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si fermano finalmente i progressi temporali della chiesa per dar luogo ad altre fasi di vera decadenza. Quindi un nuovo periodo (il settimo nella serie) nel quale il regno pontificio si vede assalito dalla Francia e dall' Impero, diviso dalla doppia sede di Avignone e di Roma e in balia delle nazioni che incominciano a destarsi. Quindi nell' ottavo pe- nell'ottavo riodo da Martino V a Leone X, Alessandro VI esercita appena un simulacro di potere col dare l' America alla Spagna, e coll' assistere suo figlio nel tentativo di fondare un impero italiano; ma, quest' impero ereditato da Giulio II e da Leone X, si riduce ad uno Stato, e il Nuovo Mondo non compensa la perdita del nord dell' Europa liberato dalla Riforma. Oramai si parla, si discute, si rivede il passato, e pertanto nel nono periodo da Leone X a Sisto V i pontefici si contentano di stabilire le proprie famiglie negli Stati italiani, col dare Firenze ai Medici e Parma ai Farnesi, e nel decimo ed ultimo periodo da Sisto V a Clemente XII anche la potenza di creare nuovi principi si riduce allo sforzo per favorire le nuove famiglie dei Borghesi, dei Barberini, di altri, e il regno papale si riduce a simulate mediazioni, sdegnate dai principi, ad accordare esenzioni, privilegi, premj imaginarj ai fedeli, a dare dei cardinalati alle corti, o dei santi alle moltitudini oramai indifferenti alle decisioni di Roma.

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Questa, o signori, è la storia dei tre cieli, secondo Giannone, e voi vedete, che oramai le anime staccate dal corpo più non sanno dove riposarsi e stanno per morire di inanizione, e siamo addotti alla conclusione, che finirà il regno pontificio come il regno terrestre. Usciremo noi dal dominio pontificio per cadere in un nuovo abisso ancora più profondo? all' Olimpo, all' Apocalisse succederà forse un'altra chimera ancora più falsa? o il ciclo della decadenza essendo oramai compito, ci sarà forse permesso di cominciare un'altra carriera? Questa carriera sarebbe il ritorno circolare del passato, o una ripetizione con giro ascendente verso idee più vaste che mancavano agli antichi? Nel Triregno Giannone non risponde, non oltrepassa, io credo, l'esposizione istorica, e prima di cercare in altri scritti una risposta che dà nel terzo ed ultimo stadio della vita sua, io conchiuderò in oggi il mio discorso, dicendovi che il Triregno è libro unico nella storia della letteratura italiana. Scorrete pure, o signori, tutti gli scritti di filosofia e di storia pubblicati dal Campanella in poi; leggete pure Gregorio Leti, Boccalini, fra Paolo Sarpi e quanti scrittori furono esiliati, perseguitati o pugnalati per ordine della Chiesa romana: il Triregno è la sola opera nella quale la religione sia apertamente assalita nel dogma, scandagliata nelle origini, analizzata nelle conseguenze. Giannone è l'unico scrittore col quale l'Italia si associa al moto europeo della scienza contro la fede.

Che siate credenti o increduli, dovete convenire che, se lo sopprimeste, ci mancherebbe, per così dire, una delle categorie della ragion nazionale, l'Italia sarebbe assolutamente pontificia, e come la Turchia, affatto estranea alla Francia di Voltaire, all' Inghilterra di Collins, alla Germania di Federico II, all' Europa del secolo XVIII. Quand' anche Giannone avesse ripetuto, come Voltaire, cose dette da altri, approfittando, come era suo diritto e dovere, di ogni discussione anteriore, e specialmente di Burnet e di altri inglesi, l' essere egli unico nella letteratura italiana contro la Chiesa, giustificherà l' importanza da me datagli finora.

Nella prossima domenica del 28 febbrajo vedrete in qual modo meriti la nostra attenzione sotto l'aspetto della filosofia della storia.

LEZIONE SETTIMA

LA FILOSOFIA DEL TRIREGNO.

