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PREDICA UNDECIMA

De' falsi piaceri dal diavolo amministrati.

Quomodo facti sunt in desolationem.

Psal. 72.

Brevemente, nella lezione esterna, dilettissimi, dicemmo che il favo del mele che ministra il diavolo alli reprobi, nel quale loro si pensano d'essere felici, non solo non gli fa felici, ma miseri, e per permissione di Dio, cede loro in dannazione, e in maggiore utilità degli eletti. Dicemmovi che questi empii sono significati per la Babilonia che fu destrutta dalli Medi, e dalli Persi, e fu fatta abitazione di demonii e di bestie ferocissime, e che della conversion loro non è alcuna speranza, perchè sono ostinati, e però non si può più questa Babilonia riedificare nè fondare; dicemmo poi che 'l difetto non viene da Dio, perchè lui come prima causa e sommo provisore non manca mai alle sue creature, ma dà loro sufficiente adiutorio a convertirsi; ma essi per la loro perversità non l'accettano, ma sibbene credono al diavolo, che porge loro il favo e la dolcezza di queste cose temporali, e appoco appoco toglie loro la candela di mano, cioè il lume spirituale, e così facilmente camminando per questa selva oscura senza lume, inciampano e danno in molti lacci. Dicemmo ultimo, che costoro sono occasione della ruina degli altri, perchè le case loro e li palazzi e le corti loro sono recettacoli di ribaldi, quali per essere favoriti da' loro padroni, fanno il peggio che possono. Seguitammo poi li versetti del salmo, che confermavano questo medesimo, e più, che questo favo cominciava

loro a diventare amaro. Insino qui procedemmo; ma io non sono contento, che io vi voglio rivelare un secreto che forse non sanno molti, e non credono. Quomodo impii facti sunt in desolationem? Io vi voglio mostrare, che questo favo che ministra il diavolo, mangiato che gli è, non solo è amaro, come abbiam detto, ma genera dolori grandissimi nel ventre spirituale dell'anima

nostra.

Egli è molto utile, fratres mei dilectissimi, e molto salubre rivelare i secreti del diavolo, le malizie e l'astuzie colle quali c'inganna; acciocchè sappiamo come noi ci abbiamo a governare da lui, e a questo proposito m'occorre quello che è scritto in Tobia al capitolo quinto, dove dice che Tobia vecchio comando al suo figliuolo Tobia che andasse in Rages, città de' Medi, per riscuotere certa pecunia, e partendosi, un cane se gli avviò dietro; e lo primo giorno alloggiò lui e l'angelo che era seco presso al fiume Tigris. Tobia chinandosi per voler lavarsi i piedi, un gran pesce usci dell' acqua per divorarlo, del che ebbe gran paura e chiedeva aiuto all' angelo. Il quale gli disse: non temere, piglialo per la branca, e tiralo fuora, dividilo, e piglia il cuore di quello e il fiele e il fegato, perchè queste cose ti saranno utili e necessarie. E così fece; la carne del pesce arrostì, una parte ancora ne insalò, tanto che bastò loro per tutto quel viaggio, insino che pervennono a quella città di Rages sopraddetta. L'angelo e Tobia, significano la divinità e umanità di Cristo. Tobia pervenne al fiume Tigris, cioè in questo mondo flussibile e rapacissimo. Il cane che lo seguitò, significa l' officio del predicatore, perchè Cristo venne al mondo per predicare la verità. S'inchinò in terra per lavare i piedi nel fiume, così Cristo s'abbassò e umiliò, che volle lavare i piedi a' suoi discepoli. Ovvero li piedi sono gli affetti degli apostoli, i quali lui mondò, mediante il sermone della sua predicazione, onde disse agli apostoli: Iam vos mundi estis propter sermonem quem locutus sum vobis. Il pesce che uscì del fiume per divorare Cristo, questo è il diavolo che sino allora stava nascosto ne' cuori lubrici degli uomini carnali e mondani, e come e' sentì venire Cristo a predicare la verità, subito saltò fuora e manifestossi per contradirgli, e volevalo divorare, ma e' rimase preso al lacciuolo per virtù della divinità che era in Cristo. Tobia ebbe paura, perchè Cristo, quanto all'umanità temeva, onde diceva: Tristis est anima mea usque ad mortem. L'angelo, cioè la divinità lo animava. Tobia prese it

