Page images
PDF
EPUB

guardia il quartiere della Incoronata per insino a Capuana. I Tedeschi porta S. Gennaro insino a porta Nolana e del Mercato. Gli uomini d'arme e i cavalli leggieri (che per le sortite furono di grande utilità in questo assedio) la Sellaria, gli Armieri, la Loggia e la piazza dell' Olmo. Li capitanava l' Orange. L'Alarcone era maestro di campo. Girolamo Morone, stato già segretario del duca di Milano, quel medesimo che avea tentato il marchese di Pescara con la offerta della corona del regno, ora per istrani casi di fortuna, che lungo sarebbe e che qui non accade contare, si trovava nel campo di Cesare provveditore. Il marchese del Vasto poi, cugino ed erede del già nominato Pescara, che in questo tempo era morto, teneva l'uffizio di governatore di tutte le genti da piedi. Aveva costui consigliato, quando tra' capi imperiali si consultò come osteggiare si dovesse il nemico, di tener la campagna, viltà di animo reputando un sì fiorito esercito e tanto valenti capitani che se ne stessero dentro chiusi innanzi al nemico. Ma il contrario parere del vicerè don Ugo, dell'Orange, di Ferrante Gonzaga, dell' Alarcone e degli altri capi Cesarei prevalse. Però il marchese del Vasto stava di mala voglia.

Ferrante Sanseverino, ben giovinetto, principe di Salerno, aveva avuto affidato il carico della sopragguardia della notte (1). Costui non per anco pratico

(1) Ferrante Sanseverino, quarto principe di Salerno, nacque di Roberto e di Maria d'Aragona, figliuola di don Alfonso duca di Vall'Ermosa e nipote di Ferdinando il Cattolico, il giorno 18 di gennaio del 1507. Nel tempo dunque dell'assedio aveva 20 anni.

delle gare civili e degli umori de'suoi maggiori, stette quella volta fedele a Cesare contro Francia, il che parve, com'era, strano caso in un Sanseverino, essendo stati i suoi sempre devoti al nome francese. Un Luigi Icarto era capo colonnello de 'Tedeschi, ed era altresì castellano di Castel nuovo, dove s' eran riparati e rifuggiti la principessa di Sulmona vedova del vicerè La Noia co' suoi figliuoli, e molti signori e signore, e 'l magnifico Girolamo Pellegrino, cittadino, come il Summonte il nomina, di gran governo e di gran valore, eletto del popolo.

In que'giorni l'Orange, supremo duce dell'esercito, nel provvedere alla difesa della città guastò e disfece una villa a Mergellina, grata stanza alle Muse innocenti, perchè del Sannazzaro nostro, dotto seguace e felice imitatore di Virgilio nelle bucoliche fantasie. Di che se si dolesse il poeta non è da domandare. Andossene pieno di mal talento in Roma; e tanto di poi bastogli la vita che seppe, prima di morire, il caso dell'Orange, ucciso nella guerra di Firenze. Della qual novella, come di lieto evento, esilarò tutto, da poeta sclamando: Marte alfine aver vendicate le Muse.

Fortificarono S. Ermo e S. Martino, affinchè queste alture non servissero di cavaliere contro alla città: parte delle genti fu trincerata con molti cannoni, alzati alquanti rivellini e terrapieni, verso Antignano, essendo da quel lato men difficile la salita. Fecero gran provvisione di strame e di vettovaglia, saccheggiate le ville e le terre d'intorno, acciocchè

