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LA CONCEZIONE DEL PURGATORIO DANTESCO

SECONDO

FRANCESCO D'OVIDIO

SOMMARIO. 1. Il pensiero del D'Ovidio sulla concezione del Purgatorio dantesco. Nostro accordo e disaccordo con lui. 2. L'inaugurazione del Purgatorio dopo la passione di Cristo: strana sentenza comunemente 3. La apposta all'Alighieri. Interpretazione del passo su cui si fonda. dottrina teologica, Dante e i suoi commentatori. La « buona intenzion » del D'Ovidio « che fa mal frutto». 4. L'Eneide e l'Antipurgatorio. Sostrato teologico di questo. 5. La contiguità del Purgatorio col Paradiso terrestre e le rivelazioni di Matilde di Hackeborn. 6. Le incertezze del D'Ovidio intorno agli angeli ed a Matelda. Perchè Catone stia a' piè della sacra montagna e Matelda in vetta nel Paradiso terrestre, ma separati dalle cornici purganti l'amore disordinato. - 7. Alcune osservazioni agli argomenti del D'Ovidio contro Matilde di Canossa, a pro di Matilde di Hackeborn. 8. Le scene del Paradiso terrestre dantesco agli occhi dei contemporanei del poeta e de' suoi moderni lettori. I rebus e le sciarade del Purgatorio. Conclusione.

I.

Notammo già sul principio dell'ultimo nostro studio che i lavori speciali sopra il Purgatorio erano piuttosto scarsi e limitati. Non sapevamo allora che sarebbe venuto alla luce tra breve un bel volume dell'illustre Francesco D'Ovidio, sì benemerito degli studi danteschi. Egli infatti, raccogliendo quanto prima aveva qua e là a voce esposto, e con miglior ordine ed unità il tutto disponendo, ha offerto recentemente a'dotti il frutto de' suoi profondi pensamenti e delle sue larghe indagini sopra la seconda Cantica 1. In molte e molte cose è impossibile non convenire con lui, perchè oltre all'essere ben dette sono confortate con assai buoni argomenti che sviluppati con quel brio e con quell'arte invidiabile ch'è dote dell'autore, ti trascinano, quasi im

1ll Purgatorio e il suo preludio, Milano, Hoepli, 1906, pp. XVI-634.

memore delle difficoltà che potresti opporre, alla persuasione, seco travolgendo ogni resistenza contraria. Non vuolsi però tacere che alcuni punti disputati restano, pur sotto la penna del D'Ovidio, ancor incerti e oscuri, e che qualche opinione, proposta da lui, difficilmente sarà ricevuta anche da chi meritamente lo loda ed ammira. Ma, checchè ne sia di questi lati, per dir così, deboli del suo lavoro, esso segna un bel passo nell'esegesi del Purgatorio, e sostituisce in gran parte altre opericciuole, alle quali fino a ieri dovevamo ricorrere.

Non è nostra intenzione farne ampio esame. Solo, poichè anche il D'Ovidio tratta in codesto volume della concezione dantesca del Purgatorio, e in più d'un punto ci accordiamo con lui, non sarà discaro a' lettori il vedere come l'incertezza, il dubbio, l'eterogeneità, la scarsa luce degli altri punti, mentre mostrano poca saldezza negli argomenti che li fiancheggiano, fortificano invece l'unità armonica e l'omogeneità della nostra sentenza.

<< Nella concezione dantesca del secondo regno, scrive egli, si trovano combinati questi varii elementi: Il Paradiso terrestre non assolutamente vuoto e inaccessibile, ma ritornato sede, benchè transitoria, di esseri umani, benchè morti, e governati da un'anima umana; il passaggio degli eletti non immediato dalla terra al Paradiso celeste, ma a traverso il Terrestre; la situazione di quest'ultimo in un'isola; l'isola altissima, superiore a tutti gli altri monti, ed immune, se non altro da un certo punto in su, dalle vicende atmosferiche; - il passaggio immediato dalle ultime pene purgatorie al Paradiso terrestre; in questo un'ultima definitiva purificazione senza alcuna pena materiale; - la continuità tra il Purgatorio e il Paradiso terrestre portata al punto da metterli entrambi su una stessa montagna » 1.

Codeste cose, osserva bene l'autore, si trovano qua e là sparse e raggruppate nella letteratura anteriore, nella quale, come anche noi avvertimmo, non manca neppur « l'ultima Op. cit., pag. 472 e segg.

cosa, la comunanza di sede tra il Purgatorio e il terrestre Paradiso, che è la più originale, com'è la più decisiva » 1. E veramente è questa la prova più decisiva della verace concezione dantesca, come sopra dimostrammo, e va data lode al D'Ovidio d'averla intraveduta, ed espostone qualche lato nel bel capitolo dove tratta sì del doppio fuoco reale e traslato, come del Cherubino colla spada nuda riflettente i raggi della luce angelica, e che serve ad incidere i sette P2; punti ne' quali godiamo di trovarci pienamente d'accordo coll'illustre dantista, come pure quanto all'incisione de' sette P, comune all'anime, e al passaggio degli eletti dalla terra per la porta di San Pietro, traverso il Paradiso terrestre, alla gloria de' cieli.

