Page images
PDF
EPUB

Odetto Foix di Lautrec, il cui nome entra tanto nelle nostre memorie che ancora di lui si chiama e si chiamerà per gran tempo un vicino colle che prospetta la nostra città, era uomo (così i contemporanei scrittori ce lo dipingono) di grave aspetto e d'alta e ben formata persona. Il colore delle carni aveva bianco, gli occhi azzurri, fronte larga, spaziosa, degna di principe, barba nera, alquanto lunghetta, grandi mustacchi e grandi cicatrici sul viso. Parlava italiano, come colui che lungamente avea militato in Italia nella sua gioventù. Aveva ancora uno sguardo malinconico, quasi presago in suo cuore del miserabile fine a che era chiamato, e de' niente prosperi successi di guerra. Voleva ne'suoi soldati strettissima disciplina: era di modi duri, che tiravano al superbo: capitano certo il più grave e sodo di quanti mai ne abbia Francia mandati a danno d'Italia. (1) Tale era il duce, che veniva ad aggiungere un' altra pagina alla storia delle nostre sventure. Doveva, per le istruzioni ricevute dal re, prima liberare il pontefice, poi passare alla impresa di Napoli. Imperocchè è a sapere che quel contestabile di Borbone, ribelle di Francia, perchè le sue schiere non avevano avuto le paghe, aveva menato la tedesca rabbia a danno della città santa e del papa. Non la riverenza delle somme chiavi lo ritenne, non la certa novella

(1) Storia (inedita) del sacco di Roma, e delle guerre del requo di Napoli sotto Lotrecco 1527, 1528, 1529, di Leonardo Santoro da Caserta a carte 42, 80, 81 della copia futtane da S. Volpicella.

[blocks in formation]

dell'accordo conchiuso tra papa ed imperatore, non la presenza, la voce, le preghiere del vicerè di Napoli, il quale gli andò incontro a fine di stornarlo dall'immane proponimento. Tutto fu vano. Nulla con quello efferato valsero preghiere, esortazioni, comandi. Prese il Borbone Roma, peggior d' Alarico, e strinse d'assedio il papa in castel S. Angelo. L'esercito del Borbone era per la massima parte composto di Luterani, arrabbiatissimi contro al pontefice, in cui credevano di veder l'Anti-Cristo. Pagò sulle prime il fio dell' empio attentato, colpito da una palla d'archibugio, del qual colpo una mano sacra alle arti d'Italia, a cui quel barbaro doveva certo essere avverso, attribuissi l'onore. Scrive Benvenuto Cellini, nella sua propria vita, lui d'un colpo d'archibugio aver finito il Borbone. Il vicerè, poi che non ebbe potuto scampar dal fiero nembo Roma, poco dopo (il 23 di settembre 1527) nella città d' Aversa gravemente infermatosi, si morì. Dolore e terrore ispirò ne'principi e ne'popoli cristiani la cattività del pontefice, ma niuno ne mostrò più addolorato animo dell'imperatore. Vestissi a bruno egli e la corte. Intermise le feste e le gioie per la nascita del principe Filippo, suo figliuolo: indisse solenni preci in tutt'i tempii della Spagna, dove allora si trovava, per la liberazione del pontefice: come se (scrive il Giannone) non in Roma e in mano di Cesare, ma dell' imperatore de' Turchi in Costantinopoli il papa fosse prigione.

Ma intesasi da Carlo la mossa di Lotrecco, che

passava ad assaltare il reame di Napoli, non tardò a mandar commissione al La Noia vicerè che liberasse il pontefice, gli restituisse tutte le terre e le fortezze che erangli state occupate. Ma La Noia, come si disse, in questo mezzo tempo era morto: onde convenne che trattasse il negozio don Ugo di Moncada, al quale anco si distendeva il mandato di Cesare, e che fu il quinto vicerè di Napoli successore del La Noia. Sol che il pontefice pagasse le ingenti somme, di che era creditore l'esercito, nè più s' inframmettesse nelle guerre tra Cesare e 'l Cristianissimo, Carlo era contento.

