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dava i passi de' tre poeti, Virgilio, Dante e Stazio colla sua

voce,

e noi attenti pure a lei

Venimmo fuor là dove si montava.

* Venite benedicti patris mei »

Suonò dentro ad un lume che li era,

Tal che mi vinse e guardar nol potei 1.

Queste parole, che Cristo nel giorno dell'estremo giudizio pronuncierà rivolto a tutti i giusti, poste qui in bocca dell'Angelo, custode dell'ultimo margine del sacro monte, e all'ingresso del Paradiso terrestre, mentre proclamano superata la difficultas regressionis, per usare le parole di Ruperto, qua filii benedictionis in hoc exilio generati per gratiam Dei illuc revocantur 2, accennano che in vetta al monte incomincia pe' giusti e pe' purificati il saggio dell'eterna benedizione di Dio, e che lì è il luogo ove si raccoglie e giunge a salvamento « qual verso d'Acheronte non si cala ».

Pertanto tutti i figli di benedizione o i predestinati passano per la porta di S. Pietro, Clavigero celeste, di cui un angelo è vicario sul balzo del Purgatorio, e ne tiene le due chiavi 3; perchè come bene osserva dietro altri lo Scartazzini, il Paradiso dantesco non ha veruna porta *, nè quindi fa d'uopo che S. Pietro lassù faccia da portiere. Nè basta che varchino quella soglia; convien passare la fiamma, innocua solo agl'innocenti di colpe carnali; ed entrati nel paradiso. terrestre, bere de' due fiumi Letè e Eunoè, e, così alla perfe

'Purg., XXVII, 56-60.

2 L. c. Queste parole suggerirono al poeta di porre sulle labbra dell'ultimo Angelo: Venite benedicti Patris mei. I benedetti del Padre non sono che i filii benedictionis. Si noti come il primo Angelo dei sette ripiani, portiere del Purgatorio, ha le chiavi ed è « vicario di Pietro » (Purg., XXI, 54) a cui Cristo diede ogni podestà di sciogliere e di legare in terra; e l'ultimo Angelo, portiere o custode del Paradiso terrestre fa come da vicario di Cristo nel giudizio particolare, e ne ripete le parole con cui egli aprirà alla fine de' secoli il cielo a' giusti rivestiti della loro carne: Venite benedicti Patris mei.

3 Cf. Purg., IX, 114-127.

4 Commento alla D. C., Inf., I, 134.

zione dell'arbitrio, libero, sano e dritto 1, aggiungere la piena perfezione della mente, sanandola della dolorosa memoria del peccato, e ravvivandole invece quella d'ogni ben fatto 2, secondo le due parti integrali della giustizia: Abstine a malo et fac bonum. E da quelle felici onde ritorna poi ciascuno, al parlar di Dante,

Rifatto sì come piante novelle

Rinnovellate di novella fronda,

Puro e disposto a salire alle stelle '.

Un tal rinnovamento spirituale, di obliare il male e ricordare il bene, non vuol essere privilegio dell'anime che han sofferto le pene del purgatorio, ma dono e premio anche di quelle che escono dal corpo senz'alcun reato di colpa e di pena, siccome quelle che nel mondo soddisfecero già pienamente a' debiti colla divina giustizia, come riteniamo di molti santi e de' martiri. Anche questi per tôrre almeno la memoria delle colpe veniali e rimembrare ogni bene fatto dovranno bere delle due onde, e però passare, benchè intatti, pel fuoco e poi pel Paradiso terrestre. Giacchè, secondo l'opinione di Ruperto e d'altri, pel fuoco sarebbero passati il buon ladro ed anche gli Apostoli Pietro e Paolo, se non come finge Dante, per bere di Letè e di Eunoè, per rifare quel cammino a ritroso, che, rimenando al luogo della felicità perduta dal primo padre, rinnova nell'uomo lo stato

1 Purg., XXVII, 140.

2

L'acqua che vedi...

Da questa parte con virtù discende

Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.

Quinci Letè; così dall'altro lato

Eunoè si chiama; e non adopra

Se quinci e quindi pria non è gustato.

3 Purg., XXXIII, 143-145.

Purg., XXVIII, 121-132.

Folchetto nel Paradiso dice che la colpa più non si ricorda:

Non però qui si pente, ma si ride,

Non della colpa ch'a mente non torna.

Par., IX, 103-104.

Il CASINI nel commento ciò attribuisce all'acqua di Letè; nè senza ragione.

della giustizia originale riacquistatagli dalla soprabbondante grazia di Cristo, novello Adamo, simboleggiato nell'animal binato, che conduce dal cielo nel Paradiso terrestre la verità soprannaturale circondata dalle regine delle virtù umane e divine, e ne lega il carro, imagine della sua Chiesa, all'albero dispogliato dal primo Adamo 1. Così, nella visione dantesca, il medesimo Paradiso terrestre è il teatro dell'uno e dell'altro Adamo, del peccatore che realmente ivi prevaricò, e ne fu cacciato in esiglio; e del Redentore, il quale nato, vissuto e morto per l'altro nel medesimo esiglio, gli riapre la terra della primiera felicità, dove richiama i figli di benedizione a rivedere il luogo « eletto all'umana natura per suo nido» ed a gustare le « primizie dell'eterno piacer » date già «per arra all'uom d'eterna pace » 2, prima d'ammetterlo nell'ineffabile dolcezza del paradiso celeste.

2

VII.

Il brano citato di Ruperto ci offre pure un'altra analogia col purgatorio dantesco.

