Page images
PDF
EPUB

LIBRO TERZO

ARGOMENTO.

Invasione tentata dagli Ottomani nel regno. Il vicerè proibisce le accademie letterarie in Napoli. Gli animi dalle letterarie si rivolgono a più gravi e pericolose disputazioni. laquisizione di Spagna. Ragioni che assistono i Napoletani per non riceverla. Ragioni o pretesti degli Spagauoli per volerla introdurre appo noi. Pratiche del vicerè Toledo per ottenere bolla da Roma che stabilisca in Napoli l'Inquisizione.

Finora materia de'passati libri furono lo scontro e il combattersi di passioni ed interessi diversi, quando di principi contrastantisi il più bel trono d'Italia, quando di popolo e nobili lungamente, quasi fossero due nemiche nazioni, divisi tra loro. Materia a' seguenti libri anche più importante darà la lotta di due idee; l'una terribile e sanguinosa, nata dalla mente degli Spagnuoli, e l'altra moderata ed umana, degna del senno antico degl' Italiani. Non mai più chiaramente si vide quanto differisse l'indole de'due popoli: de'governati e de'governanti, de'dominati e de'dominatori. I quali, ancor che movessero dagli stessi inconcussi principî di fede, non giungevano alle conseguenze medesime: soggetto di gravi considerazioni al filosofo, e di cui nelle nostre storie il pari potrà forse rinvenirsi, il maggiore non mai.

Ma avanti ch'io mi faccia a narrare partitamente

tali casi che si riferiscono tutti alla interna storia del popolo, è necessario ch'io torni alla per breve tempo interrotta storia degli avvenimenti esteriori. In ordine a' quali credo, risovverrassi chi legge, che prima illustre vittima dell' iraconda giustizia del vicerè cadde, colpito da ignominiosa morte, il commendator Pignatelli. Or questo fatto poco mancò che non arrecasse al regno un' estrema ruina. Imperciocchè Troilo, fratello di lui, per vendicarsi dell' onta dal vicerè al suo nome recata, andossene in Costantinopoli, dove, unito ad altri profughi napoletani, persuase Solimano all' impresa del regno, dipingendogliela, com'è costume sempre degli esuli, facilissima. Cesare in altra guerra distratto, non potere al soccorso voltarsi: però non si lasciasse il Turco sfuggir di mano sì bella occasione. Non potere stare il gran momento sull'ale: bisognare presto afferrarlo. Solimano, già acceso del desiderio di questa impresa, più infiammato alle loro parole, fe'porre in punto un esercito di 20 mila soldati: partì da Costantinopoli, giunse alla Valona il dì 13 di luglio del 1537. Dugento navi attendevano ad imbarcar quella forza: ammiraglio al solito Barbarossa. Non mai più fiero nembo avea minacciato Napoli, l'Italia, la cristianità. Ma don Pietro non aveva perduto d'occhio gli espatriati, ne aveva anzi proseguite le pratiche ed i maneggi. Scipione di Somma, governatore, o, come allora più ambiziosamente dicevano, vicerè di Terra d'Otranto, lo teneva ragguagliato ottimamente di tutto: sì che non potè il Turco, come sperava, coglierlo alla

sprovvista. Quando non era più da dubitar del pericolo, scrive il vicerè all'imperatore, mostrandoglielo, com' era, immenso e imminente. Per Dio gli mandi buon nerbo di fanti spagnuoli (i quali avevano nome in quel tempo d'ottima fanteria, non inferiore nè pure agli Svizzeri), da poi che di munizioni e di vettovaglie aveva egli a tutto già provveduto. Comandò agli uomini d'arme, si raccogliessero tutti, sotto la propria insegna ciascuno: la posta a'piani di Puglia, donde accorrere dove si scovrisse maggiore il bisogno. Egli intanto se ne va a Melfi. Non esita punto di prima armare in Napoli i cittadini: acciò da sè stessi proveggano alla salvezza della loro città. Nobili e popolari a gareggiar di zelo: era un agitarsi, un ardore incredibile. Già 24 navi, aventi sopra il desiderato aiuto di Spagna, arrivavano in Napoli: poi 25 galee e due galeoni, comandati da Andrea Doria. Papa Paolo III, manda anch' egli sue galee, ed attende a radunar gente per farle calar nella Puglia.

L'armata, sopr'alla quale andò D. Garzia, figliuolo del vicerè, imbarcato, parte per alla volta di Messina; poi veleggiando, s'imbatte nell' armata turchesca, e la pone in iscompiglio. D'altra banda Lussibeo bassà, arrivato a Castro improvviso, metteva a ruba e a fuoco ogni cosa, per così indurre spavento ne'paesi vicini prese le donne e i giovani; il resto degli abitanti, e fu crudeltà ottomana cotesta, peso inutile della terra, fatto morire. Poi, assalito Ugento, lo diè alle fiamme una co'paesetti d'intorno. Barbarossa intanto con 70 galee era a pprodato in Otranto, e

sbarcato fanti e cavalli. Scipione di Somma con le sue genti, benchè impari in forze, pure avea fatto buon viso al nemico, e scaramucciato alla meglio. Il che saputosi dal vicerè, si spicca da Melfi con l'esercito ingrossato da' fanti spagnuoli, arrivati novellamente in Napoli. Insino a Taranto egli si spinge, per essere di colà più presto a ributtare il nemico. Ma egli non era scritto ne'fati l' am bito acquisto del regno per gli Ottomani. Solimano aveva trovate bugiarde le impromesse degli esuli: le riviere del regno, contro alla sua aspettativa, guarnite un esercito di Spagnuoli che lo aspettava, in sull'avviso il vicerè, vigile il sommo gerarca che genti ed armi adunava alla salvezza comune. Meno che nel tempo dell'altra invasione turca, 157 anni innanzi, regnando Ferrante I d'Aragona, durò questa volta lo spavento nell'animo degl'Italiani. La nuova, che nello scontro delle due flotte, molte delle galee turche erano state dal Doria malmenate e disfatte, turbò stranamente il gran turco. Rinunziò al disegno d' invadere il regno diè comando alle sue genti, di Puglia sgombrassero; ma perchè non s'avesse a dire che mostrava pusillanimità, andò, regio compenso, a sfogarsene sopra Corfù.

L'esercito da parte nostra si sciolse: ringraziati i baroni, e dato a ciascuno di loro di tornarsene alle proprie terre e castella ciascuno. Ma non che provveduto non fosse a' pericoli dell' avvenire. Il vicerè fece fabbricare il castello di Reggio: cinse di baluardi e di mura la città di Cotrone, secondo i modi di difesa d'allora, più possibile che ora non è, per es

« PreviousContinue »