. xxv.)

punto poi che l'uomo muore*, un tale spirito nuovo solvesi dalla carne, e porta seco l'umano e'l divino, con tutte tre le potenze, Memoria, Intelligenza e Volontate,

In atto molto più che prima acute.

Ed è da notare che queste tre potenze, le quali nello spirto sciolto dalla carne divengono molto più che prima acute, corrispondono alle tre Anime di sopra espresse; quella che vive risponde alla Memoria, quella che sente risponde alla Volontà, quella che sè in sè rigira, cioè riflette, risponde alla Intelligenza.

Egli è dunque tanto sicuro aver Dante posta la sede dell' Anima nel sangue, che per la virtù attiva di esso fa sorgere nell'uomo la prima Anima, a cui si aggiunge la seconda, ed a questa la terza, la quale tira a sè le due altre, sì che di tre fassi un' Alma sola.

Or dunque se da lui udiamo che quando ei fissò gli occhi nella sua donna sentì un tremor così forte dalla sinistra parte ov'è il cuore, che quel tremore gli fè dai polsi l' Anima partire↑, noi cominciamo a capire che cosa ei vuole significare. E meglio lo intenderemo per altre sue parole, con le quali comenta il primo verso della seconda canzone del Convito, in cui ad Anima sostituisce il sinonimo Mente.

"Amor che nella Mente mi ragiona.

"Questa donna spiritualmente fatta era colla mia Anima una

* Morte mistica, espressa perciò con immagine mitologica, “E quando Lachesì non ha più lino."

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Ed a questa finzione chi lo menò? Quella Lupa persecutrice che gl'intercise il precedente cammino, quella che non lascia altrui passar per la sua via, e di cui cantò,

"Ella mi fa tremar le vene e i polsi;” (Inf. i.)

e così gli fè dai polsi l' Anima partire; e lo stesso avea fatto a Pier delle Vigne, che per esser fedele al suo geloso ufficio, e per illuder l'avversaria, ricorse alla stessa finzione; e lo narrò col dire :

"Fede portai al glorioso uffizio,

Tanto ch'io ne perdei le vene e i polsi." (Inf. xiii.)

cosa sola. Lo loco nel quale dico esso Amore ragionare si è la Mente; e però è da vedere che questa Mente propiamente significa. Dico adunque che il Filosofo (Aristotele) nel secondo dell' Anima, partendo le potenze di quella, dice che l'Anima principalmente ha tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare*. E secondo che esso dice, è manifestissimo che queste potenzie sono intra sè per modo che l'una è fondamento dell'altra; e quella ch'è fondamento puote per sè essere partita; ma l'altra che si fonda sopr' essa non può da quella essere partita. Onde la potenzia vegetativa, per la quale si vive, è fondamento sopra la quale si sente; e questa vegetativa potenzia per sè può essere Anima, siccome vedemo nelle piante tuttet. La sensitiva senza quella esser non può: non si trova alcuna cosa che senta che non viva. E questa sensitiva è fondamento della intellettiva, cioè della ragione; e però nelle cose animate mortali la ragionativa potenzia senza la sensitiva non si trova; ma la sensitiva si trova senza questa, siccome nelle bestie. E quell'Anima che tutte queste potenzie comprende è perfettissima di tutte le altre. E l'Anima umana la qual è colla nobiltà della potenzia ultima, cioè ragione, partecipa della divina natura, a guisa di sempiterna intelligenza; perocchè l'Anima è tanto in quella sovrana potenzia nobilitata e denudata da materia che la divina luce, come in Angiolo, raggia in quella.-Perchè è manifesto che per Mente s'intende quest'ultima e nobilissima parte dell' Anima. Onde si puote omai vedere che è Mente, che è quel fine e preziosissima parte dell'Anima che è Deitade. E questo è il luogo dove dico che Amore mi ragiona della mia donna. Non senza cagione dico che Amore nella Mente mia fa la sua operazione, ma ragionevolmente ciò si dice a dare ad intendere qual Amore è questo, per lo loco nel quale adopera‡.”

* Già dicemmo che queste da lui dette potenze corrispondono alle altre da lui espresse così:

"L'altre potenze tutte quante mute,

Memoria, Intelligenza e Volontate." (Purg. xxv.)

+ Scorgeremo ch'egli cinto di giunco, e rifatto come piante novelle, è appunto ciò che qui dice, "questa vegetativa potenzia per sè può essere Anima." Vedi il primo e l'ultimo canto del Purgatorio.

Convito, tratt. iii. cap. 2.

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