Page images
PDF
EPUB

Qualche nesso sporadico di parti s'incontra qua e là nella << letteratura anteriore, teologica o poetica, classica o medievale, mondana o mistica », ma il nesso e l'armonia complessiva, quale da noi si chiarì, non procede che dal Genesi.

Del resto, la visione matildina de' sette gradi purgativi disposti su pel monte, nel cui vertice sta il trono della Trinità coronato dal nodo aureo della divinità co' quattro rivi procedenti della divina sapienza, della divina provvidenza, della divina grazia o abbondanza, e della divina voluttà ', e a cui vicino s'erge il trono di Maria, che canta un inno al Figliuolo col coro delle vergini, ripetuto da' Patriarchi, da' Profeti, dagli Apostoli, da' Martiri, da' Confessori e da S. Benedetto, questa visione, diciamo, accoppia non il Purgatorio col Paradiso terrestre, ma addirittura coll'Empireo. Di quell'Orto, confessa il D'Ovidio, ove Matilde ammirò il Trono divino e della Vergine, non ci si dice, « che sia il Paradiso terrestre, nè del Purgatorio ch'ei sia proprio sotto all'Orto; eppoi la trasmigrazione delle anime da quello a questo ed il rapimento di Matilde, l'assunzione da questo a quello, potrebbero insinuarci che i due luoghi siano staccati affatto ». E la cagione par chiara. Quell'Orto non era il Paradiso terrestre, ma il celeste; la presenza della Trinità col suo trono non ci permette di dubitare, benchè fosse solo per fantastica rappresentazione, e in ciò il d'Ovidio s'accorda con noi.

Rimane pertanto sotto il Paradiso celeste solo il Purgatorio e per avventura non contiguo ad esso, co' suoi sette gradi dell'Umiltà, della Mansuetudine, dell'Amore, dell'Obbedienza, della Continenza, della Castità, e della Magnanimità, virtù le quali press'a poco contrastano a' sette vizi capitali, tutti, fuorchè la gola, ivi accennati. Nè questa visione coi sette peccati capitali accomodata alla monaca benedettina farà meraviglia, ove si ricordi che per regola 3 essa udiva sovente la lezione spirituale tolta dalle Collazioni di Del gaudio celeste dice la Scrittura, Ps. 35,9: Torrente voluptatis tuae potabis eos. Op. c., pag. 490, 495. Regula S. Benedicti, c. 42.

[ocr errors]

2

8

Cassiano, tra le quali la quinta ragiona a lungo dei sette o otto vizi. Che le sette cornici dantesche sieno un rimaneggiamento di questa visione, e che di qui venisse all'Alighieri la spinta a tagliare nel monte, su cui frondeggia il Paradiso terrestre, il suo settemplice ripiano con le scalette intermedie ci sembra far torto al genio dell'Alighieri l'ammetterlo, come fu già un torto fattogli sull'inizio del secolo scorso, quando alla Visione del monaco Alberico si ascrisse in gran parte il merito della larga costruzione dell'Inferno. Lo schema scientifico, filosofico e teologico de' tre regni precede, a nostro avviso, tutto l'edificio materiale. Nella larghezza e varietà delle linee anco più generali, come l'Inferno ci richiama l'Etica Nicomachea, e il Paradiso la teorica della carità sparsa pe' cieli, così il Purgatorio ci presenta i sette vizi capitali che colle loro figlie abbracciano sott'altro aspetto tutte le colpe dell'ordine morale. Questo grand' esercito gregoriano di vizi maggiori e gregarii, con profonda tattica etico-teologica, lo scaglionò il poeta su pel dosso del monte coronato del Paradiso terrestre, nè dovè stentar molto ad intagliarvene da sè gli accampamenti, anche se durante il lavoro gli venne a rischiarare il terreno qualche lampo d'oltralpe; egli, « alta fantasia », che con assai più minuzioso magistero d'arte aveva dianzi diviso e suddiviso il baratro infernale per distribuirvi l'immenso popolo che il possiede.

VI.

Alle incerte e dubbie linee, per così dire, della plastica materiale del secondo regno il D'Ovidio aggiugne, con garbo però, e con quell'arte fine e lusinghevole ch'è suo privilegio, quelle che riguardano i personaggi. Non ch'egli non faccia del suo meglio per accertarne i lineamenti, gli atti, le intenzioni, lo scopo e gli uffici, ma, con tutto il buon volere, molte cose restano ancora nell'ombra, e molte brillano d'una luce, vivace, se si vuole, ma che non persuade l'occhio della loro veracità obbiettiva. Degli angeli, per

esempio, dice assai, e assai bene, ma « sì fatti ufficiali » escono dalle sue mani quasi decimati. I due angeli «< che ogni sera scendono dal cielo contro il serpente », perchè limitati alla valle, « vi sono avventizi » 1, e perdono però il grado di « ufficiali ». Sommati i custodi de' sette gironi col nocchiero tra il Tevere e il lido della purgazione, si avrebbero dieci angeli in ufficio continuo ». E se s'ha a salvare un bel numero nove, « quello dell'angelo navicellaio si vuol considerare a parte » 2; cosicchè risica d'esser escluso dal numero degli « ufficiali » proprio quell'angelo, all'apparir del quale il maestro grida al discepolo:

Ecco l'angel di Dio, piega le mani:
Omai vedrai di sì fatti ufficiali 3.

