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solo il bene del fedele della donzella dell'Arno, come lo era stata pei falli e per le virtù, qualunque fossero, di Arrigo.

Raccogliendo quanto accennammo di Matelda, possiamo dire che << la bella donna » mentre rappresenta non Eva prevaricante, ma Eva restaurante l'opera della colpa, ci appare attiva nell'esercizio d'ogni virtù, e fedele cooperatrice alla salute dell'uomo non meno che imperterrita spettatrice de' fasti passati e futuri della Chiesa, navicella di salvezza.

XIV.

Ma v'ha di più. Dall'angelico e dall'umano considerato fin qui convien sollevarci al meraviglioso ed al divino dell'epopea dantesca, dietro il poeta che si prepara a salire « al divino dall'umano, all'eterno dal tempo »1. Gli angeli, il serpente, il fuoco, Catone e Matelda non formano, per dir così, che la scena ordinaria, ed intrecciano la rappresentazione storica e antitetica della colpa d'origine, comune a tutto il genere umano. Ma l'Alighieri aveva, ci si passi la frase che esprime il nostro pensiero, un altro peccato originale non peranco cancellato, da lui commesso in gioventù, e fonte a lui d'ogni pentimento e insieme stimolo non di morte, ma di tutta la sua rinnovazione poetica, scientifica, morale e religiosa: quello d'essersi tolto a Beatrice e dato altrui.

Catone e Matelda rappresentano Adamo ed Eva, ristoranti gli effetti della prima colpa ma secondo le leggi ordinarie: Dante e Beatrice pure li raffigurano ma in grado straordinario « per modo tutto fuor del modern' uso », e con tale un eccesso di simbolo quale esige il mistico viaggio che, fuor della legge comune, compie il poeta pe' tre regni ultramondani. Subentra quindi il meraviglioso, in cui agiscono Dante e Beatrice, e rinnovano ma con sublime antitesi e scambio di parti trasfigurandone gli attori in sè stessi davanti al Grifone, imagine del Redentore, la scena di quel medesimo Eden, quando Dio, dopo la caduta di 1 Par., XXXI, 37-38.

Adamo, passeggiava al zeffiro del meriggio, e chiamava i due peccatori di tra l'ombra della divina foresta spessa e viva per rinfacciar loro il commesso peccato. Queste sono le << forti cose a pensar », per cui mettere in versi il poeta ha cagion che lo sprona ad invocar mercè ed aiuto dalle Muse d'Elicona, e particolarmente da Urania, la dea delle celesti cose 2.

Anche qui v'ha ristaurazione di mal fatto, e ritorno all' << antica fiamma » della prima amicizia; ma tutto divien personale, senz' escludere il comune: tutto privilegio del poeta fortunato, che si solleva sopra d'ognuno che arrivi alla vetta del sacro monte.

Se l'Alighieri rappresenta anco l'umanità, davanti a Beatrice l'umanità è lui, che esce per la donna amata « dalla volgare schiera ». Virgilio scompare; Stazio rimane nell'ombra della divina foresta; e Matelda spettatrice e serva del tremendo episodio. A render gli altri puri e disposti a salir alle stelle basta che tranquillamente s'immergano nel Lete, e bevano dell'Eunoè; non si richiede che si aprano i cieli e scendano mirabili visioni. Per Dante invece, che ha ancor seco di quel d'Adamo, si rinnovano le prime scene tra Dio e l'uomo, con questo di più che l'opera e la rivelazione divina sparsa per tutti i secoli si fa a lui presente, perchè, davanti a tanta grazia, tanta riconoscenza il cor gli morda, ch'ei cada vinto e sia degno della più perfetta purificazione e del più sincero ed alto risorgimento.

1 Il CAPETTI (Studi sul paradiso dantesco, Bologna, Zanichelli, 1906, pag. 112), facendo suo un pensiero del D'Ovidio, riguardo all'uso che Dante avrebbe fatto delle leggende medievali, e de' ricordi d'altre visioni, scrive giustamente: « E questo è il concetto mio che, cioè, in tali reminiscenze qualche volta complesse, perchè procedenti da varie leggende, possa essere la genesi di qualche invenzione dantesca simile e talvolta la spiegazione di qualche altra invenzione dissimile e diversa ed opposta ; onde sia altrettanto osservabile, per comprendere la sagacia o veramente la sapienza di Dante, e quello che esso non ha imitato, anzi deliberatamente non voluto imitare, e ciò che invece ha trasportato e adattato a scene del tutto diverse da quelle che la leggenda gli suggeriva ».

2 Purg., XXIX 37-42.

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Ma è da vederne i riscontri particolarmente. Il meraviglioso ha principio sulla cima del Purgatorio coll'apparire de' candelabri d'oro e della processione simbolica centro della quale è il Grifone che trae il carro. È Dio che appare sotto quel molteplice velame all'uomo reduce dall'esiglio del mondo, a Dante e innanzi a lui, come già addusse Eva ad Adamo, gli conduce l'adiutorio, colei che all'alto volo gli vestirà le piume 1, Beatrice, la Virago, la donna « venuta di cielo in terra a miracol mostrare », che lo scorgerà all'ultima salute. Adamo pecca nel giardino d'ogni delizia e si nasconde, ma sta per esserne cacciato; Dante, peccatore convertito, vago si avanza nella sacra foresta, e si presenta senza tema al Grifone. Ma Beatrice, scesa di cielo, gli griderà: Come degnasti d'accedere al monte?