pesce per la branca, perchè Cristo enervò la potestà del diavolo, che non può tanto nuocerci quanto prima, lo sparò, manifesto i secreti del diavolo a' suoi eletti. Il cuore del pesce è l'astuzia del diavolo. Il fiele la malizia. Il fegato la diversità degl' inganni; la cognizione delle quali cose, cioè dell' astuzia, della malizia, e delle sue decezioni è necessaria a medicare l'anime. Le carni del pesce sono li peccatori che 'l diavolo avea incorporati. E questi gli arrosti Cristo col fuoco dello Spirito Santo, e menogli seco in paradiso. Questi sono i primi cristiani. L'altre carni del pesce, cioè gli altri cristiani convertitili, insalò del sale della sapienza, acciocchè si conservassino in questa nostra via e peregrinazione, per pascere noi altri delli loro esempi. Adunque è buono manifestare tutte queste cose e massime l'astuzie del diavolo e la malizia degli empii che sono suoi membri, acciocchè possiate schifarli.

Se voi vi ricordate bene, io posi Abel, e collocailo da una parte in persona di tutti i giusti, e Caino dall' altra parte che teneva la parte di tutti gl' ingiusti. E però io voglio recitare l'istoria per potervi fondare su l'allegoria, acciocchè voi intendiate quanti mali hanno gli empii dentro nel cuore. Poichè Caino ebbe commesso l'omicidio, avendo morto Abel suo fratello, il Signore lo ritrovò e disse: Ubi est Abel frater tuus? Dove è il tuo fratello? rispose Caino: io non lo so: Nunquid custos fratris mei sum ego? Ho io ad avere cura del mio fratello, dove e' si stia, o dove e' si vada? Il Signore gli scuopre il peccato suo e dice: Quid fecisti? O Caino, che tu hai fatto? Come sei tu stato tanto crudele? Sappi che la voce del sangue del tuo fratello grida a me insino dalla terra, per la qual cosa: Maledictus eris super terram. La quale ha aperta la bocca sua, e ha ricevuto il sangue del tuo fratello dalla mano tua. Dice san Tommaso, in quarto sententiarum alla distinzione quarantasette, che, così come due sono l'operazioni di Dio, così due sono li giudicii che corrispondono a tali operazioni. Iddio in due modi ha operato nell' universo. Primo, dando l'essere alle creature nel principio quando e' le produsse, istituendo la natura, e distinguendo esse creature, ordinandole e facendole perfette in sua specie. Dalle quali operazioni, e' si riposò il settimo giorno. Secondo, ha operato Iddio e opera in questo mondo governando le sue creature e dirizzandole al fine loro; della quale operazione è scritto in san Giovanni: Pater meus usque modo operatur, et ego operor. Alla

SAVONAROLA, Opere. Vol. I.

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prima operazione di Dio corrisponde il giudicio universale, che sarà nella fine del mondo; alla seconda operazione, cioè della gobernazione di questo mondo, corrisponde il giudicio particolare, che fa Iddio in questo mondo. Imperocchè non si può governare questo universo senza qualche giudicio. E però Iddio mediante questo giudicio particolare giudica al presente ciascuno particolarmente, e in questa vita bene spesso per molte cose che lui fa circa dell' uomo e poi nella morte, nella quale e' retribuisce, quanto all'anima, secondo che lui ha operato di qua. Adunque al tempo tuo aspetta il giudicio almanco quando tu morrai. Non dire adunque come molti sciocchi: il giudicio non ha ad essere a' nostri tempi; diamoci piacere e buon tempo. Credimi che presto verrà il giudicio tuo, presto morrai, presto sarai presentato dinanzi al tribunale di Cristo, presto renderai ragione di tutta la vita tua, presto ti sarà detto: Redde rationem villicationis tuae. Verrà, ti dico io, presto il giudicio della morte. Chi è quello di noi che sappia d'avere a vivere insino a quest'altro anno? Forse non perverremo a quest' altro mese. Quanti sono che non saranno forse vivi domani! Quanti ne muoiono di subito, quanti ne cadono di gocciola! Quanti di coltello sono morti! Quanti n' affoga! Ma è ancora peggio che molti si muoiono senza contrizione, senza confessione e comunione, e non hanno pure agio a dire: Iddio aiutami; onde bene avea causa di maravigliarsi il nostro Asaph, di questi che si muoiono e però dice: Quomodo facti sunt in desolationem. Cioè come è possibile che questi empii che erano così ricchi e in tanta prosperità e in tanta potenza, così in un subito sieno desolati e destrutti e insieme con tutte le loro ricchezze? Ma e' sarebbe poca cosa e poco male essere, quanto a queste cose temporali, desolato e destrutto, se non ue seguitasse la desolazione spirituale. E questo è quando Iddio nella morte, mediante il giudicio particolare, li giudica e sentenza all' inferno, dove e' sono desolati d'ogni bene, e temporale e spirituale, e nondimanco a questo giudicio particolare niuno, o pochi vi pensano. Questo giudicio particolare è occulto. L'ultimo, cioè il giudicio universale, sarà manifesto. Ma perchè il giudicio precede l'esaminazione, cioè prima s'esamina che il si dia la sentenza, pertanto parliamo prima della esaminazione che fa Iddio etiam in questa vita presente innanzi alla morte.

