Page images
PDF
EPUB
[ocr errors]

volle a lui affidare la sua persona: il che parve, com' era, un dubitar della fede del sovrano. Pove ro Ferrante Sanseverino! D'errore in errore, chiaritosi ribelle, prima in Francia, e poi di Francia si condusse, peragrando, in Costantinopoli, dove visse a uso Costantinopoli. Torna in Francia, e vi si ren de e vi muore ugonotto. La sua andata in Francia operò che vi fusse meglio veduto di Cesare Mormile (il quale, come si disse, vi si era già rifuggito) s'intende, perchè più grande, e di nome. Questo accese di gelosia il Mormile, il quale venutosene in Roma, rivelò agli Spagnuoli segreti di stato, sperando così di riavere la patria e la roba. Svelò il trattato che il re di Francia aveva col Turco, in cui erano egli e'l Sanseverino implicati, per fare accostare a Napoli un'armata turchesca, gittare il regno in una nuova rivoluzione, e levarlo alla Spa gna. Brutte cose son queste, a dir le quali, poichè il dirlo è forza, fuor misura m'affretto: vinta, com'è, in me la ragione dallo sdegno. Cesare non riebbe la roba. Solo gli fu dato tanto che potesse vivere in patria disonorato. Così finì il Mormile : così in Ferrante i principi di Salerno di casa Sanseverino si spensero.

Ma gli uomini passano, le cose durano, da altri giudiziosamente fu detto. Poco premono gli uomini, e sieno pur potentissimi, a paragone delle nazioni nelle quali sono massimamente da studiare le instituzioni. La mala augurata instituzio ne della Inquisizione spagnuola in Napoli mai non fu voluta ri

[ocr errors]

cevere. Questo vanto resta a'Napoletani, nè io credo di averlo con la presente opera attenuato. Ma come sorte già in Napoli le eresie, a ciò fosse provveduto dalle potestà spirituale e laicale, nasce curiosità di sapere. Ad appagare la quale curiosità l'ultimo libro di questa storia è rivolto.

FINE DEL SESTO LIBRO.

LIBRO SETTIMO

ARGOMENTO

Storia delle cose seguite nel regno per causa delle nuove eresie. Bolla di Giulio III. Caso lamentabile della Guardia, e di altre terre di Calabria. Provvedimenti dati da'monarchi spagnuoli intorno a queste materie di ecclesiastica giurisdizione. Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico. Giu. lia de Marchis da Sepino, e suo singolare processo. Monsignor Piazza, e suo imprudente procedere. Rumori a tempo del cardinale Spinelli, arcivescovo di Napoli, e come sapientemente quetati da re Carlo Borbone. Conchiusione, è fine di questo lavoro.

Il tribunale del santo ufficio di Roma proprio concetto del cardinale Theatino, e da lui singolar mente al papa proposto, venne colà instituito nel pontificato di Paolo III, con una constituzione in data del 21 di luglio dell'anno 1542, ottavo del regno di quel pontefice di casa Farnese. Questo supremo tribunale di fede, creato sull'esempio di quello di Spagna, e dal quale dovevano tutti gli altri tribunali dipendere, fu specialmente commesso a chi l'aveva proposto, al cardinal Theatino cioè del titolo di S. Clemente, che fu poi cardinale di Napoli, e governò finalmente la chiesa universale col nome di Paolo IV. Ebbe compagni all'opera, frà Giovanni di Toledo, domenicano, figliuolo del duca d'Alba il vecchio, e fratello del vicerè di Napoli (di chi questo vicerè si valse per avere il breve di Roma, come sopra a suo luogo è stato ampiamente narra

[ocr errors]

to) (1), arcivescovo di Burgos, del titolo di san Sisto, chiamato prima il cardinal di S. Iago; Paolo Parisio di Cosenza, cardinale del titolo di S. Balbina; Bartolomeo Guidiccione da Lucca, cardinale del titolo di S. Cesareo: frà Dionisio Laurerio di Benevento, del titolo di S. Marcello; e frà Tommaso Badia da Modena, cardinal di San Silvestro in Campo marzio. Questi cardinali presero ad esaminare le dottrine che fossero contrarie alla vera fede cattolica, a punire gli uomini che le professassero, e a proibir i libri che le contenessero. Tesserono di libri proibiti un catalogo, che poi, regnante Paolo IV pontefice, si pubblicò. Di nuove armi in somma la chiesa si provvedea a fulminar le eresie. I Napoletani del 1547 dissero, niun'altra Inquisizione volere che quella esercitata, secondo il precetto de' canoni, per via ordinaria, dal proprio vescovo, o in mancanza dal suo vicario. Ma non sempre a grado loro andò la faccenda. Imperciocchè nel 1553 avendo l'imperatore scritto a papa Giulio III che aveva saputo esservi in Napoli molto sospetto d'eresia, e che ogni giorno crescevano i seguaci della nuova setta, il papa dovè raddoppiar le diligenze, come anche fece il Theatino; e in vero, al dire del p. Caracciolo (già da me citato, autore d'una vita inedita di Paolo IV) giovò tanto il valore e zelo del Rebiba, vescovo di Mottola, vicario di Napoli, che spesso si mandavano le barcate di carcerati da

(1) Libro terzo in fine.

Napoli a Roma, fra' quali erano alcuni nobili, la maggior parte de' quali per poca cautela inciampavano in qualche errore, ma si ravvidero facilmente; ed il cardinal Theatino fu tanto diligente e severo in fare l'officio suo, che non perdonò anche a certi suoi parenti di famiglia spagnuola, com'egli stesso scrisse in una lettera a sua sorella Così il Caracciolo. Erano adunque scorsi appena sei anni dal 1547, e già si mandavano le barcate d'inquisiti d'eresia da Napoli a Roma, ed in Roma si giudicavano. Il vicerè Toledo volentieri prestava il braccio secolare a' vescovi, o a lor vicari per estirpar qualche falsa opinione (1), e nello stesso tempo usava mandare i prigioni a Roma agli ufficiali di quella Inquisizione, ovvero d'esigere dagl' inquisiti le malleverie di presentarsi ivi avanti a quelli ufficiali. Andati gl' inquisiti a Roma, e fatta l'abiura e la penitenza ad essi imposta, n' erano poi rimandati alle loro case (2). Tale per le cose nostre in su le prime mostrossi la Inquisizione romana. Venne a' dì 7 d'aprile del 1554, a'prieghi della città (atterrita

(1) « Il vicerè d. Pietro di Toledo scrive al governatore di Capitanata a 23 maggio 1552 ordinandoli che rimetta il prigione che tiene inquisito d'eresia al vescovo di Troia, suo giudice competente. E a' 27 avvisa il vescovo dell'ordine dato. Questi poi dopo ricevuto il carcerato lo partecipa al vicerè, e ne ottiene risposta a 29 giugno 1552, nella quale gli diceva che per castigo dell'inquisito avea ordinato al governatore che gli presti il braccio secolare, come in effetti gli scrisse lo stesso giorno.>> Chioccarello, Archivio della Regia Giurisdizione, Venezia 1721 pag. 143.

(2) Giannone, lib. XXXII, cap. V, § I.

« PreviousContinue »