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139 Non creda donna Berta e ser Martino

Per vedere un furare, altro offerére,
Vederli dentro al consiglio divino;

Tasso, Ger. XI, 84:

Ma qual nave talor, che a vele piene
Corre il mar procelloso e l' onde sprezza,
Poscia in vista del porto, o su le arene,
O su i fallaci scogli un fianco spezza.

139. DONNA: W. 4, Cass., Fram. Pal., Vien., Stocc., Ang., Chig., 4 Patav., ecc.; prime 4 edd., Ald., Burgofr., Rovil., Crus., Com., ecc.; Lan., Ott., An. Fior., Benv. Ramb., Buti, Land., Vell., Dan., ecc. MONNA: Nidob., Lomb., Viv., ecc. La autorità dei codd., delle antiche ediz. e dei commentatori primitivi è qui troppo parlante. Il Lomb. obietta: «Donna in ragione di titolo non si trova dagli antichi usato mai,»>< Basta che si trovi usato da Dante! E gli scrittori dei codd., e i primitivi commentatori sono antichi o no? Del resto ne addurremo subito un esempio parlantissimo del Passavanti. Intanto osserviamo che sarebbe questo l'unico luogo nella Commedia, in cui si troverebbe la voce MONNA. Inquanto al senso Lan. e An. Fior.: «Ciò è questi inscii, gli quali conchiudono per premesse particulari, e corrono adesso a giudicare e palesare suo parere.» Ott.: «Cioè queste due genti idiote e grosse, che guatano e giudicano pure secondo l'apparenza. » Benv. Ramb.: « Ogni persona del volgo e grossolana.» Buti: «Alcuno uomo o donna; e pone lo nome finito per lo infinito.» Land., Vell. e Dan.: «Alcuna idiota (Dan. sciocca ed ignorante) persona. >> Nel Conv. I, 8: «Onde suole dire Martino, ecc.» Ecco ora l'esempio promesso, che è tutto un commento al nostro verso. Passavanti, Specch. di vera Penit., Tratt. dei Sogni, ed. Veronese 1798. p. 273; ed. del Fraticelli, Fir. 1843. II, p. 400 e seg.: «De' sogni, che sono daĺ cielo, cioè dalla influenzia delle stelle e delle pianete, e dalla disposizione e impressione degli elementi, e' sono buoni filosofi naturali e buoni astrologhi, che possono far buona interpretazione, ma e' sono ben pochi que' cotali. E quelli cotanti, che bene sanno, più dubiterebbono che gli altri di giudicare, temendo di non errare, che non farebbono coloro che poco sanno. Onde ser Martino dall' aja e donna Berta dal mulino, più arditamente si mettono ad interpetrare i sogni, che non farebbe Socrate e Aristotile maestri sovrani della naturale filosofia. Anzi si legge, che Socrate disputando in iscuola de' sogni, e avendone detto ciò che se ne puote e sapere per naturale scienzia, occorrendogli certi dubbj delle cagioni, degli effetti, delle significazioni de' sogni, i quali egli non sapeva dichiarare e solvere, disse Hoc unum scio quod nescio. Non si vergognò il nobile maestro di confessare la verità dell' ignoranzia di quelle cose, che non si possono dall' umano ingegno sapere, avvegnachè donna Berta dica, che ella il sa bene_ella.>> Il Parenti rammenta l' esempio del Filostrato: «Che più, donna Cassandra, chiederete?» e soggiunge: «Da questo esempio raccolgasi come anche si appoggi all' antico linguaggio classico l'uso di premettere questo appellativo al nome proprio, per titolo di onore e significazione di nobiltà; siccome fu attribuito al mascolino Donno, odiernamente accorciato in Don. Del quale valore è prova altresì l' avere talvolta aggiunto, per antifrasi e per rampogna, così Donna, come Sere, a nomi di persone alle quali, per bassezza di condizione e pochezza di senno, sarebbe stato men proprio e convenevole. >>

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140. FURARE: rubare. OFFERERE: offerire, far pie offerte. Offerére per offerire anticamente anche in prosa; cfr. Voc. Cr. e Parad. V, 50, dove però alcuni leggono offerire.

