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12 Sette P ne la fronte mi descrisse

Col punton de la spada; e: Fa che lavi,
Quando se' dentro, queste piaghe, disse.

H3 Cener, o terra che secca si cavi,

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D'un color fora col suo vestimento;

E di sotto da quel trasse du' chiavi.
L'una era d'oro, e l'altra era d'argento:

Pria co la bianca, e poscia colla gialla Fece a la porta, sì ch'io fui contento. 121 Quandunqua l'una d'este chiavi falla,

Che non si volga dritto per la toppa, Diss el a noi, non s'apre questa calla. 12 Più cara è l' una; ma l'altra vuol troppa

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D'arte e d'ingegno, inanzi che disserri,
Perch'ella è quella che il nodo disgroppa.
Da Pier le tegno; e dissemi ch'io erri

Anzi ad aprir che a tenerla serrata,
Pur che la gente ai piedi mi s'atterri.
Poi pinse l'uscio alla parte sacrata,

Dicendo: Entrate; ma facciovi accorti,
Che di fuor torna chi in dietro si guata.
E quando fur ne' cardini distorti

Li spigoli di quella regge sagra,
Che di metallo son sonanti e forti,
Non ruggì sì, nè si mostrò sì agra
Tarpea, quando tolto li fu 'l buono
Metello, perchè poi rimase magra.
lo mi rivolsi attento al primo tuono,
E Te Deum laudamus mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.

v. 122. C. A. diritta

v. 125. C. A. avanti v. 433. C. M. discorti v. 134. Regge; reggia, come lebbre e lebbra, semente e sementa. E.

v. 436. C. A. Nè rugghiò sì,

v. 138. donde poi

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Tale imagine appunto mi rendea
Ciò ch'io udia, qual prender si suole,
Quando a cantar con organi si stea;
Ch'or sì, or no s'intenden le parole.

COMMENTO

La concubina di Titon antico ec. In questo IX canto lo nostro autore finge ch' elli fusse ratto da un' aquila e portato al balso del purgatorio, e come elli entrò nel purgatorio. E dividesi questo canto principalmente in due parti: imperò che prima pone come fu ratte: ne la seconda, come entrò nel purgatorio, quive: Dite costinci ec. La prima, che serà la prima lezione, si divide in sei parti: imper che prima descrive lo tempo e finge ch'elli s'addormentasse; ne la seconda ancora descrive lo tempo e finge che avesse una visione, et adorna lo suo dire con una finzione de' Poeti, adducendola per similitudine, quive: Nell'ora, che comincia ec.; ne la terza compie la visione e pone lo suo svelliamento, et anco adorna lo suo dire con una finzione, adducendola per similitudine, quive: Poi mi parea ec ne la quarta finge che Virgilio li manifesti come elli fu ratto in el sonno infine al purgatorio, quive: Da lato m'era ec.; ne la quinta finge come, certificato da Virgilio, si mosse per andare a la porta del purgatorio, quive: A guisa d'om ec.; ne la sesta descrive come era fatta la entrata del purgatorio, quive: Noi ci appressammo ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo co la esposizione litterale, allegorica e morale.

C. IX — v. 1–42. In questi quattro ternari lo nostro autore descrive prima lo tempo, fingendo che 'n quello tempo s'addormentasse, dicendo così: La concubina: concubina chiamano li Grammatici quella che sta coll'omo, non essendo coniunta per matrimonio: e per questa vuole significare l'autore, l'aurora della Luna, di Titon antico; questi fu fratello del re Priamo e filliuolo del re Laumendonte troiano, e visse tanto tempo che li Poeti fingeno che per tempo si consumasse a poco a poco, tanto che si convertitte in cicala, e diventato cicala si morisse; e però dice l'autore antico; cioè vecchio. E fingeno li Poeti che Titone s'imparentasse col Sole e pilliasse per mollie Aurora filliuola del Sole, e menato dal Sole per lo cielo s'innamorò d'Aurora filliuola de la Luna, e fecela sua concubina, sicchè elli ebbe due Aurore; cioè l'una dal Sole per donna, e l'altra dalla Luna per concubina, e coll'una e coll'altra si congiungea, ora

