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In cerchio le facean di sè claustro

Le sette ninfe con quei lumi in mano

Che son sicuri d'Aquilone e d'Austro.

Ecco l'impero divino ristabilito. Mentre il Grifone cogli altri sen vanno, non più per la foresta, ma suso al cielo, aperto da Cristo trionfante, restano sulla terra tutte le virtù e i doni di Dio, colla verità rivelata « sotto la fronda nuova seduta in su la sua radice », cioè protetta dal divino impero e sostenuta dall'autorità di Dio che l'ha rivelata, mentre il carro della Chiesa rimane legato all'albero ringiovanito. Tale è l'intima costituzione della Chiesa fondata da Cristo. Ed i suoi elementi sostanziali, quali sono distinti da' teologi1, si assommano in ciò che vien detto corpo ed anima della Chiesa, ed è quel che di tutta la mistica processione resta quaggiù intorno all'albero. Il carro, simbolo della gerarchia ecclesiastica, e del popolo cristiano, ritrae il corpo della Chiesa come società nella vita esterna sotto il governo dell'autorità costituita da Cristo, mentre Beatrice simboleggia la verità soprannaturale predicata da lui e l'infallibile e immutabile magistero della Chiesa, al cui carro per l'albero, sulla cui radice ella siede, si riconnette e aduna. Le sette ninfe invece co' sette lumi accesi, figurazioni delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali co' doni dello Spirito Santo 2

Cfr. L. BILLOT De Ecclesia Christi, Proemium, Romae, Polyglotta. II ed. 1903, pagg. 277-280; D. PALMIERI, De Romano Pontifice, Proleg. De Ecclesia, § XI, Prato, Giachetti, II ediz. 1891, pag. 40 e segg.

Dante pone in mano alle sette donne o virtù i sette candelabri o doni dello Spirito Santo, perchè v'è una tal quale rispondenza degli uni alle altre. Secondo S. Tommaso alla prudenza risponde il consiglio (II-II. q. 52; a. 2); alla fortezza il dono della fortezza (II-II, q. 139, a. 1); alla giustizia la pietà (II-II, q. 121, a. 1. II-II, q. 68, a. 4); alla temperanza il timore (I-II, q. 68, a. 4 ad 1); alla carità la sapienza (II-II, q. 45, prolog. art. 1), alla fede e alla speranza l'intelletto e la scienza (II-II, q. 8, prolog. a. 1); de' quali due doni, benchè solo rispondenti alla fede, uno va dato alla speranza, che con quella va sempre unita, se pure il peccato mortale che espelle dall'anima la carità, come direttamente contrario alla fede o alla speranza, non offende anche queste due virtù. « Omnia dona, avverte S. Tommaso (I-II, q. 68, a. 4 ad 3), pertinent ad has tres virtutes ». Notiamo ancora, a maggior schiarimento del pensiero dantesco, come il poeta dica che davanti

comprendono tutta l'anima o la vita interna della Chiesa al par che tutta la materia morale, come avverte l'Aquinate. Beatrice e il carro son dunque ambedue aderenti al grande albero simbolico: ma la donna

Sola sedeasi in sulla terra vera

Come guardia lasciata lì del plaustro 1.

Perchè la verità rivelata, appoggiata all'autorità divina, è la salvaguardia della Chiesa; e mentre i membri della gerarchia ecclesiastica, che in essi sussiste, possono per la nequizia de' tempi e degli uomini alterarsi e cangiarsi in mostro, ella, seduta « sulla terra vera » non ne resta scossa, e perdura immutata ed invariabile anche quando sembra che la selva de' vizi abbian fatto scomparire il << dificio santo» della Chiesa. L'infallibilità del magistero divino e l'immutabilità del dogma che per la corruzione di chi governa la Chiesa non vien meno dal divino poeta meglio non poteasi simboleggiare. Se tal non fosse il concetto dell'Alighieri, non si potrebbe spiegare perchè Beatrice davanti alle trasformazioni del trionfal veicolo, agli assalti del drago, ed alle profanazioni della fuia e del gigante non faccia nulla, e si rimanga seduta, paga di sgridare colla voce e mettere in fuga la volpe dell'eresia, sua personale nemica, che vi si era avventata. Nè quando il gigante trasse il carro, divenuto per le penne dell'aquila mostro, e la fuja insieme con esso per la selva, ella si mosse, ma si rimase ancor seduta in su la radice dell'albero, « sospirosa e pia », ascoltando il dolce canto che le sette donne, « alternando or tre, or quattro »,