141. VEDERLI: veder quello che la divina sapienza ha determinato d'ognun di loro. Vell. Il Dan. legge VEDER sì e spiega: «Quali li vede quaggiù, vederli tali dentro al divin consiglio di Dio.» Biag. ricorda la sentenza di Boezio: De hoc, quem tu justissimum et æqui servantissimum putas, omnia scienti providentiæ diversum videtur. Cfr. Conv. IV, 5: «Oh

142 Chè quel può surgere, e quel può cadere.» →

istoltissime e vilissime bestiuole che a guisa d' uomini pascete, che presumete contro a nostra Fede parlare; e volete sapere, filando e zappando, ciò che Iddio con tanta provvidenza ha ordinato! Maledetti siate voi é la vostra presunzione.>>

142. QUEL: il ladro può surgere, cioè pentirsi e salvarsi, come l' uno dei due ladroni crocifissi insieme con Cristo. Ott.: «San Brandano fu sommo ladrone, e poi per le finali opere piacque a Dio.» E QUEL: e colui che fa pie offerte può peccare e perdersi. Cfr. I Cor. X, 12: Itaque qui se existimat stare, videat ne cadat. Forse allude quì nuovamente a Salomone, di cui si legge III Reg. XI, 4: Cumque iam esset senex, depravatum est cor eius per mulieres, ut sequeretur deos alienos.

CANTO DECIMOQUARTO.

LO SPLENDORE DEI BEATI DOPO LA RISURREZIONE DE' CORPI. SALITA AL CIELO DI MARTE.— SPIRITI MILITANTI IN FORMA DI CROCE LUCENTE. - ARMONIA DI CONCENTI. ESTASI DI

DANTE.

Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro,
Muovesi l'acqua in un ritondo vaso,
Secondo ch'è percossa fuori o dentro.

v. 1-18. Un dubbio nascente. Dante e Beatrice stanno in mezzo a due corone di spiriti celesti, come centro in mezzo a cerchio; cfr. Canto XII, 1 e seg. nt. Uno di quegli spiriti, S. Tommaso d' Aquino ha parlato; Beatrice ora parla ai Beati. La voce di Tommaso mossa dalla circonferenza al centro, e quella di Beatrice mossa inversamente, offrono al Poeta una similitudine nuova, che risponde a capello. Come acqua in ritondo vaso movesi dal centro al cerchio e dal cerchio al centro, così a lui parve avvenisse lì dove aveva parlato Tommaso. E rispose Beatrice che era al centro, e disse: Costui vuol sapere se la luce che ora infiora la vostra sostanza rimarrà sempre con voi, anche quando riavrete i vostri corpi e tornerete visibili; e se rimanendovi cotanto splendore dopo che nella generale risurrezione avrete ripresa la vecchia spoglia, non avverrà che siano abbagliate di troppo le vostre viste. Il dubbio non era ancora nato nella mente di Dante; Beatrice lo vede nascere. Sulla similitudine Antonel. (ap. Tom.): «Trovandosi il Poeta nel mezzo delle due gloriose corone, ed avendo incominciato a parlare Beatrice, appena terminò l'Aquinate, questa duplice onda di salutare sapienza moventesi dal cerchio al centro, o dal centro al cerchio, secondochè dall' angelico Dottore o dalla cherubica Donna procedeva, fece subito cadere in mente al Poeta medesimo il fatto analogo che avviene in un vaso rotondo contenente dell' acqua, se questa è percossa o di fuori o di dentro, nascendo allora alla superficie di essa un moto ondoso dalla circonferenza al centro nel primo caso, e dal centro alla circonferenza nel secondo. Tale movimento essendo veramente nell' acqua, può dirsi in qualche modo che l'acqua si muove; ma non è da credere che ciò sia, per traslazione delle molecole acquose o verso il cerchio o verso il centro; perciocchè, a questo riguardo, esse rimangono invariabili, spostandosi soltanto per rispetto alla superficie di livello, cioè per elevazione ed abbassamento. Questa circostanza rende visibilmente più grande la somiglianza tra il fatto materiale e l'intellettuale che per mezzo di quello vuolsi quì far comprendere.>>

3. O DENTRO: S. Cr., Berl., Caet., Cass., Fram. Pal., ecc.; Folig., Jesi, Nap., Crus., ecc. E DENTRO: Vat., Vien., Stocc., ecc.; Mant., Ald., Burgofr., Rovill., ecc. Il Viv. legge PERCOSSO, riferendo non all' acqua, ma al vaso.

