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tardò a mostrarsi non che giusto severo, e forse non tanto severo quanto violento, giacchè queste furono più tosto atrocità che giustizie; di che parte è da incolpare i tempi, che correvano allor ferocissimi, parte l'uomo, il quale anche il bene il faceva arbitrariamente e di suo capo.

Rifrenati gli animi col terrore di presti gastighi, diessi il vicerè a quelle opere egregie di civiltà e di pace, che ancora mantengono in bell'onore il nome di lui appo i posteri, e che io mi risolvo di qui unitamente riferire, quantunque in condurle a termine parecchi anni vi consumasse, a solo fine di non interrompere con siffatti ricordi il racconto delle altre sue geste.

Nel suo governo per le strade di Napoli furon tolte via le selci antiche, e poste in loro luogo lastre grandi di pietra, a forma di mattoni, come anche oggi si usa di lastricarle. Abbellì, oltre a ciò, la città con levar d'in su le botteghe le tettoie, da noi napoletani dette pennate. Tolse via anche archi e portici, che di quando in quando nelle anguste vie della città s'incontravano. Allargò gli antichi cerchi della mura, demoli alcune antiche porte di Napoli; con i quali tutti sapientissimi provvedimenti l'aria vi circolò più libera con non poco vantaggio e comodo de' cittadini. Ampliò la grotta che da Napoli mena a Pozzuolo, che divenne il suo favorito soggiorno. A Giovanni da Nola commise una vaga fontana nella contrada di Napoli, detta la Selleria; e quel valente scultoré vi condusse una statua d'Atlante con in su gli omeri il

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mondo. Diè principio alla strada bellissima che da lui Toledo si nomina. Riunì i tribunali tutti in castel capuano, dove oggi sono, che prima erano posti in varî luoghi della città, e vi aggiunse altresì nuove carceri, ordinate secondo le idee del suo tempo. Una opera simile vedemmo a' nostri giorni compirsi da Luigi de Medici, il quale riunì le segreterie dello stato nella casa degli uffici che si nomina di S. Giacomo per l'annessa chiesa, la quale, per singolar ravvicinamento di nomi e di cose, fu fatta già edificare dal Toledo, una con l'ospedale, dedicandola all'apostolo, protettor delle Spagne, e dove nel coro in un nobil sepolcro di marmo, intagliato a figure tonde e di basso ed alto rilievo, formatogli in vita da Giovan da Nola, scolpito in effigie, egli inginocchioni, oggi ancora si vede. Così la storia altro non è spesso che il ricorso degli stessi eventi: felice solo, quando non è costretta a ripetere gli stessi grandi errori commessi e le stesse sventure!

Distese il beneficio del migliorato aere dalla città alla campagna. Era nel tempo di state Napoli oppressa da gravi infermità, cagionate dalla corruzione dell'aria delle circostanti paludi, la qual corruzione infestava bnona parte eziandio di terra di Lavoro, non più meritevole di chiamarsi, come dagli antichi, campagna felice. A questo il vicerè ottimamente prov-vide, facendo cavare pel mezzo del paese un gran canale profondo, arginato alle rive, che i terrazzani dissero Lagno, nel quale le acque per molte vene, a guisa di fiumana correndo, le paludi per tal modo

seccarono: fece arare e coltivare quelle terre, assegnò cespiti a fine che mai non si pretermettesse di lavorarle. Nè le sue cure a sole cose di pace furon contente. Il castello di S. Erasmo, a cui aggiunse nuove fortificazioni esteriori, e le torri, di che recinse a difesa il regno, mostrano che in tutto versasse con solerzia instancabile. Riguardo poi alle cose di giustizia, di governo e d'alta economia, furono per lui arroti due giudici a' quattro che prima sedevano in Vicaria per la più pronta spedizione delle liti. Fe' triennali i parlamenti, e introdusse appo noi i donativi ordinarî pe'bisogni della corona. Cominciato il donativo ordinario di ducati 50 mila, scrive il Summonte, con l'andar del tempo nel suo vivente molto s'accrebbe. A fine che la città non patisse difetto di vettovaglia diè provvedimenti, quali i tempi portanon certo lodevoli, come quelli che in gran parte inceppavano la libertà del commercio. Basta, a suo potere, anche in questo attese a così importante bisogna. A lui si dee l'uso sacro che ancora si vede durare, che, quando esce di chiesa agl' infermi l'Eucaristia, vada con pallio accompagnata, e con accesi torchi e con pompa solenne. Il vicerè, ogni qual volta per la città l' incontrava, era il primo ad accompagnarla a piedi, egli e la corte, insino al luogo dove aveva ad andare. Quest'uso è sì radicato fra noi, che nel 1837 quando il colèra asiatico facea strage e infieriva, gli uffiziali posti sopra alle cose allora tanto infauste del comune, avvertiti che il suono dei campanelli, con cui ha in costume di procedere la BALDACCHINI Storia napoletana.