Il Signore esamina qualche volta ancora nella vita presente i peccatori quando li crucia dentro, mostrandoli la loro danna

zione; e questo potremo vedere nelle parole del salmo quadragesimo nono, quando e' dice: Peccatori autem dixit Deus, quare tu enarras iustitias meas? Non ti dare ad intendere che Iddio venga a parlare al peccatore in forma umana, ma dentro parla Iddio, massime al peccatore cristiano, in modo che e'non lo lascia aver pace; e massime fa questo a' prelati e predicatori cattivi, e a tutti quelli che doverebbon ammaestrare gli altri al bene. Iddio li molesta dentro. Il peccatore non vorrebbe pensare a' peccati suoi, nè della morte, nè del giudicio; ma Iddio che comincia di qua in questa vita a condannarlo, eccita queste cogitazioni nel cuore suo: e questo è il modo in che parla Iddio al peccatore. Dice adunque: Quare tu enarras iustitias meas? Tu, prelato, quare narras, quasi che e' voglia dire: invano enarri, senza alcuno tuo frutto e con maggior tua dannazione enarri le mie giustizie, perchè tu rubi la Chiesa, e li beni di quella tu li consumi in pompe e in tue vanità: tu opprimi li poveri e sei ambizioso, perchè adunque enarri le mie giustizie? E tu predicatore, qui alium doces, te ipsum non doces, qui praedicas non furandum, furaris; qui dicis non moechandum, mecharis; qui abominaris idola, sacrilegium facis; qui in lege gloriaris, per praevaricationem legis, Deum inhonoras. Tu, dico, che fai questi peccati e questi eccessi, perchè predichi tu e narri le mie giustizie in pulpito e in luoghi eminenti? Quasi voglia dire: invano predichi, perchè tu se' più vizioso tu che gli uditori. Item, tu principe e tu rettore, quare enarras iustitias meas, nelle leggi buone che tu fai qualche volta? nelle sentenzie che tu dai? nelle giustizie che tu fai? Invano fai questo, cum sit che tu non osservi le leggi, che tu vuoi che li altri osservino, e tutti i pesi e gl' incarichi gitti addosso ad altri, e per te non li vuoi; ergo frustra enarras. Tu padre di famiglia, quare enarras iustitias meas! Quando tu ammaestri i tuoi figliuoli che non giuochino, che non bestemmino, che non seguitino le taverne e le lussurie; invano lo fai questo, perchè tu contradici a te medesimo, essendo tu immerso in quelli medesimi peccati. Quare etiam assumis testamentum meum per os tuum, tu vero odisti disciplinam et proiecisti sermones meos retrorsum, si videbas furem currebas cum eo, et cum adulteris portionem tuam ponebas; os tuum abundabat malitia, et lingua tua concinnabat dolos, sedens adversus fratrem tuum loquebaris, et adversus filium matris tuae ponebas scandalum. Tu, dico, perchè ti dimeni tu per bocca le mie parole, e nondimanco tu hai in

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