4 Nella mia mente fe' subito caso

7

10

13

Questo ch' io dico, sì come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
Per la similitudine che nacque

Del suo parlare e di quel di Beatrice,
A cui si cominciar, dopo lui piacque:
«A costui fa mestieri, e nol vi dice
Nè con la voce, nè pensando ancora,
D'un altro vero andare alla radice.
Ditegli se la luce, onde s' infiora

A fare che l'acqua si muova a cerchio, conviene percuotere essa acqua dentro al vaso o percuotere il vaso esteriormente, nel qual caso si può ben dire che l'acqua è percossa; ma come si fa a percuotere dentro il vaso riempito d'acqua?

4. FE' SUBITO CASO: mi cadde subito in mente. Così spiegano quasi tutti (Benv. Ramb., Land., Vell., Dan., Vol., Vent., Lomb., e tutti i più recenti), prendendo caso nel significato di caduta (Voc., Crus., Fanf., ecc.), di che non mancano esempi negli antichi (cfr. Monti, Proposta, I, 2. p. 144 e seg.). I primitivi commentatori un po' diversamente. Lan. e An. Fior.: «Or a tutto questo modo dice l'Auttore: Per quella luce ch' io vedea nelle anime degli detti serti, e anche in Beatrice, mi venne le loro specie nello intelletto; considerate quelle, ritornava a guardarle; per la quale inondazione mi surse uno dubbio.>> Ott.: «Dice dunque, che come in uno bacino d'acqua, il quale l' uomo dall' uno lato percuota, l' acqua per la percossa si sparte dalla circonferenza, e va verso il centro, e poi è ripinta e ritorna dal centro alla circonferenza: così facea l'animo suo si tosto come si tacque l'anima gloriosa di san Tommaso. E questo accidente gli avvenne per la similitudine del parlare suo e di quello di Beatrice. O vero, secondo che il vaso è percosso di fuori, l'acqua tende verso il centro, o percosso dentro, l'acqua tende verso la circonferenza: così nella mente dell' Autore fece subito caso, cioè didusse in volere sapere quello che seguirà delle precedenti parole di san Tommaso.» Post. Cass., Petr. Dant., Falso Bocc., ecc. non danno veruna spiegazione della frase. Buti: «Parlando santo Tomaso scintillava, e ragguardava io e considerava lui, e parlando Beatrice ancora scintillava, et io ritornava la mente a considerare lei; e così la mia mente discorreva col pensieri e co la considerazione da lei ai serti, e da' serti a lei, e così si moveva Dal centro al cerchio e dal cerchio al centro; e però dice: Questo ch' io dico; cioè di muovere così la mia mente; e ben dice subito caso: imperò che altresì tosto fu questo movimento da la mia mente, come fu lo restare del parlare di santo Tomaso e lo incominciare di Beatrice che fu incontenente senza mezzo.»

6. VITA: anima; cfr. Parad. XII, 127 nt.

7. SIMILITUDINE: la similitudine fu, che la voce di san Tommaso venne dal cerchio degli spiriti al centro, dove erano Dante e Beatrice, quella di Beatrice andò dal centro al cerchio, dirigendosi ad essi spiriti.

9. DOPO LUI: W. 4, Cass., Vien., Stocc., ecc. DOPO A LUI: Fram. Pal., ecc. DIETRO A LUI: Chig., ecc.

10. COSTUI: Dante.

11. PENSANDO: ciò che quegli spiriti avrebbero conosciuto. Il dubbio era nascente, ma non ancora nato.

12. ANDARE: sapere a fondo un' altra verità; cfr. Parad. IV, 130 e segg. 13. DITEGLI: la prima domanda è, se la luce che adorna le anime beatificate rimarrà con loro anche dopo la resurrezione dei corpi; con altre parole: Se i corpi dei Beati dopo la resurrezione saranno raggianti di luce. La stessa questione esamina anche san Tommaso, Sum. theol. P. III. Suppl. qu. LXXXV. art. 1. Sembra dic' egli, che ai corpi gloriosi non si convenga lo splendore, quia, sicut dicit Avicenna

omne

Vostra sustanzia, rimarrà con voi
Eternalmente sì com' ella è ora;

16 E, se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili rifatti,

Esser potrà ch' al veder non vi nôi.»

