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troppo bene il vicerè, che con ciò gli venivano a dire che restasse di nome e non di fatto al governo : nondimeno, cedendo alla necessità, fu concluso l'accordo, che tra Napoletani e Spagnuoli si avesse a vivere in buona pace sino al ritorno degli ambasciatori. Ma innanzi che io mi faccia a narrare come la tregua dall'una parte e dall'altra venisse osservata, non sarà fuor di luogo, mi penso, arrestarsi alcuni brevi istanti a considerare l'aspetto di Napoli, entrante il giugno 1547, e per che modo fosse il poter diviso nella divisa città. Dalla parte del popolo erano ancora i sei deputati delle piazze, nobili e popolari, quelli che governavano, ma di nome; perciò che il triumvirato di Cesare Mormile, priore di Bari, e Gian da Sessa regolava effettivamente ogni cosa (1). Il governo antico della città andava a dissolversi, e ne nasceva il governo di pochi. E ben si vide la natura sempre sospettosa e gelosa di questo governo di pochi, quando fatta una rassegna generale delle forze del popolo, e trovato ch'erano in tutto 14mila armati, de' quali la più parte archibusieri, e de' quali dieci buone migliaia erano villani e sbanditi, non vollero per siffatto esercito collettizio creare alcun capo militare che lo reggesse, temendo non un siffatto capo s'insignorisse della città. Dall' altra parte poi restava il vicerè solo, e lo chiamavano con nome fan

(1) I deputati tanto per le piazze nobili, quanto per il popolo, benchè fossero stati fatti per la conversione de' privilegi o delli Capitoli, come allora si diceva, furono chiamati Deputati del Reggimento-Ved. Relattione del signor Hettore Gesualdo, M. S. della B. Borbonica.

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tastico, immaginato da quelle lor fervide menti, il Gigante di castelnuovo. E nondimeno chiusi i tribunali, e fuggiti coloro, che per il re amministravano giustizia al popolo, non si commise, in tutti que' giorni di trambusto, omicidio o delitto alcuno. Mai non fu veduta tanta abbondanza di vitto, e le cose vendevansi a discretissimo prezzo, senza che nè ufficiali di grascia vi s'ingerissero, nè a'venditori fosse usata forza e violenza. Chè sempre che una grande querela pubblica signoreggia gli spiriti, tacciono innanzi ad essa i minori interessi; perciocchè per parlare il linguaggio di quelli che dispregiano queste cose, avviene allora nel mondo sociale quello che nel fisico dove quando una grande infermità domina, innanzi ad essa tutti gli altri mali spariscono. Ma lasciando questo modo in vero poco generoso di considerare le cose umane, io sempre dissi e dico, che se nelle città il disordine è male, e l'ordine è bene, che certamente è così; molto sono da incolpare e da vituperare quelli che nella ordinata città non rimuovono le cause de futuri popolari disordini. Nel tempo di questa tregua si stava in sull'avviso dall'una parte e dall'altra, e si tenevano corpi di guardia con le loro sentinelle nelli loro posti, usando il popolo co' soldati assai spesso, e i soldati col popolo; nè il popolo sollevato ed armato, tenea i magistrati per suoi superiori; anzi, quando gli veniva fatto, non si rimanea dall'ingiuriarli e maltrattarli. Tale era Napoli nel 1547. Ma con alcune generali considerazioni io mi risolvo di conchiudere questo libro. La città e il vicerè,del

le controversie de'quali questa parte del mio racconto è piena, sono, per un certo modo di esprimermi, quasi l'ombra di due gran contrari: la libertà e il principato. Ma la coincidenza di questi due gran contrari, il principato e la libertà, desiderio de' secoli, era ancora troppo lontana nello spazio del tempo, in cui è circonscritto il presente lavoro. Però bisognava che a vicenda acremente si combattessero, e l'un principio regnasse in esclusione dell'altro, come nel progresso e nel non lontano termine di questa storia sarà meglio mostrato.

FINE DEL QUInto libro.

LIBRO SESTO

ARGOMENTO

Partenza degli ambasciatori da Napoli. Firenze ed altri principi italiani mandano ad offerire soccorso al vicerè. Che cosa egli loro risponde. Se sia da credere che si volessero i Napoletani dare al papa, e al re di Francia. Storia interna della città fino al ritorno di Placido di Sangro, uno degli ambasciatori. Ordini Imperiali. Indulto dato dall' imperatore: ne sono eccettuate trentasei persone. Fine de'tumulti.

Partiti finalmente gli ambasciatori della città e del vicerè da Napoli, lo stesso giorno, che fu il 28 di maggio, stavano gli uomini in grandissima aspettazione, desiderosi di vedere e d'intendere dove questa doppia ambasceria andasse a riuscire. Se non che infermatosi in cammino il principe di Salerno, avvenne quello che più la città avrebbe voluto evitare, cioè che prima de' nostri giunse lo Spagnuolo in corte imperiale, in Norimberga, ove allora Cesare dimorava. Difer sore d'autorità, e testimone di veduta, non è da domandare se vi fosse presto e benignamente raccolto ed udito. La qual sorte i nostri non incontrarono: onde si vede che la tanta diligenza usata dalla città, a fine che nell'animo dell'Imperatore le accuse non precedessero le difese, tornò vôta d'effetto per uno inopinato accidente. Onde si vede ancora che spesso tutta la umana industria non basta a regolare gli avvenimenti, come quella che non è di per sè atta ad antivedere tutti i possibili casi ; pure si vuole usarla, nè nulla lasciare intentato, non

fosse altro per non restar col rimorso di non aver tutto messo in opera dal canto suo (1).

In questi termini stando le cose, ambasciatori vennero al vicerè dal duca di Firenze, suo genero, dalla repubblica senese, e d'altri potentati italiani. Gli venivano ad offerire soccorso di danari e di gente, i quali il vicerè ringraziò. Solo al genero mandò a dire gli tenesse presti e pronti cinquemila pedoni, che a un bisogno in Napoli per la via del mare si conducessero. Onde qui cade in taglio di esaminare, se Napoletani al papa e al nuovo re di Francia si fosser rivolti. Leggo in una vita, ancora inedita, di Paclo IV, scritta dal p. Caracciolo, queste parole: « Havendo i tumultuanti Napoletani fatto supplicare Paolo III che si degnasse aiutarli, il cardinal Theatino esortò il papa a farlo, come testificano il cardinal Farnese ed altri cardinali nel processo del Caraffa ». (2) Continua a dire lo stesso autore: «Si sa che Paolo III stimò tanto quell'occasione offertagli, che chiamò i più esperti e più prudenti suoi capitani, de'quali alcuni lo persuasero a pigliar quell'impresa ». Ed in altro luogo: « Essendo detti tumultuanti ricorsi anche al re di Francia, sarebbe stato meglio che il

(1) Il Giannone narra « che il principe, trattenutosi in Roma in visite ora di questo, ora di quell'altro cardinale, colpasse all'indugio; il che ridonderebbero a biasimo della città nell'avere scelto un uomo cosi leggiero.» Ma il Porzio riferisce che il principe si fosse infermato in cammino,cioè che la causa della dimora non gli si poteva apporre, come independente dalla sua volontà. Io qui seguito il Porzio, chè non sempre, credo, s`abbia a stare al solo Giannone.

(2) Vita e Geste di Gio. Pietro Caraffa ec. raccolte dal p. don Antonio Caracciolo de'Clerici regolari. M.S. che si conserva nel monistero di S. Paolo di Napoli.

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