coll'una ora coll'altra; ma in quel tempo che finge l'autore non era co la filliuola de la Luna, che era sua concubina, come si dirà di sotto. La verità di questa finzione fu che Titone prese per mollie Aurora filliuola del Sole filliuolo di Iperione, filliuolo di Titone, et innamorossi de la filliuola de la Luna che fu suore del Sole e filliuola di Iperione ancora, e tennela per amante e visse molto tempo, intanto che lo corpo suo ritragittò e ritornò come d'uno fanciullo; e così venendo meno si morì. Per questa finzione inteseno li Poeti che li vapori terresti, ingrossati si levano da la terra e montano suso si, che alcuna volta oscurano l'Aurora del Sole, et alcuna volta l'Aurora della Luna; ma per virtù dei raggi solari e per questi vapori puoseno Titone antico: imperò che la terra unde esceno è antichissima, e perchè propriamente li fa levare lo Sole che è attrattivo, e massimamente in su l'Aurora; però si dice marito Titone dell'Aurora solare. E perchè nel suo coricare anco lo Sole dà coi suoi raggi virtude attrattiva a la Luna, e massimamente quando ella si leva, però si dice bagascio dell' Aurora de la Luna; e perchè questi vapori si risolveno e ritornano nulla, però fingeno che Titone si converta in cicala, la quale lo di' che nasce muore come fa lo vapore, come dice lo verso: Mors et vita tibi una cicada dies. Seguita: Gia s'imbiancava; questo dice, perchè quando la Luna si leva, innanti appare l'albòre che si chiama Aurora de la Luna, al balzo: è luogo alto dove si monta e scende, d'oriente: imperò che già biancheggiava l'oriente per l'apparimento de la Luna, Fuor de le braceia del suo dolce amico; cioè di Titone, secondo la lettera: perchè risponda a la finzione dice che s'era levata del letto dall'abbracciamento di Titone suo bagascio; ma secondo l'allegorico intelletto vuole significare che era chiara l'Aurora, che non era adombrata da vapori terresti [1]. Di gemme la sua fronte era lucente; qui per Astrologia dimostra che montava nell'oriente allora quello segno che si chiama Scorpio, lo quale segno àe molte stelle a sua figurazione, e queste stelle finge che fusseno la corona dell'Aurora de la Luna, sicchè la Luna dovea poi apparire con Scorpio, poi che l'Aurora era in Scorpio: imperò che l'Aurora de la Luna non si dilunga molto dal suo nascimento, Poste in figura; come ditto è molte stelle figurano uno segno, del freddo animale []; cioè de lo Scorpio lo quale

[] Terresto, terrestre; come celesto, celestro. E.

Il celebre nostro Prof. O. F. Mossotti fece soggetto di una sua prolusione di Laurea l'interpetrazione di questo passo del sommo Poeta. Dal contesto delle varie frasi egli dedusse, che Dante allude al segno de' Pesci, che doveva precedere in quei giorni il nascere del Sole, e che le parole del freddo animale, Che co la coda percuote la gente, possono bene riferirsi al pesce che è un animale a sangue freddo, ed à nella coda il più possente mezzo di percossa. E.

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è freddo animale di sua natura, e però la sua puntura è venenosa; e però dice: Che co la coda percuote la gente; cioè co la punta penge e nuoce a la gente. Fingeno li Poeti che Giove con Nettuno e Mercurio et altra iddia andonno per lo mondo; e venendo una sera in sul coricare del Sole a casa d'uno rustico ch' avea nome Enifeo povero e sensa donna, funno molto onorati da lui et uccise uno suo iuvenco che avea, per onorare questi dii, unde li dii l'ebbeno molto a grado, e volendosi partire li disseno: Dimanda qualunque grazia vuoi. Unde elli addimandò che li desseno uno filliuolo, unde li di andonno ad orinare nel cuoio de l'iuvenco e dissenoli che lo tenesse ne la pallia caldo, infine ai nuovi (2) mesi et arebbe uno filliuolo; e così fu, e fu chiamato Orion, quasi nato d'orina, e fu cacciatore. La verità di questa finzione fu che questi iddii capitonno a casa di Enifeo e funno onorati, come dice la finzione; e che volendo meritare Enifeo li disseno che dimandasse grazia da loro, credendo che dimandasse denari perchè era povero, et elli dimandò uno filliuolo, e costoro li disseno che pilliasse moglie et arcbbelo; e questi così fe et ebbe uno filliuolo che li puose nome Orion. E la finzione dei Foeti che li dii orinasseno nel cuoio de l'iuvenco significa che Giove, che significa lo calore etcreo, mettesse nel corpo del fanciullo l'umore sanguineo; Nettuno, che significa l'acqua, l'umore flemmatico; e Mercurio, che è l'aire, l'umore collerico; e li altri di l'umore melanconico. E così per questa finzione attribuisceno a Giove, et alli altri dii fatti da Giove, la potenzia divina, fingendo et intendendo, secondo la filosofia naturale; unde andando per la silva 'scontrandosi con Diana la richiese d'amore, unde ella indegnata produsse uno scorpione molto grande, acciocchè lo pungesse et uecidesselo; et Orion, essendo armato di spada e di coltello, misse mano a la spada e combattea co lo scorpione e da lui non si potea difendere. Avvenne che Chiron, che fu uno de' Centuari, passava coll'arco suo e co le saette per quella medesima silva; e chiamato da Orione che li desse aiuto, tese l'arco per volerlo saettare. Allora Diana trasse in cielo (3) lo suo scorpione e fecelo uno de' 12 segni che si chiama Scorpio, e li dii tironno in cielo Chirone e feceno uno segno che si chiama Sagittario; et Orion similmente che non è segno principale; ma è una costellazione presso al Tauro che si chiama Orion, e questo nome è posto a questo segno Scorpio: imperò che quando lo Sole è in questo segno a la fine, incomincia lo freddo a pungere perchè allora è più cocente; e però si dice pungere co la coda la gente da l'autore, secondo l'allegorico intelletto. E questa

