non à riparo, Passammo; cioè Virgilio, Stazio et io Dante, udendo colpe de la gola; cioè molti altri esempli, che quelli che funno ditti di sopra, biasmanti lo peccato de la gola, Seguite già dai miseri quadagni. Questa è moralità: chè li mali guadagni sono cagione spesse volte de la colpa de la gola, e la colpa de la gola è cagione di fare fare l'illiciti e vituperosi guadagni, come appare ne le meretrici, che per la gola si danno a tanta miseria. C. XXIV — v. 430–144. In questi quattro ternari finge lo nostro autore come andando pervenneno a luogo da sallire al vi girone; e come fu loro mostrato de l'angiulo, dicendo così: Poi; cioè che noi dimmo li preditti biasmi del peccato de la gola, rallargati; cioè in verso la grotta, non andando inverso l'estremo come prima, perchè ivavamo passato l'arbore, per la strada sola: imperò che la gente ra ita e passata oltra; e questo finge, perchè nolli occorrea di far nenzione più d'alcuna persona, Ben mille passi; questo serebbe ino mezzo millio, contando l'uno passo e l'altro: imperò che du' si atti passi sono una pertica, e mille pertiche sono uno millio, e più; ioè di mille passi, ci portammo oltre; cioè più là che 'l ditto arbore, Contemplando; sopra le cose vedute et udite da noi, ciascun; di noi re, senza parola; cioè sensa parlare. Che andate pensando sì voi ol tre; ecco che finge che una voce dicesse a loro: Che andate sì Densando soli voi tre? Subitamente disse; cioè la voce, ond' io mi cossi; cioè io Dante mi scosse per la voce subitamente udita: la sensualità è quella che teme le cose che non si debeno temere, che a ragione, nè lo intelletto non teme, e però finge ch'elli tremasse, Come fan bestie spaventate e poltre; ecco che fa la similitudine e dinostra due esser le cagione, perchè scuoteno le bestie; cioè o per spaventato [1] che abbiano, o quando esceno de la stalla per esser stato roppo in agio si scuoteno, per rinvigorirsi e scacciare la poltronia lei nervi e dei sentimenti. Drizzai; io Dante, la testa per veder hi fossi; cioè quelli che parlasse, E già mai non si viddero 'n forrace Vetri e metalli sì lucenti e rossi; come era colui, ch'io viddi che avea parlato; e però dice: Com'io viddi un; cioè come io Dante viddi uno angiulo, s'intende, rosso e lucente, che; cioè lo quale angiulo, dicea: Se a voi piace; questo finge, perchè il ben fare dè essere da la propria volontà, benchè l'angiulo col mette inanti, Montate in su; cioè se vi piace e volete montare su, qui; cioè in questo luogo, si convien dar volta; a la scala del vi girone, Quinci; cioè per questa scala, si va; suso, chi; cioè da colui lo quale, vuole andar per pace; cioè per aver pace eterna. [1] Spaventato; spavento, come imperiato, usata per imperio, uso e simili che leggonsi negli antichi. E. C. XXIV — v. 142-154. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore finge come era fatto l'angiulo che apparve; e come li levò la colpa de la gola, defigurata ne la fronte; e come uditte commendare la sobrietà, dicendo: L'aspetto suo; cioè dell'angiule ditto di sopra, m'avea la vista tolta; cioè avea col suo splendore abballiatomi sì, ch'io non potea veder lume, come farebbe lo Sole a chi ragguardasse in esso, Per ch'io; cioè per la qual cosa io Dante. mi volsi; cioè volsi me, dietro ai miei dottori; cioè mi volsi a segui tare et andare dirieto ai miei dottori, Com'om; cioè come omo, che va segondo ch'elli ascolta; cioè va al suono de le pedate, non per ch'elli vegga, come fanno li ciechi. E quale annunziatrice delli albori. ecco che adduce una similitudine che, come di Maggio la mattina in su l'aurora si leva uno venticello delicato, che è segno de l'al bòre che apparisce, L'aura di Maggio; cioè lo venticello di Maggio muovesi; cioè venteggia delicatamente, et olezza; cioè rende uli mento, Tutta impregnata dall'erbe e da' fiori; cioè piena dell'uli mento dell'erbe e dei fiori, Tal mi senti' un vento; cioè così fatt vento, cioè ulimoso come quello che ditto è, Dar per mezza L fronte; dove erano li P segnatimi ne la fronte, e ben senti” muover la piuma; cioè le penne de l'angiulo, Che; cioè la quale piuma fe sentir d'ambrosia l'orezza; cioè fece sentire lo venticello de k odore de l'ambrosia, che fingeno li Poeti che sia erba che mangian: li cavalli del Sole et anco li Dii, e diceno che rende ulimento d divinità, e così ulimitte quil vento mosso de l'ala de l'angiulo, E senti' dir: Beati; cioè dell'anime del purgatorio che congaudevan de l'assoluzione di Dante, e diceano quella parte de l'Evangelio ch dice: Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi satura buntur, cui; cioè coloro li quali, alluma Tanto di grazia: civi illumina tanto de la Grazia Divina, che l'amor del gusto; cioè l'ap petito de la gola, Nel petto lor; cioè nel cuore loro, troppo disir; civi troppo desiderio, o vero diletto, non fuma; cioè non pillia, Esuriendo cioè avendo fame e desiderando di mangiare, sempre quanto è giusto, e non più. E qui finisce lo canto XXIV, et incomincia lo xxv. CANTO XXV. 4 7 0 13 16 Ora era che 'I sallir non volea storpio, Uno inanti altro, prendendo la scala Per vollia di volar, e non s' attenta Di dimandar, venendo infine all'atto, 2. Merigge; cadenza regolare dal latino meridies. E. v. 40. C. A. quale il PURG, T. II. 19 22 25 28 31 34 37 40 Allor siguramente apri la bocca, E cominciai: Come si può far magro Là dove l'uopo del nodrir non tocca? Si consumò al consumar d'un stizzo, Ecco qui Stazio; et io lui chiamo, e prego Fillio, la mente tua guarda e riceve, Ch' a farsi quelle per le vene vane. v. 19. C. A. sicuramente aprii v. 21. C. M. C. A. nutrir v. 24. C. M. Non fora questo a te, disse, sì agro: v. 27. C. A. vizzo. v. 25. C. A. al nostro guizzo v. 26. C. A. allo specchio nostra v. 26. Image; terminato in e per uniformità, come ambage ec. E. v. 31. C. A. veduta eterna gli dislego, v. 31. Dispiego; dispiegò, manifestò interpreta il nostro Butese; e gli a tichi adoperavano talora senza accento la terza persona singolare del perfe nella prima coniugazione. Il Barberino «Mi battea come vile; Iddio ne pago »> E. v. 36. C. A. fieno v. 40. C. A. nel core v. 36. Die, dii; dall' infinito dire, come sente e senti, pure adoperato in antico al presente indicativo. E. v. 42. C. A. Che frange quello v. 42. Vane; terza persona singolare vae, da vaere, o vaire frammesson I'n, affin di riposare la voce, come in àne, ene per àe, ee. E. ? Ancor digesto, scende ove è più bello L'un disposto a patir, e l'altro a fare, Qual d'una pianta, in tanto differente, Che questa è in via, e quella è già a riva, Tant' opra poi, che già sè move e sente, Come fungo marino; et indi prende Ad organar le posse unde è possente. La vertù, che è dal cuor del generante, Non vedi tu ancor: quest' è tal punto, Dall' anima il passibile intelletto, Perchè da lui non vidde organo assunto. Apri a la verità, che viene, il petto, E sappi, che si tosto com' al feto |