Noi non considereremo certo il Triregno come un libro di erudizione, nè ripeteremo l'esegesi della Bibbia per verificarne una a una le opinioni istoriche: ma essendo esso un lavoro sull'origine e lo svolgimento naturale delle idee, dai primi principj della storia fino ai nostri tempi, noi lo sottometteremo alle norme stesse colle quali abbiamo misurata la distanza che separava la Storia civile dalla filosofia della storia.

Questa distanza era grande, e sì ardua era la via da percorrersi, che le nostre censure avrebbero potuto parere troppo molteplici e superiori al punto di partenza. Ma diremo noi adesso Giannone inferiore all' importanza da noi datagli? Sarebbe egli ancora inceppato dai fatti, estraneo alle idee, illuso dalle false prospettive di popoli progredienti colle sconfitte, e sopraffatto da una lunga serie di vicissitudini spoglie di senso?

No certo: egli risponde finalmente alle nostre censure, e in primo. luogo determina le epoche in modo ad un tempo filosofico e popolare. La mortalità delle anime, la resurrezione dei morti, il cielo degli spiriti, ecco i tre principj che generano le tre grandi epoche della storia; e tutti gli avvenimenti loro ubbidiscono, l'assedio di Troja come la Terra Promessa, le piramidi dell' Egitto come l'impero di Roma, le cattedrali del medio evo come le leggi moderne; tutta la storia quasi, limpido specchio, riflette l'imagine prima del cielo terrestre, poi del cielo apocalit tico, e da ultimo del cielo pontificio. E il mondo si muove, e un'epoca conduce necessariamente all' altra; non si può fermarsi nella mortalità delle anime, perchè l' imaginazione e la ragione spezzano le tombe; non si può sostare tra le tombe spezzate dell' Apocalisse, perchè l'anima non può staccarsi momentaneamente dal corpo senza poi fare da sè, e il giudaismo genera il cristianesimo, che crea alla volta sua il papato. Dominate da un principio, vasto come la religione, mobile come lo spirito

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umano le nuove epoche di Giannoue sono inoltre, vi dissi, filosofiche, per cui si deduce ogni origine dai principj primi della mente, ed essendo pur essa creatrice degli dei, degli eroi divinizzati, delle anime immortalizzate, dei primi sacrificj, del primo culto, della prima religione, questa una volta spiegata colle facoltà dell' intelligenza propaga la spiegazione di culto in culto, di religione in religione, di sistema in sistema, perchè l'uno di essi essendo dato, tutti gli altri ne discendono necessariamente con moto perpetuo.

Nè vogliate dirmi, o signori, esser falso che non credessero gli Ebrei all'immortalità dell'anima, o la religione delle tombe essere antica quanto il mondo, e presupporre fino dai più antichi tempi il regno delle ombre. Io vi lascio al Pentateuco, ai libri dei Profeti, alla Bibbia prendete pure quanti passi potrete raccozzare su questo dogma, che avrebbe dovuto essere il primo, a dettare le più esplicite pagine ed escluderne cento altre assai più chiare sulla terra promessa; io vi risponderò sempre che si comincia da zero, che l'immortalità dell' anima non è nè innata, nè insita, che non esce dal primo moto dello spirito umano; che il regno della morte si fa sempre più ampio colla civiltà; che il paradiso e l'inferno si estendono sempre più ad ogni nuova epoca della storia; e che se passate da Omero a Virgilio, da Virgilio a Dante, e da questa a Milton, voi troverete vittoriosa la legge affermata dallo storico napoletano.

Istessamente voi potrete rivocare in dubbio i diversi limiti assegnati alle sue epoche, che vi trasportano da Abramo ad Esdra, da Esdra a Gregorio I; voi potrete sottomettere ad attenta revisione le sue asserzioni sul purgatorio negato agli Ebrei, o sulle dieci fasi dell' êra cristiana troppo inegualmente distinta in periodi ora di 300, ora di 100 e anche di 70 anni. Gli rimarrà pur sempre il merito di avere proceduto colle idee, di avere fondato il calendario della civiltà sul pensiero, di avergli subordinata ogni data civile, ogni festa popolare, ogni solennità religiosa, ogni moto politico, ed in ciò consiste l'assunto primo della filosofia della storia.