alla processione i due estremi candelabri con le liste estreme distavano fra loro dieci passi » (Purg. XXIX, 81), e che Beatrice, allorchè si mosse con le sette ninfe co' candelabri dall'albero non avea forse lo decimo suo passo in terra posto» (Purg. XXXIII, 17) quando invitò Dante a venir più tosto e a parlar seco. I dieci passi significano la via de' dieci comandamenti, l'osservanza de' quali vuol sempre essere compresa nell'esercizio delle virtù teologali, cardinali e de' doni dello Spirito Santo. A queste quattro cose si riduce infatti tutta la parte buona della materia morale nell. III delle Sentenze e nella II-II della Somma dell'Aquinate II-II, Prologus).

1 Purg. XXXII, 94-95.

faceano del salmo LXXVIII: Deus venerunt gentes in haereditatem tuam, nel quale allegoricamente si ragiona della Chiesa e delle sue sventure e s'invoca la divina vendetta sopra i suoi nemici 1.

Tale è il processo storico-dogmatico, incarnato dall'Alighieri in meravigliosi simboli, della venuta e redenzione di Cristo, della verità rivelata da lui, e della Chiesa da lui istituita: questo complesso di fatti, che Dante nel disegno generale del sacrato poema non potea obliare, perchè in sè assomma il mezzo di salvezza eterna per l'uomo, i cui due cardini sono la verità rivelata, o fede obbiettiva, e il Papato, come altrove egli dice:

Avete il vecchio e il nuovo Testamento

E il Pastor della Chiesa che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento 2.

E per fermo la storia della Redenzione non è che l'avveramento della profezia minacciosa, fatta da Dio nell'Eden al serpente, nemico della donna e del suo seme, alfine schiacciato dal piede di lei. Ove infatti si ricordi come quest' inimicizia tra la donna e il serpente, secondo l'evangelista S. Giovanni e la sentenza quasi comune de' Padri, significa l'odio e la guerra continua fra la Chiesa e Satana, non si dubiterà di ammettere, quantunque, senz'alcun dubbio e per necessità antecedente, essa importi anche la pugna per

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1 Questo salmo e il relativo Commento di UGONE DA S. CARO, se non c'inganniamo, ci dà la più sicura spiegazione della simbolica trasformazione del Carro in mostro, e della fuja e del gigante; tre simboli che rispondono alle tre fiere, come noi le intendiamo, cioè il mostro nato per le penne raffiguranti le ricchezze ricevute, richiama l'avarizia della lonza; la fuja, la lussuria della lupa; il gigante, la superbia del leone, tre vizi applicati alla corruzione della Chiesa, come la vedeva il fiero poeta! Non potendo, per la brevità che ci siamo imposta, aggiunger di più, basti a documento questo tratto del Card. Ugone: << Deus venerunt... gentes idest Gigantes Praelati sive quicumque Canonici ac Clerici, gentiliter secundum legem Machomet in deliciis, in luxuriis, in idololatria avaritiae viventes..... Gentes, scilicet Syri, idest superbi; Idumaei, scilicet luxuriosi; filii Ammon, idest turgidi litigatores et avari». (Comm. in Ps. 78).