corpus luminosum constat ex partibus perviis. Sed partes corporis gloriosi non erunt perviæ, cum in aliquibus dominetur terra, sicut in carnibus et ossibus..... Præterea, omne corpus lucidum occultat illud quod est post se: unde unum luminare post aliud eclipsatur; flamma etiam ignis prohibet videri quod est post se. Sed corpora gloriosa non occultabunt illud quod intra ea continetur.. Præterea, lux et color contrariam dispositionem requirunt in subjecto. Sed corpora gloriosa erunt colorata..... Præterea, si claritas erit in corporibus gloriosis, oportet quod sit æqualis in omnibus partibus corporis, sicut omnes partes erunt ejusdem impassibilitatis, et subtilitatis, et agilitatis. Sed hoc non est conveniens, quia una pars habet majorem dispositionem ad claritatem quam alia, sicut oculi quam manus, et spiritus quam ossa, et humores quam caro vel nervus. Ergo videtur quod non debeant illa corpora esse lucida. Ma la Scrittura insegna che i giusti risplenderanno come le stelle; cfr. Matt. XIII, 43. Sap. III, 7. I Cor. XV, 43. Dunque quod corpora sanctorum fore lucida post resurrectionem, ponere oportet propter auctoritatem Scripturæ, quæ hoc promittit.. ritas illa causabitur ex redundantia gloriæ animæ in corpus. Quod enim recipitur in aliquo, non recipitur per modus influentis, sed per modum recipientis. Ed ideo claritas quæ est in anima spiritualis, recipitur in corpore ut corporalis. Et ideo secundum quod anima erit majoris claritatis secundum majus meritum, ita etiam erit differentia claritatis in corpore. . . . Et ita in corpore glorioso cognoscetur gloria animæ, sicut in vitro cognoscitur color corporis quod continetur in vase vitreo.

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16. SE RIMANE: seconda domanda: Se questo splendore vi resta dopo che per la riassunta carne sarete visibili nella propria forma umana (ora non se ne vedeva altro, che tanti lumi), come potrà essere che tanta luce non impedisca a' vostri occhi corporali di vedervi l'un l'altro? Una questione affine presso Thom. Aq. Sum. theol. P. III. Suppl. qu. LXXXII. art. 4: Intensio luminis non impedit receptionem spiritualem speciei coloris, dummodo maneat in natura diaphani; sicut patet quod quantumcumque illuminetur aer, potest esse medium in visu; et quanto est magis illuminatus, tanto per ipsum aliquid clarius videtur, nisi sit defectus ex debilitate visus. Quod autem in speculo directe opposito radio solis non appareat species corporis oppositi, non est propter hoc quod impediatur receptio, sed propter hoc quod impediatur reverberatio; oportet enim ad hoc quod forma in speculo appareat, quod fiat quædam reverberatio ad aliquod corpus obscurum, ideo plumbum vitro adjungitur in speculo. Hanc autem obscuritatem radius solis repellit; unde non potest apparere species aliqua in speculo. Claritas autem corporis gloriosi non aufert diaphaneitatem a pupilla, quia gloria non tollit naturam: unde magnitudo claritatis in pupilla magis faciet ad acumen visus quam ad ejus defectum.

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18. VI NÔI: vi apporti noia agli occhi. «Come potrà essere che questo vostro splendore non rechi danno alla vista? Come mai un organo tanto debole potrà sostenere la forza e l'eccesso di tanta luce?» Benv. Ramb. — « Come potrà essere che voi, essenti in tanto splendore, possiate vedere fuori di voi; et anco potrà essere che veggiate chi fia dentro a tanto splendore che pare non si debbia potere vedere, siccome l' uomo non può vedere dentro da la spera del Sole; anco se l'uomo vi guarda, l'occhio ne riceve offensione.» Buti.

v. 19-33. Gioja d'amore. Udita la dimanda di Beatrice, gli spiriti beati mostrano la gioja che sentono nel rispondere, col muoversi in giro più lieto, e col mirabile canto. Tre volte cantano un inno in lode della SS. Trinità. Paragonando ballo e canto celeste con ballo e canto umano, la similitudine coglie l'atto esteriore della letizia di quei beati. Il Pulci, Morg. XXVII, 134, fa dire a un angelo confortatore del morente Orlando:

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