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già da me nel precedente libro esposte, altre glie ne esposero, come per esempio che per disposizione di legge pontificia niuno fuori del foro dell' arcivescovo, o del suo vicario potesse conoscere del peccato dell'eresia (1). A questa anche altre cose aggiunsero, in parte sottili, secondo il costume de dottori, i quali in questa faccenda furono come la mente della nazione, ma tutte vere, a cui ogni altro uomo che non fosse stato don Pietro di Toledo non avrebbe avuto che cosa rispondere (2). Ma egli infingendosi rispose: Non sapere di questo breve, di cui bucinavasi, ma che, presentandoglisi, molto consideratamente avrebbe permesso che gli si fosse data espedizione, sapendo benissimo le cose che gli avevan rammentate. Pure non potere nascondere alle SS. LL. l' animo suo, che, da poi che s'erano scoverti nel regno uomini di perversa luterana dottrina, pareva a lui s' avesse a procedere d'alcun rimedio contro di loro, a ciò che le pecore infette del gregge le sane non ammorbassero. Queste dubbie parole, anzi che scemare accrebbero il sospetto ne' Napoletani, e tornati più volte a conferir con esso di questa faccenda, non gliel celarono. Ed

(1) Camillo Porzio, Stor. d'Ital. p. 87, 88.

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(2) Non perchè dubitasse del castigo, essendo cristiano e cattolico fedelissimo; ma vedendosi fuori d'ogni ragione macchiare d'heresia una città reputata da tanto tempo immemorabile cattolica e cristiana; onde ecc. Il Castaldi - Essendo detta Inquisizione infamia e dishonore grande a detta città e regno, dove sempre si era vissuto e viveva generalmente da cattolici e buoni cristiani, per lo che non si temeva se non la vergogna e le indebite storsioni che si facevano per l'Inquisizio Lo stesso Castaldi.

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egli sempre a dire, s'armassero di più salde armi contro le insidie coperte dell' eresia: abbominevole mostro, il quale disteso avendo le sue velenose radici per tanto paese, già dell'altro occupava. Ma i Napoletani s'erano fitti in cuore di volere anz i ogni estremo esterminio e la morte stessa patire, che mai sottomettersi a quella maniera di giudicio, la quale non solo reputavano orribile, ma vergognosa. S'apparecchiavano per la infelice Napoli nuovi dolori.

Era arcivescovo allora di Napoli Ranuccio Farnese, nipote di Paolo III, stato creato dal papa cardinale un anno innanzi (1), cioè nel 1546; e per la non rara a que'giorni non residenza de' vescovi nelle loro chiese, abuso a cui diè riforma e provvide il tridentino concilio, era vicario Leonardo de Magistris vescovo di Capri (2). Ora il vicerè comunicato il breve al vicario, ed a sè chiamatolo, gl'ingiunse, non, com'era l'uso a suon di trombe (questo temperamento gli parve dover usare), nè con prediche lo pubblicasse, ma con solo affiggere il cedolone alla porta della chiesa arcivescovale, sperando con sì sottile provvedimento di potersela passare tacitamente. Per aiuto esibi al vicario in questa faccenda un giureperito del Consiglio reale, stante che l'affare, per la manifesta avversione del popolo (disse) meritava che si trattasse con somma cautela. A questo solo il

(1) Camillo Tutini appresso al Beltrani, Descrizione del regno di Napoli 1644.

(2) Summonte il quale chiama l' arcivescovo Rainaldo Farnese Storia X. Vedl l'Appendice.

vicario si negò invincibilmente con dire, non a lui essere lecito, accettando un ministro regio a compagno, derogare alla giurisdizione spirituale del suo superiore (1). Al restante annuì, perciocchè come in tutto negarsi a' vcleri d'un vicerè? Andava di male gambe ad affiggere l'editto, come gli era stato dal perfido vicerè ingiunto di fare. Ma il popolo, insospettito per un bando messo fuori in que' giorni dal reggente di Vicaria, Geronimo Fonsega (2), che comandava ai capitani delle piazze, gli notificassero gli abitanti tut. ti di ciascuna contrada, e 'l modo del cristiano lor vivere, il popolo, dico, di ciò insospettito, s'accalca a furia a legger l'editto. Grida e minacce s'innalzano sul sacro limitare del maggior tempio della città. Serra! serra! è gridato per ogni via. La voce Inquisizione si spande di bocca in bocca. I cittadini tra loro si guardano, e guardandosi accennano di vendicarsi con le armi del ricevuto oltraggio. La città alla vociferazione, e al silenzio sottentrato alla vociferazione, mostra chiari segni di prossima sollevazione: col-. pa una ostinata voglia, una insanabile insania di chi comandava. Di presente costringono il vicario a lacerare l'editto, il quale, fattolo fare in cento pezzi, nella chiesa per paura si fugge.