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sacra pompa, divenuto pel morbo troppo frequente, addoppiava il male con lo spavento, cercarono, ma invano quella usanza abolire; perciocchè, quantunque lo stesso nunzio ciò consigliasse di fare, il clero di Napoli gagliardamente vi si oppose e resistè, invocando appunto la prammatica vicereale.

Lo avere di edifici pubblici abbellita la città operò che i successori di lui vollero alla lor volta imitare il suo esempio e adornarla, commettendo e raccomandando il loro nome a qualche pubblico monumento. Fra gli edificî pubblici, lasciati dal Toledo, non è da tacere il palagio vecchio, così poi detto per rispetto al nuovo, quel palagio vecchio che non ha guari vedemmo sotto a'nostri occhi demolito e distrut to. Napoli, ordinaria sede de' tribunali e de'più conspicui baroni del regno, d'allora sì popolosa divenne. Vero è che a ciò conferirono ancora le incursioni de'corsari turchi, onde gli abitanti delle terre e delle marine in Napoli convenendo, quasi in città più secura d'asilo, di tanto ne accrebbero la popolazione: incerto, se bene o male al regno, alla città gran vanto, ch'è però collocata tra le principali di Europa allato a Parigi, Londra e Costantinopoli (1).

Ma dalle cose interne della città facendo passaggio alle esteriori del regno, dico che il potere delle reggenze barbaresche non era a quel tempo, come oggi, per singolare beneficio del secolo in cui viviamo, depresso; incuteva anzi terrore, massime negli

(1) Giannone Stor. civ. lib. XXXII. cap. III.

animi di tutti i potentati italiani. Onde Carlo V, come re di Napoli e di Sicilia, aveva giustamente a temere per questi suoi dominî d' Italia, e a fare ad essi barbareschi sperimentare quanto ei sapesse far valere con le armi le sue ragioni. Ma queste generali considerazioni non furono nondimeno le sole che mossero Carlo V alla impresa di Tunisi: altre particolari ve ne furono che sarà pregio dell'opera venir divisando.

Ariadeno Barbarossa, famoso corsaro, in luglio del 1534 uscito dal porto di Costantinopoli con numerosa armata di grosse navi, costeggiate prima le marine di Fondi, e cagionato gravi danni in quella città, come in altri luoghi di Calabria, se n'era poi, d'ordine del gran Turco, di cui era ammiraglio, venuto a Tunisi a togliere Muleasse di seggio. Il qual Muleasse avea tolto il trono a Moliresetto, legittimo re. Barbarossa, con solo spargere che veniva con Moliresetto per ricollocarlo sul trono, ebbe senza contrasto la terra: tanto era l'amore de Tunisini al loro signore! Pure del vedere il loro re fu nulla, essendo rimaso ritenuto prigione in Costantinopoli: di che quelli restarono molto sconfortati e dolenti. Erano caduti dalla padella nella brace, come si dice; nelle mani di peggior usurpatore tiranno, nelle mani di Barbarossa. Muleasse, a tempo scappato via, se ne venne a Carlo in Europa ad offerire che volontieri si sarebbe dichiarato tributario di lui, ove lo avesse del suo potente braccio aiutato a risalire sul trono. Ciò bastò perchè l'impresa d'Africa fosse ri

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