E se guardate egli persiste nell'errore per cui faceva dipendere i moti della Storia civile da Teodorico, da Alboino, da Carlo Magno, da Ottone, da Carlo d'Angiò, e in generale dai legislatori, dai conquistatori che cadevano quasi aeroliti sulla terra di Napoli! Nel Triregno tutto il moto parte dal basso, l'idea prima di ogni epoca è presa nelle moltitudini, che non permettono ad alcun capo di sorgere se non per rappresentarla nelle di-, verse sfere della religione, della politica, dell'arte, della guerra. Chi inventa la risurrezione dei morti? Forse Cristo? no, chè l'accetta dai Farisei. Forse i Farisei? no, chè l' accettano da Ezechiele, dai poeti, dai

filosofi, i quali l'accettano dallo sviluppo popolare dell'immaginazione e della ragione. Chi inventa il cielo degli spiriti? Forse questo o quel dottore della scolastica? No, ma tutti i pittori, tutti gli scultori, tutti gli oratori che hanno cospirato a celebrare innocentemente le glorie dei martiri e dei santi e che erano sforzati dal popolo a divinizzarli con subitanee apoteosi. Chi ha inventato le pene del purgatorio? Chi le indulgenze? Nessuno individualmente, ma bensi tutti i credenti in massa che spingevano i capi, i dottori, i pontefici in una via nella quale si avventuravano tremando. Chi ha inventato il regno papale? Forse S. Pietro che l'ignorava? Forse S. Silvestro che non lo sospettava? Forse S. Gregorio, si umile, si ossequioso verso i Cesari di Bisanzio? Forse Urbano II, che considerava come un attentato contro la giurisdizione dei vescovi il diritto poi usurpato di canonizzare a Roma tutti i santi del globo? Il moto partiva dal basso, dalle ilee, dai popoli, ed era si forte che traeva seco e i Barbari dell'invasione e i re più astuti nell' estendere le proprie conquiste.

Ben sentiva lo storico napoletano che colla pretensione di seguire il doppio moto religioso e civile non poteva rimanere sul territorio del regno di Napoli, e per uscire da questa isola fittizia, si trasportava a Roma, senza poi raggiungere il concetto di una storia consociata dei popoli. Ma diremo noi che non lo raggiunge nel Triregno? Che ivi non si accorge che le nazioni sono tutte come individui nella folla dell'u manità, come navi sul pelago della storia? diremo noi che ivi non s'avvede che nessuna di esse è isolata, nessuna insolidale, ma che tutte dipendono dalla religione che cammina col mondo, e si trasforma trasformandole e rovesciando culi, regni ed imperi? diremo noi che non vi conosce le epoche della storia pontificia, le sue rivoluzioni, il trapasso dalla sinagoga al vescovado, dal vescovado al patriarcato, dal patriarcato al papato, e cosi via via dalle prime acquisizioni di Stefano a quelle di Gregorio VII, di Innocenzo II, di Bonifazio VIII, tutte progredienti e connesse per modo, che questa volta le crociate e l'inquisizione e il cardinalato acquistano nuovo senso, e riassumono tutta la storia del mondo a noi noto? Rileggete sugli indici del Regno papale la Storia civile; rifatela come vi piacerà, e questa volta più non resisterà ai desiderj della scienza.

Lo studio delle leggi era insufficiente nella Storia civile a dominare i casi delle guerre e delle rivoluzioni, e interrotta dalle conquiste, la serie delle legislazioni meridionali presentavasi allo sguardo col disordine delle battaglie, senza origini e senza successione ragionata. Nel Triregno sopragiunge il principio che ordina le leggi; l'idea del cielo sovrasta a

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