Fatto questo accordo, l'esercito imperiale uscì di Roma, e venne a difendere il nostro reame. Lo capitanava Filiberto di Châlons, principe d'Orange (1). Lo componevano quindici migliaia di pedoni e duemila cavalli. Era venuto l'anno 1528 infelicissimo al regno per tre divini flagelli, di guerra, di fame e di peste; onde stette a un pelo che non fusse poco meno che distrutto. Lotrecco era entrato, senza contrasto, per la via degli Abruzzi, non avendo creduto gl'imperiali che potessero essere assaltati da quella banda. Trenta migliaia di soldati a piedi e cinquemila a cavallo erano l'esercito francese. Si calò per Puglia, tenendo per a Napoli il più lungo cammino, rasentando le marine, per così, come il Guicciardini esprimesi, condurre con più faciltà le artiglierie, e ancora più per fare provvisione di vettovaglia, avendo i Veneziani amici, che lo secondavano per la via

la

(1) Filiberto di Châlons, pincipe d' Orange, capitano di

del mare. Non facendo io professione di storico militare, nè scrivendo propriamente una minuta storia del regno di quella età, nemmanco opportuno giudico in questo luogo di fermarmi a narrare fil filo il cammino di Lotrecco tenuto per insino a Napoli. Basta che giunto a Napoli, con militare perizia, molto avvedutamente situò l'esercito tra Poggio-reale e'l monte di S. Martino.

Era Poggio-reale, come lo stesso nome l'indica, luogo di delizia de' re aragonesi, pieno di chiare e freschissime fonti e di molto ameni giardini, non quale, colpa degli uomini e dell'età, oggi è divenuto. Egli poi più innanzi di Poggio-reale, in una villa del duca di Montalto pose il suo padiglione maestro. Grande impressione ricevè all'animo il capitano francese alla vista della città, agognata meta di lungo cammino, chiara al mondo per bellezza di sito, per antichità di memorie, per frequenza d' abitatori. Si stupi e si fermò senza far motto agli altri signori che in bel numero lo circondavano. Stava pomposamente armato su un ginnetto morello, nobilmente guernito. Muto contemplava la città e la marina quelle mura famose, che avevano atterrito Annibale,

Carlo V, nacque nell'anno 1502 poche settimane prima della morte di suo padre Giovanni di Châlons, il quale aveva combattuto nella guerra napoletana di Carlo VIII. La sorella Claudia era maritata a Errico, conte di Nassau, e portò in questa casa l'eredità di Orange e di Neufchâtel. La famiglia di Châlons avea avuto Orange pel matrimonio di Giovanni di Châlons d'Arblay con Maria di Baux, erede del principato.-Münch, Ernest, Geschiclite des hauses Nassau-Oranien. Vol. 3. Aquisgrana 1833.

a Longobardi resistito, arrestato il normanno Ruggiero nel corso delle sue vittorie, contrastato a Corrado lo Svevo, e da Alfonso, come già da Belisario, penetrate sol per inganno. Qual sorte a lui spettasse ignorava. Era la stagione, come in sul finire d'aprile, amenissima. Ogni cosa si vedeva verdeggiare e fiorire, ogni cosa si sentiva olezzare, non senza un intimo giubilo de'Francesi. Ma dato che ebbero conveniente spazio al diletto, pascendo lo sguardo è l'animo nella città incantevole che di sè faceva vaghissima mostra, subentrarono loro in mente più gravi pensieri. Pianterebbero le batterie o stringerebbero la città d'assedio? Ma da poi che espugnare a un tempo la città e la rocca non si poteva, quest'ultimo parve al generale di Francia che fosse il consiglio migliore.

Avevano gl'imperiali intanto a questo modo distribuite le loro difese. Fabrizio Marramaldo, nome che per la morte del Ferruccio, propugnatore magnanimo della patria sua, acquistò una odiosa celebrità nella storia, teneva guardato S. Ermo. A lui obbedivano 800 fanti italiani, gli alloggiamenti de'quali si distendevano dal borgo dello Spirito Santo per insino a Castel nuovo (1). Gli Spagnuoli avevano in

(1) Per la perfetta intelligenza de'luoghi gioverà riferire un passo della Cronica di notar Giacomo, dove a pag. 229 dà notizia come in settembre 1499, sotto Federico d'Aragona si principiarono le mura di Napoli incomenzando da Porta reale (detta poi dello Spirito Santo) et respondendo incontro della ciltadella dello Castello novo. Il tratto che fuori di detta porta andava verso S. Ermo è quello che il Summonte, che in questa parte io seguito, chiama borgo dello Spirito Santo.

« PreviousContinue »