Quanto agli elementi materiali, geografici ed astronomici del Purgatorio noi, come dicemmo, accettiamo il meglio dagli altri proposto nè vogliamo metterci in tal pelago. Ciò che più c'interessa ed importa è la costruzione ideale e viva e il nesso delle sue diverse parti. Qui il D'Ovidio vaga ancora nell'incerto e nel congetturale, sebbene con non fallaci, anche se insufficienti, argomentazioni e indagini. La connessione del Purgatorio col Paradiso terrestre egli l'attribuisce a Matilde di Hackeborn; ondeggia sul numero e sugli uffici degli angeli; fonda l'antipurgatorio sull'Eneide, nè sa connetterlo col Paradiso terrestre; discute meglio su Catone che su Matelda, ma si lascia sfuggire il loro vincolo; e non assurge all'alto concetto, alle « forti cose a pensar » delle simboliche scene degli ultimi canti del Purgatorio, ove l'animo suo troppo « rimane assente nel contemplare quelle meraviglie » 3, e, quello che più monta, continua la falsa tradizione di ascrivere all'Alighieri la strana opinione che il Purgatorio s'inaugurasse coll'era volgare. Noi diremo una parola sopra questi punti, trattando prima quel «< che ha più di felle ».

3

' Ivi, pag. 475.

Ivi, pag. 208 e segg.

3 Op. cit., pag. 594.

II.

Noi ci saremmo aspettato che il bravo e perspicace D'Ovidio, il quale aveva pur alla mano il bandolo della soluzione, la facesse finita con quell'opinione che attribuisce a << nostra maggior Musa» la stranezza che il Purgatorio s'inaugurasse colla passione di Cristo. Certo, le pagine che a sostegno di questa sentenza, e quasi a scolpare il divino poeta, egli aggiugne, lo diciamo senza dubitare della sua sincerità, non sono nè le più convincenti, nè le più esatte del libro; anzi ci pare che qui il D'Ovidio, volendo tracciare la genesi del dogma cattolico del Purgatorio, sia minore di sè stesso.

Il Purgatorio, afferma il D'Ovidio, non esisteva quando Catone morì 1, e per Dante, « è cosa tutta cristiana. Codesto è esplicitamente accennato nelle parole con cui Virgilio dice a Sordello d'esser egli morto sotto Ottaviano prima che il Purgatorio s'inaugurasse:

Prima che a questo monte fosser volte
L'anime degne di salire a Dio

Fur l'ossa mie per Ottavian sepolte » ".

Così egli. Noi non faremo di ciò colpa al buon D'Ovidio; travolto nella comune corrente insieme con uomini assai più teologi di lui, benchè meno erranti, quali il Poletto e il Palmieri 3. Ma quei versi di Dante non sono sì espliciti da far di lui un dissentiente dalla dottrina comune ricevuta nelle scuole del suo tempo, sibbene si debbono interpretare conformemente a ciò ch'ei dice del passaggio degli eletti traverso il Purgatorio per salire al cielo.

Infatti nel senso ovvio que' versi sol questo vengono a dire, che Virgilio fu sepolto prima che al monte del Purga

1 Op. cit. pag. 75.

2 Ivi, pag. 343. Cf. Purg., VII, 4-6.

3 Cf. G. POLETTO, Comm. della D. C, Purg., VII, 4-9; D. PALMIERI, Comm. alla D. C. ibid.; F. TORRACA, La Divina Commedia nuovamente commentata, Roma-Milano, Albrighi e Segati, 1905, pag. 312, col. 2.

torio l'anime si rivolgessero degne di salire a Dio, cioè, come poi afferma di sè l'Alighieri, pure e disposte a salire alle stelle. Pure, ossia monde per la purgazione d'ogni macchia e per il soddisfacimento di tutta la pena temporale; disposte, cioè condizionate a veder Dio, per la rimozione dell'impedimento, opposto dalla colpa d'origine a tutta l'umana natura, e cui solo l'Uomo-Dio patendo e morendo poteva togliere, e, aperto così il cammino della celeste felicità, primo di tutti colla sua salita entrar ne' cieli, a' figli di benedizione lasciandone spalancate le porte. Due infatti, secondo l'Aquinate, erano gli ostacoli all'ingresso del regno celeste. L'uno era il comun peccato di tutto il genere umano, colpa del primo padre, pel quale era precluso all' uomo l'adito alla felicità eterna. Il perchè, dopo il delitto di Adamo, e la sua espulsione dall' Eden, Dio vi pose l'angelica custodia colla spada fiammeggiante a proibirne l'entrata agli uomini: l'afferma S. Tommaso con altri padri, d'accordo in ciò particolarmente con Ruperto abate. L'altro ostacolo è il peccato speciale e personale commesso da ciascuno colla propria volontà e co' propri atti. Dell' uno e dell'altro fummo liberi per la passione di Cristo, vero prezzo del perdono da lui al Padre offerto per noi, che colla fede e colla carità partecipiamo a' meriti de' suoi patimenti. Quindi pel sangue di Cristo ci fu aperta la porta del regno de' cieli, e il buon ladrone potè udir dal Redentore in croce la consolante promessa: Oggi sarai meco in paradiso 1. Da quel giorno Dio su degnò l'anime de' santi Padri e degli altri giusti che aspettavano al limbo. Perchè, quantunque essi, << in ferma fede de' passuri piedi » 3, vuoi coll'opere di giustizia, vuoi colla soddisfazione per le colpe, si mondassero personalmente dal peccato, non bastava però la fede o la giustizia d'alcuno a rimuover l'impedimento frapposto dal reato di tutta l'umana natura.

2

1 Summa Theol., III, q. 49, a. 5.

Purg., XXI, 20.

3 Par., XX, 104-105.

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