Ma questi formano pur sempre il bel numero dodici, con un << vicario di Pietro », il quale tra loro è quasi capo e giudice in sulla porta del Purgatorio, che alla fin fine è quella de' cieli. L'assottigliar questo novero non può procedere che dal non assurgere all'alto concetto che vi si nasconde, qual è la rappresentazione del collegio apostolico, de' testimoni preordinati da Dio a manifestar la buona novella, e cooperare alla ristorazione de' danni causati dalla colpa d'Adamo nell'uman genere. Non si dicano avventizi i due custodi della valle, nè si rifiuti l'angelo nocchiero: la loro vita di moto non impedisce ch'essi non abbiano la lor « posta », come gli altri che si restan fermi su' ripiani de' sette gironi; anzi la loro attività quotidiana, maggiore che non sia il canto d'un versetto biblico e del ventar dell'ala, li richiama a gran voce nella schiera degli ufficiali perpetui del secondo regno.

Ma in mezzo a loro, s'aggirano altre due persone, d'inferiore natura, ma di non meno importante ufficio: Catone e Matelda. Assai bene ne discorre l'acuto D'Ovidio, e in assai cose conveniamo con lui; ma quel molto che ne dice non è rischiarato dalla luce alta, continua e tranquilla, la quale si sprigiona dal simbolo della prima coppia umana. Catone 1 Op. cit. pag. 321, 323. 2 Ivi, pag. 321. 3 Purg. II, 29-30.

è più sculto, definito e delineato; Matelda ha ancora qualcosa di non caratteristico, « che rimane generico, non diventa individuale »1; insomma potrebb'essere non una donna, ma un uomo, forse un angelo, più cortese e gentile di Catone, se si vuole, sebbene pari a lui per ufficio virile.

E nondimeno Matelda e Catone tanto convengono nel simbolo genesiaco, che l'Alighieri non avrebbe potuto meglio designarli e distinguerli di quel che fece.

Adamo, posto custode dell'interno del Paradiso terrestre e dell'incontaminata libertà umana, « per non soffrire alla virtù che vuole freno a suo prode »,

Dannando sè dannò tutta sua prole 2;

e spogliato de' doni soprannaturali e preternaturali, fu da Dio espulso fuori del luogo di felicità. Fuori quindi non solo dell'Eden, ma anco del suo settemplice vallo sta Catone rappresentante antitetico del primo uomo, e quale vindice e difensore della libertà, è sovrano di quelli che si van redimendo dal servaggio d'ogni residuo di colpa, finchè non sentano in sè « libera volontà di miglior soglia » 3. Ha però in sua balìa tutte l'anime purganti, e particolarmente custodisce i negligenti, cosicchè sotto la sua giurisdizione sta tutta la regione del male espiabile. Come tutto derivò dalla male usata libertà d'Adamo, così del suo influsso maligno l'effetto sanabile si estingue a' piedi e su pel pendìo della sacra montagna, ove l'anime si vanno spogliando lo scoglio ch'esser non lascia lor Dio manifesto; mentre l'insanabile va perennemente dirocciandosi sotto forma di lacrime da' pie' del Veglio di Creta,

In ver la valle, ove mai non si scolpa

L'uomo pertanto, il custode nato ed eletto dell'Eden, venuto meno al suo mandato, vive, nel suo rappresentante antitetico, fuori dell'eccelso giardino, e nella regione inferiore che più n'è

1 Op. c. pag. 593.
* Purg. II, 120.

• Par. VII, 25-27. 5 Purg. XXIV, 84.

3 Purg. XXI, 69.

discosta, ove peranco possono le intemperie che alla cima non giungono. Lassù invece, fra le delizie ineffabili del primo dì, passeggia ancora la donna, iscegliendo fior da fiore, e cantando come innamorata.

Matelda è più fortunata custode che non Catone. Perchè mai? Perchè, sebbene più grave fosse stata la superbia di Eva 1, non avvenne però per la colpa di lei che la progenie d'Adamo perdè colle delizie del Paradiso terrestre la giustizia originale ed i privilegi che n'erano il corredo; ma solo per il delitto di Adamo, da Dio stato costituito capo di Eva e insieme di tutta l'umana famiglia, e unico custode di tutti i tesori largiti al genere umano. Onde ogni uomo che viene al mondo contrae non già la doppia colpa di Eva e d'Adamo, ma unicamente la prima dell' « uom che non nacque » 2. E questa è la ragione perchè in Catone, il quale a pie' del monte vive peranco tra le alterazioni atmosferiche, e vi starà finchè non riassuma « la vesta che al gran dì sarà sì chiara » 3, l'uomo ci appare più punito che non la donna in Matelda cui in sulla cima dilettano e canti e fiori e l'eterna primavera delle prische delizie.

V'è però tra l'uno e l'altra un gran muro di separazione, le sette cornici del Purgatorio con la cintura di fuoco nella suprema: quelle cornici e quel fuoco, ove con tanta varietà di pene si vien purificando il molteplice disordine d'amore, originato ne' figli d'Adamo dal primo disordinato affetto che condusse, come dice S. Agostino, il primo uomo a consentire per amichevole benevolenza alla donna in un medesimo peccato 4. Così nella pena del disordine de' figli trova la propria il disordine de' progenitori, e la separazione che ne impedisce la convivenza castiga la troppo grande unione d'amore

[merged small][ocr errors][merged small]

4 Cf. S. TOMMASO, II-II, q. 163, a. 4; S. AGOSTINO, De genesi ad litteram, 1. XI, c. ultimo. S. AMBROGIO scrive: « Quando Adam solus erat, non est praevaricatus, quia mens eius adhaerebat Deo ». L. VI, ep. 41 ad Sabinum, riferit. nel Iur. Can. Decr. P. II, Caus. XXXIII, q. 3, de poenit., dist. 2, c. 33.

« PreviousContinue »