Dietro al buon ladrone, dice l'Abate, seguiamo pure noi tutti, quanti abbiamo il fondamento che è Cristo, chi portando oro, argento e marmi preziosi, chi invece legno, fieno e stoppia, idest diversorum quisque ponderum vel modiorum (il Lipomano legge modorum 3) peccata portantes. I fortunati che recano oro, argento e marmi o pietre preziose sono i giusti senza macchia o debito di pena; que' che portano legno, fieno e stoppia sono i giusti, cui fa d'uopo ancora di purificazione e di soddisfacimento di pena temporale. Ciò non sono che i peccati di diverso peso o misura; i sette P che << col punton della spada » l'angelo, portiere del Purgatorio, descrisse nella fronte a Dante

' Cf. Purg., XXXII, 37-51.

2 Purg., XXVIII, 78; XXIX, 31; XXVIII, 93. 3 Catena in Genesim, c. 3.

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Quando se' dentro queste piaghe », disse 1.

Perchè il segno alfabetico P, nota il Berardinelli, non è che una abbreviazione della parola intera Peccato. Leggiadra è quest'imagine dantesca dell'angelo che colla spada incide in fronte all'uomo i sette peccati capitali, mentre sta per intraprendere la salita rigenerativa verso il Paradiso terrestre. Essa ricorda il Cherubino, unico, come vogliono alcuni, che nella Bibbia è posto a custode della strada del legno di vita, per allontanarne i peccatori, e che, nella Commedia dantesca, dopo la passione di Cristo, riceve le chiavi da Pietro, e insieme ritiene la spada folgorante per segnare in fronte i peccatori pentiti, a cui apre benigno, non col marchio della morte, ma coll'impronta passeggiera del loro misero stato, bisognoso ancora di purgazione, e di fuoco. Codeste stimmate non sono altro che l'incisione e l'ustione onde, secondo S. Bernardo, è ancor rattenuto l'uomo dal toccare l'albero della vita 3.

Se tutti vengano così segnati, secondo il numero de' loro debiti, il poeta non lo dice, ma non è difficile ammetterlo, per quanto alcuni privilegi siano solo per Dante. Virgilio infatti allude a cosa comune ed abituale, quando dice a Stazio:

1 Purg. IX, 112-114.

' Concetto della D. C., 137. I più dal chiamar che fa l'Angelo i sette P piaghe, deducono che il segno P è abbreviazione di Piaghe. Ma i sette P sono piaghe perchè fatte col punton della spada, non perchè significhino le piaghe. Anche se invece di P avesse sulla fronte a Dante descritto altra lettera, de' T, p. es., poteva l'Angelo chiamarle piaghe. Di più, non suole Dante alle sue abbreviazioni, o sigle, far seguire la dicitura intera. Del resto coloro che vogliono che i P designino le piaghe, fanno poi le piaghe, segni de' peccati; e pongono così, contro il parlare naturale e logico, il segno (P) del segno (Piaghe)della cosa segnata (Peccati) sicchè le piaghe P vengono ad essere segno di sè stesse, mentre di ragion del segno è che faccia venir in mente qualcosa di diverso.

3 «Non incongrue autem forsitan Cherubim flammeus traditur gladius, ut a ligno vitae incisio pariter et incensio, quibus nihil carni terribilius, manum prohibeant corporalem. » S. BERNARDO, Serm. 5 de verbis Esa.

Se tu riguardi i segni

Che questi porta e che l'angel profila

Ben vedrai che co' buon convien ch'ei regni 1.

L'effetto che il ventar dell'ala degli angeli fa sulla fronte del pentito peregrino, per raderne i Pdescrittivi, è dunque dell'azione di ciascun angelo, custode d'una delle sette cornici 2. Codesto togliere mano mano que' segni è una molteplice ratificazione della purificazion fatta dall'anime, che vanno rabbellendosi e risanandosi di balzo in balzo, mentre salgono il monte dell'espiazione. Esse vi si soffermano più o meno tempo, secondo la gravità e il numero delle colpe. A quel modo, dice Ruperto, che il fuoco più o meno facilmente consuma il legno, il fieno e la stoppia. Queste tre cose, secondo una comune interpretazione de' Padri e Dottori medievali, simboleggiano i peccati veniali che in vita non sono espiati o purgati 3, e insieme possono estendersi a significare anche le pene corporali proporzionate e dovute a peccati mortali già rimessi e non ancora scontati, i quali, secondo il concetto dantesco, si raggruppano in tre divisioni di crescente reità, secondo che l'amor d'animo erra

per malo obbietto,

O per poco o per troppo di vigore 4.

Ma dell'ordine delle colpe nel Purgatorio non ci consente di parlare la brevità ora impostaci.

1 Purg. XXI, 22-24.

2 Di ciò altra prova si può vedere nel fatto che Stazio e gli altri, incontrando Dante, che ancor portava in fronte alcuni P, non se ne meravigliano; segno ch'era marchio comune e noto all'anime purganti. Altrimenti la fine vigilanza del Poeta, che nota l'altrui meraviglia per la propria ombra e pel proprio spirare, non avrebbe lasciato passare inosservato quest'altro suo privilegio in tutti gl'incontri ch'ebbe ne' sette cerchi del Purgatorio.

3 Cf. EGIDIO COLONNA, Exposit. super orat Dom. v. f. Romae, Bladus, 1555, f. 7. DIONISIO CART., Comm. in Ep. I ad Cor. c. 3.

4 Purg. XVII, 95-98.

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