2 Par., V, 76. 3 Apoc., XII, 13.

petua della Vergin Donna Immacolata contro il demonio, che l'Alighieri, studiosissimo della Scrittura e de' Padri, non avesse l'occhio a quella profezia divina, e, concependo il suo Purgatorio sopra l'esegesi del terzo capo del Genesi, quindi non traesse l'ispirazione ad estendere il simbolismo della donna vittoriosa e del suo seme all'imagine, suggeritagli da' Padri, della Chiesa e del suo divin Salvatore. Il drago che esce di sotterra, simbolo dello scisma, e rompe il fondo del carro, su cui stava già Beatrice, non è che il serpente insidiatore del calcagno della donna; e calcagno della Chiesa, come interpreta secondo i Padri l'Alapide 1, è il popolo cristiano simboleggiato dall'Alighieri nel fondo del carro. Ed il promesso schiacciamento del suo capo chi è che nol ravvisi nell'analoga profezia del « Messo da Dio », da taluni applicata al Cristo venturo, il quale pugnando contro altre insidie di Satana,

anciderà la fuja

Con quel gigante che con lei delinque? 2

XVI.

L'ispirazione delle mirabili scene degli ultimi canti del Purgatorio è dovuta, come abbiamo veduto, a ciò che il Genesi ci narra della colpa de' nostri progenitori, e che forma il germe di quella concezione poetica; i simboli o le forme del concetto di là ispirato e poi compiuto li tolse l'Alighieri così d'altri luoghi della Bibbia, come da' più cercati commentari.

Tra queste fonti, oltre le additate dal poeta stesso in Daniele e in S. Giovanni, e quelle da altri scovate, ci pare importantissimo il sullodato card. Ugone da S. Caro, a cui

1 Cf. Comm. Gen., III, 15.

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Purg., XXXIII, 44-45. Anche il Salmo LXXVIII, cantato dalle sette donne intorno a Beatrice, dovè confortare Dante a porre la profezia del Messo di Dio, vendicatore degli oltraggi fatti alla sua Chiesa, perchè ivi s'invoca l'aiuto di Dio contro i persecutori, e le sue vendette contro i profanatori del tempio.

senz'alcun dubbio s'ispirò il genio di Dante quando, sull'accingersi a descrivere la processione celeste e le vicende del carro della Chiesa, invocava Urania, musa delle celesti cose, che l'aiutasse

Forti cose a pensar mettere in versi 1.

E il Paradiso terrestre, in vetta al Purgatorio sorgente dall'onda è per Dante l'isola di Patmos, e la scena della sua poetica Apocalissi.

Come a tutti è noto e fu da noi già chiarito, la mistica processione, raffigurante il trionfo della Chiesa, non è che la storia della venuta del Messia.

Il grifone << animal binato », che trae il trionfal veicolo circondato da' quattro Evangeli, non è, come dicemmo, se non Gesù Cristo che viene ad istituire la sua Chiesa, nella quale poi appare la verità soprannaturale rivelata, fonte d'ogni salvezza per l'uomo; e norma di giudizio intorno alle azioni umane.

Restringiamo le nostre osservazioni alla scena del trionfo del carro e alle sue vicende, dopo la salita al cielo del grifone e degli altri. Il carro, come avvertono i commentatori, ha un'impronta biblica, ma noi crediamo che il poeta nel disegno del carro e del suo seguito, pur attenendosi alla Bibbia pel concetto, s'ispirasse per la forma e per il corteo al commento del card. Ugone al capo 1 della Cantica, modificandone alcune parti e poeticamente sviluppandone altre. Per essere il passo d'Ugone assai lungo, noi ne diamo come il distillato in poche parole che bastino al nostro scopo, ch'è di mostrare come l'Alighieri trattasse le ultime e più sublimi parti della concezione del Purgatorio.

Dice dunque il Cardinale che lo sposo de' sacri cantici ha un carro mirabile, il quale senz'alcun dubbio non è che la Chiesa: Iste currus indubitanter est Ecclesia 2: carro di

1 Purg., XXIX, 42.

2 Purg., XXIX, 73-75.

Riportiamo la parte sostanziale del passo. << Praeter hos currus (Dei) et super omnes istos (Pharaonis) habet Sponsus unum currum mirabilem

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