il nemico vi trovasse bene rinettata ogni cosa. Obbligarono con severissimi ordini e minacce di gastighi i padroni di buoi e d'altri animali a menarli dentro Napoli. Non sentivi altro per la città che bandi, ordini, con un cigolio di carri e uno stridor di ruote che occupava gli animi di spavento e terrore (1). Oltre a ciò il vicerè si diè a scriver soldati molti del popolo napoletano, ma poi fu ammonito a non fare: badasse a quello che stava per commettere. Volere che il popolo, tanti de' suoi armati vedendo, cominciasse a sentir la sua forza? Nol dissero a sordo. Il vicerè, scaltrito da queste voci, dal più scriver soldati del popolo si ritenne. Molti baroni s'erano già volti a devozione di Francia: quasi tutte le città della Campania a Lotrecco obbedivano, eccetto Ischia e Gaeta. Circondava Napoli per terra d'ogn'intorno. I Veneziani, tratti sempre dalla speranza di tornar ad avere quelle terre di Puglia, s'erano uniti a' Francesi a danno di Cesare. Che sarebbe, pensava il vicerè, se la flotta veneziana con quella del Doria, che militava allora agli stipendi di Francia, si congiungesse? Intercetta la via sinora sola rimasa libera del mare, le cose della città portavano manifesto pericolo. Un sì fiorito esercito e tanti pro' capitani, uomini a que'tempi assai reputati nell'armi, sarebbero stati costretti a cedere dalla città: dopo che Cesare l'aveva alla loro fede commessa? Che direbbe di lor Cesare? che direbbe il mondo? Perderebbero il nome con tanti sudori e stenti, e a prezzo del loro sangue (1) Storia del Santoro a car. 36.

stesso acquistato? Questi e altri pensieri molesti travagliavano il vicerè. Però gli parve dover tentare la fortuna dell'arme sul mare, approfittando della favorevole congiuntura che Andrea Doria, il quale, come si disse, militava allora agli stipendi della Francia, già poco soddisfatto del Cristianissimo, lasciate otto galee a Filippino suo nipote, ingi ungendogli, tenendo il mare, di non far entrar vet tovaglie nella città, con altre quattro se n'era andato nel porto di Genova. E Filippino trovavasi nelle acque di Salerno. Nel porto di Napoli erano appena sei galee e pochi altri legni minori. Dopo un lungo disuso dall'esercitarsi e dal provvedere t ra noi alle cose della marineria, si potea fare ben poco assegnamento su queste forze; ma pure il maggiore assegnam ento facevasi non nel numero, nè nella qualità de'legni, sì bene nella virtù de' combatte nti; stante il modo di guerreggiare di quel tempo, che le navi venivano subito a combattere molto da presso. All estite in fretta e in furia le navi, v'entrarono mille archibusieri, dei quali 800 Spagnuoli e 200 Alemanni; l'eletta di tutto l'esercito. Don Ugo stesso, e quasi tutti i capitani ed uomini di autorità vi salirono, quasi non a dubbio cimento andassero, ma a certa vittoria. Per ispaurire il nemico col numero delle navi, armarono, con singolar consiglio, molte barche di pescatori di Posilipo, le quali insieme alle galee uscirono in alto. Era il primo di giugno del 1528. Giunti al far del giorno innanzi a Capri isola, eccoti sbucar fuori di sua grotta un romito, Consalvo Barretta, il

quale stato altre volte soldato, ora s'era cinto il fianco di ruvida lana e datosi a vita di solitudine. Costui, veduto le navi, si pose a gridare con quanto più ne avea nella gola. Parve al vicerè che fosse mestieri di fermarsi ad intendere che volesse dire. Concionava nel suo nativo linguaggio, maravigliosamente accendendo l'animo de' suoi compatrioti, promettendo loro per visioni avute certa vittoria. Menassero bene le mani, dessero addosso a' nemici, Italia e il regno liberassero dalla peste francese: ei pregherebbe I soldati spagnuoli, popolo immaginoso, accoglievano festivi l'augurio; con lunghe grida svegliavano l'eco addormentato delle spelonche. Queste particolarità storiche e nel tempo stesso poetiche, farebbero stupire, se si trovassero descritte innanzi alla battaglia d'Abuchire o di Trafalgara, non, fatta ragione de'tempi, innanzi al navale conflitto di capo d'Orso.

Nella costa tra Salerno ed Amalfi è uno scoglio sporgente in mare, il quale o perchè con la forma rende quasi simiglianza della schiena d'un orso, o perchè vôto e concavo di dentro, l'acqua di sotto entrando dà suono presso che del ruggito di quell'animale, quali di queste due sia la vera ragione, un tal nome dà al luogo. Quivi le due nemiche flotte scontraronsi.

L'indugiar del Moncada con le navi dinanzi Capri diè tempo a Filippino di meglio apparecchiarsi a battaglia. All'apparire di tante vele non si disanimò, e non penò molto a comprendere in che stima dovesse

« PreviousContinue »