(1) C. M. punge
(2) C. M. ai nove mesi
(3) C. M. in cielo Chirone, e fecelo uno segno che si chiama Sagittario.

seconda finzione àe questa esposizione che Orion, diventato cacciatore volse mantenere castità, e però fingeno ch' elli richiedesse Diana, iddia di castità, d'amore, unde ella li apparecchiò lo scorpione; cioè la puntura de la concupicenzia [] de la carne, et elli armato di spada e di coltello; cioè co le fatiche corporali per vincere questa suo concupiscenzia; ma non bastava, e però chiamò l'aiuto di Chirone che significa l'astinenzia che percuote di lunga; e così resisteo alla concupiscenzia, e servò castità. E perchè la virtù è degna del cielo, però finseno che fusseno tutti ratti in cielo e posti per segni; cioè per esempli alli omini; e per mostrare ancora che li dii che elli anno (2) fitto, possino ogni cosa. E la notte dei passi, con che sale, Fatti avea due; ora dichiara mellio lo tempo, dicendo che già erano due ore de la notte: imperò che i passi s'intendeno l'ore, sicchè la notte era sallita dall'oriente due ore, quando l'Aurora della Luna incominciò apparire: imperò che ogni segno pena [3] ad uscire dell'orizzonte due ore: la notte incominciò quando lo Sole ch' era in Ariete andò sotto a l'occaso, e da l'oriente uscitte Scorpio, nel luogo ove eravamo; cioè nell'altro emisperio: imperò che allora si fa notte di là, quando di qua si fa di’ a noi, E il giorno già chinava in giuso l'ale: imperò che altrettanto era sceso a loro lo Sole, quanto era montata la notte; lo quale Sole a noi montava, quanto a loro discendea. Quand' io; cioè Dante, che meco avea di quel d'Adamo; cioè de la carne: imperò che l'autore, secondo la sua finzione, era quive col corpo; dice d'Adamo: imperò che quanto a la carne tutti siamo una massa con Adam, Vinto dal sonno in su l'erba inchinai: imperò che la carne non potea stare sensa dormire, Là u' già tutti e cinque sedevamo; cioè nel prato descritto di sopra, ne la valle dov'erano li signori. E ben dice cinque, che era Virgilio, Dante, Sordello, Giudici Nino e marchese Currado, li quali s'erano quive posti a sedere, perchè era notte e non poteano sallire: ecco perchè descrisse lo tempo; per mostrare che quando s'addormentò, erano due ore di notte.

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C. IX v. 43-27. In questi cinque ternari lo nostro autore finge ch'elli, poi che fu addormentato e dormitte infine a l'aurora, ebbe una visione la quale significa lo innalsamento de la sua materia, e de lo stile, come apparrà quando si sporrà, dicendo così: Nell'ora; ecco descrive il tempo, che comincia i tristi lai; cioè i tristi lamenti, La rondinella; cioè l'uccello che fa lo passaggio e torna la primavera, presso a la mattina; cioè a l'aurora, Forsi a memoria

[1] C. M. concupiscenzia Il Riccard. ne dà sciato l's, come in arbucello, digiungere ed altri. E. C. M. anno fatto, possono

concupicenzia -, intrala

[3] Pena; indugia, tarda, dura. E.

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