Non sapei tu che qui è l'uom felice??

E già prima l'avrà chiamato per nome, come già Dio Adamo. Quale amara ironia non traspare dalla vicinanza del nome di Dante,

Che di necessità quì si registra

a quello, sì fortemente espresso, di Beatrice:

Guardami ben; ben son, ben son, Beatrice 3.

Al poeta cadon giù gli occhi nel chiaro fonte di Lete, dalla cui riva ascoltava, e, veggendosi in esso, come nello specchio di sua coscienza, trae all'erba: tanta vergogna gli grava la fronte. È la vergogna d'Adamo, dopo il delitto.

Ma qui vuolsi notare la differenza che corre tra la scena del rimprovero fatto da Dio a' nostri progenitori colpevoli, e quella della riprensione di Beatrice a Dante. Perchè di qui si pare quanta libertà si pigliasse l'Alighieri nelle sue finzioni poetiche e nel variarne, per antitesi od opposizione a' modelli, i movimenti ed i concetti. Nella prima scena è Dio che parla, e interroga del peccato i due colpevoli, che se ne rigettano l'un sull'altro la responsabilità;

▲ Par., XV, 54.

2 Purg., XXX, 73-75. 3 Ivi, v. 55 e 73.

nella seconda Dio simboleggiato nell'animal biforme, non parla, ma assiste giudice taciturno alle accuse di Beatrice contro Dante. E più degno di nota è che qui si cambiano le parti. Poichè, laddove il primo uomo accusava la donna e la donna il serpente, qui invece la donna accusa l'uomo, e l'uomo «<le presenti cose col falso lor piacer È una palinodia sublime, che ci ricorda, sott'altro aspetto, il pensiero de' Padri, secondo i quali, come una donna ci portò la morte, così un'altra donna ci restituisce la vita. Beatrice, delle tre donne benedette, che curan di Dante nella corte del cielo, scende rappresentante e ambasciatrice dell'altre due, Maria e Lucia, e, sola compagna assidua, conduce e sublima alla rinnovazione più intera l'uomo a sè caro. Negli stupendi versi ove risuona la mirabile e forte difesa che la donna amata fa di sè e delle sue bellezze, le quali avrebbero dovuto « per lo primo strale delle cose fallaci, levar suso il poeta di retro a lei che non era più tale», ci par d'udire una splendida confutazione dell'accusa lanciata dal primo uomo alla donna: Mulier quam dedisti mihi sociam, dedit mihi de ligno et comedi 1, cioè mi fece traviare.

I desiri di Beatrice doveano infatti menar Dante

ad amar lo bene

Di là dal qual non è che s'aspiri',

ed anche morta, « in contraria parte, mover dovealo sua carne sepolta »; ed invece, ella grida,

Quando di carne a spirto era salita

E bellezza e virtù cresciuta m'era,
Fui io a lui men cara e men gradita,

E volse i passi suoi per via non vera 3.

L'amico non sa che rispondere ed, ammettendone il rimprovero, nè dà la colpa, non a lei, ma alle presenti cose le quali col falso lor piacer volser suoi passi. Davanti alla Virago Beatrice, Dante uomo diviene Eva, e, scusan

1 Gen., III, 13.

2 Purg., XXXI, 23-24.

3 Ivi, XXX, 127-130.

dosi, ascrive i suoi traviamenti all'inganno delle cose, divenute a lui insidie di serpente.

Di Adamo il Genesi non dice che si pentisse dopo la confessione fatta davanti a Dio del suo delitto, sibbene ne parla il libro della Sapienza. Dante però dice di sè che << di penter sì lo punse ivi l'ortica, che di tutt'altre cose, qual più lo torse, più gli si fè nemica » 2. Di qui un'altra differenza. Dopo il rimprovero di Dio e il castigo della perdita della giustizia originale, l'uomo decaduto viene espulso dal paradiso terrestre, e mentre Dio scompare, egli scende dal sacro monte per ramingare nella terra d'esiglio e di pianto. Dante invece, dopo il pentimento, risorge, si purifica nel Lete, perdendo anche la memoria de' suoi falli, e lungi dall'esser cacciato dall'eccelso giardino, vien condotto in mezzo alle quattro ninfe o stelle, « non viste mai fuor ch'alla prima gente », « al petto del Grifone », o di Dio umanato, ove gli si svela tutta la bellezza della sua donna, << splendor di viva luce eterna », a render il quale ei non ha colori che valgano. Così si chiude la meravigliosa scena della riconciliazione di Dante con Beatrice e dell' obblìo della sua colpa.

XV.

Ma Dante non è che un esempio di quella perfetta penitenza per cui l'uomo riveste la giustizia originale. All'esempio succede il simbolo sublime della riconciliazione dell'umanità a Dio, fatta per Cristo; e Dante giustificato n'è spettatore.

La processione che s'era fermata al Lete si rimette in via; ma a un certo punto Beatrice che trionfava sul carro tirato dal Grifone, ne scende; e, giunti ad una pianta dispogliata, tutti mormorano « Adamo », la cerchiano e gridano:

1 Sapient., X, 2. Vedine i Commenti. 2 Purg., XXXI, 85-87.

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