Questo fu il primo editto affisso alla porta del duomo in un dì di quaresima dell'anno 1547: questa la prima manifestazione del popolo, dopo della quale o

(1) Porzio, Stor. d'Ital. p. 89.

(2) Pietro Miccio, vita di don Pietro di Toledo. CXXXV. p.91 Summonte, ecc.

doveva il governo ritirare l'editto, o attendersi a un generale sollevamento. Ma il vicerè, tenendo la via del mezzo, più piana delle estreme certo, ma che agli stati le più volte torna più perniziosa, credè di potere venire a capo del suo disegno. Consultatosi con seco medesimo, e co' suoi consiglieri di più corta veduta che la sua, si risolvè, la politica da seguitare dovesse essere di smentir con parole quel che in effetti operava, come già aveva incominciato di fare. Avrebbe a parole assicurato il popolo che suo animo non era d'introdurre l'Inquisizione, e nello stesso tempo avrebbe punito alla spicciolata quelli che più le si fossero levati contro. Strano partito in vero fu vinto nel viceregnale consiglio. Come se non bastassero i commessi errori a denigrare il governo, s' ostinarono a continuarsi nella medesima via. La division d'a nimi tra popolo e nobiltà era ciò sopra cui il vicerè faceva assegnamento maggiore, ma non previde che questa division d'animi appunto sarebbe in un istante cessata per opera sua. Il vicerè movea dalla massima, doversi imperando dividere, la quale sarebbe buona, se non fosse vera quell' altra, che i regni divisi periscono. Ma poniam che sia buona, ella torna forse utile in quelle signorie, nelle quali popolo e governo non formando una cosa sola, il governo trae d'altronde tutta la sua forza; ma perniziosissima è da reputare, dove tali condizioni in tutto non s'avverano, e'l governo trae la maggior forza dalla nazione. Ho voluto innanzi tratto esporre la mia opinione sulla condotta politica tenuta dal vicerè, persuaso che se la

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storia giova col chiarimento de' fatti, colla revisione del giudizio d'essi fatti giova assai più. D'altra parte un governo di forme, vuoi anche imperfettamente, rappresentative, com' era il nostro, fonda sul maggior numero de'suffragî. Ora il vicerè aveva creduto d'essersi assicurata la pluralità de' suffragi a questo modo. Avea fatto per suoi intrighi creare nelle feste natalizie, su lo scorcio del 1546, Domenico Terracina eletto dal popolo, a lui unito co' legami del comparatico, e così creduto d'ottenere per suo mezzo il consenso della piazza popolare la più indocile e la più numerosa (1). E bene il Terracina con gli altri partigiani del vicerè s'era adoperato a persuadere a'popolari l' Inquisizione voluta introdurre non essere quella di Spagna badassero donde veniva: sol che leggessero il tenore dell' editto se ne sarebbero pienamente certificati. Ma quantunque l' eletto usasse il vero per ingannarli, non riuscì nel suo inganno. Era egli esoso al popolo per essersi, villan rifatto, di subito elevato ad autorità, e per altre vecchie sue colpe. Il vicerè oltre a ciò credeva che stesse dalla sua il popolo, ricordevole d'aver egli la nobiltà abbattuta e depressa. De' nobili poi poca stima faceva, dopo la inutil prova da essi tentata di rimuo

tanto per

e

(1) Domenico Terracina compare del vicerè.... questo e per le altre cose vecchie egli era esoso al popolo, molti giudicavano che avendo il vicerè intenzione di tentare questa introduzione del tribunale della Inquisizione avesse quattro mesi prima procurato di farlo divenire eletto del popolo ad oggetto di potere avere per mezzo suo il consenso della piazza del popolo Castaldi, lib. II.

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