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a che si faceva da essi ascendere la spesa sostenuta in galee ed in gente per aiutar il re in quella guerra. La quale per que' dì buona quantità di danaro, fosse necessità di tempi, fosse grettezza d'animo aragonese, non essendosi mai potuta pagare, i Veneziani ritenevano ancora per sè quelle terre, con grave sconcio e disdoro della monarchia, ridotta a tollerare che quelle tutte belle marittime contrade, tanta parte di dominio, fosse tuttavia in mano di quegli orgogliosi repubblicani. E si temeva di peggio ancora, come si raccoglie dalle istruzioni del re, lasciate al vicerè partendo, delle quali poco avanti è fatta parola. Se non che nell' anno 1509 correvano per Venezia giorni d'estremo pericolo, essendosele volti contro tutt'i maggiori potentati d'Europa, fra' quali non è a domandare se v'entrasse Spagna, per amore appunto di ricuperare quelle terre di Puglia. In così fiere angustie, provvedendo alla salvezza della sede propria della repubblica ch' era minacciata, con molta più fretta i Veneziani cessero dalle lontane terre di Puglia di quel che il vicerè facesse opera per insignorirsene. Pure, comunque la cosa andasse, restò al conte di Ripacorsa la gloria di avere nel suo governo ricuperate quelle smembrate terre alla monarchia.

L'anno 1510, trovandosi vicerè di Napoli don Raimondo di Cardona, conte d'Albeto, corsa per la città la prima voce che si trattasse d'introdurre in Napoli il tribunale della Inquisizione a modo di Spagna, il popolo si leva a rumore; ma interpostisi alcuni gen

tili uomini riescono a calmare il moto, e a persuadere a'cittadini d'attendere che un Filomarino, mandato a questo effetto a corte, espedisca il negozio, ad affrettar la conclusione del quale promettono avrebbero scritto al re nuove lettere. Il dì 22 di novembre di quello stesso anno fu pubblicato bando e mandamento (adopero il linguaggio di quel tempo) da parte dell' illustrissimo signor vicerè e luogotenente generale, nel quale il re assicurava a' Napoletani, che avendo conosciuto (proprio queste furono le regie espressioni) l'antica osservanza e devozione della fedelissima città di Napoli e di tutto il regno verso la santa fede cattolica, non si sarebbe mai più trattato d'introdurvi la Inquisizione. Cinque nobili scelti, uno per ogni sedile, e vari de'maggiorenti della città furono dal vicerè invitati che venissero in Castel nuovo, a fine con gli occhi propri si certificassero leggendo la carta di credenza, venuta dal re a questo effetto. Giovanni Carlo Tramontano, stato già eletto del popolo, fatto conte di Matera al tempo di re Federico d'Aragona, personaggio di gran credito ed autorità, nello uscire di Castello, dov'era stato ammesso insieme con gli altri: Buona nuova, gridò al popolo che d'ogni intorno gli si affollava, buona nuova, figliuoli. Sua Maestà ha tolto la Inquisizione. Di che, secondo notar Giacomo scrive, la sera vi furono allegrezze e luminarie in più luoghi della città (1).

(1) Cronica di notar Giacomo, recentemente pubblicata, all'anno 1510.-Intorno a Giovan Carlo Tramontano, personaggio importante della nostra storia, ho raccolte le autorità in fine del volume nell'appendice, lettera A.

Ma essendo venuto a morte Ferdinando il Cattolico il dì 23 di gennaio 1516, Carlo il nipote, arciduca d'Austria, nato in Gante il 24 di febbraio del 1500, onde poi alcuni Carlo di Gante il dissero senza più per disprezzo, il quale in Bruselle allora dimorava, ad onta che vivesse ancora sua madre, erede fra gli altri stati anche di Napoli, pur tuttavolta, come solo principe sovrano, scrisse una molto affettuosa lettera alla nostra città. Notificavale in quella l'avvenimento, che sgombravagli la via del trono. Riconfermava don Raimondo di Cardona, già vicerè per l'avolo; comandava, se gli seguitasse a prestare obbedienza. E di vero aveva ragione di mostrarglisi grato. Imperciocchè il vicerè, temendo non le parti angioine si mantenessero ancora vive nel regno, e non alla novella della morte del re fosse per nascere qualche tumulto, quella tenne alcuni giorni celata; e intanto a tutt' uomo si adoperò a scoprire gli animi e le disposizioni del popolo, assicurandosi prima de'più potenti baroni e degli eletti di città. Non furono senza frutto i maneggi dell'accorto ministro. I sedili di Porto, Portanova e Capuana avevano messo su qualche difficultà. Richiedevano, si vedesse per bene il testamento di Ferdinando e s' esaminasse, perciocchè poteva stare, dicevano, che il re tocco da'rimorsi (come pur ne aveva dati manifesti segni prima di morire) d' avere spogliato del regno quelli del proprio casato (1), si avesse chiamato al

(1) Spoglio del regno senza palliativi è detto nelle carte pubbliche del tempo l'insignorirsi che Ferdinando il Cattolico fece

trono di Napoli il duca di Calabria, figliuolo di Federico, ch'era allora rinchiuso in una rocca in Ispagna. Ma di queste restituzioni in integro in articolo di morte, rare tra'privati, non ce ne ha, credo, esempio tra' principi. Onde, cavato fuori dal vicerè il testamento proprio di Ferdinando, e visto che di tal supposto era nulla, que' buoni nobili si lasciarono persuadere insieme con gli altri, piegando il capo al fato d'Italia che si adempiva. Fu gridata a un tempo Giovanna regina di Napoli e Carlo suo successore (1). Le solenni esequie del morto re si celebrarono in S. Domenico Maggiore, dove convennero e baroni e nobili ed eletti della città, e tutti i regii uffiziali. Ma la piazza o sedile del popolo che s'abbia a dire, ricordevole de'privilegi da quel monarca concessile di che innanzi si è discorso, volle mostrare al mondo in singolar modo la sua gratitudine. Gli fe' celebrare con dimostrazione molto significatrice i funerali nella chiesa di S. Agostino. E non contenti a ciò statuivano in memoria di tanto benefattore, ogni anno a 23 di gennaio se gli celebrasse l'anniversario. La quale pietosa usanza durava ancora a’tempi di Pietro Giannone, come l'illustre storico ci assicura. Così seguitando il destino delle Spagne e di tutti i dominii, onde si componeva sì vasta monarchia, il

del regno in danno de' suoi congiunti. Non s' erano ancora invenlate certe belle frasi moderne: si diceva la cosa com'era.

(1) Insino che colei, la madre, visse, scriveva Carlo nelle regali provvisioni ciascuna volta: Joanna regina mater, et idem Carolus ejus filius primogenitus reges-Vita di don Pietro di Toledo di Filonico Alicarnasseo, nel proemio.

regno di Napoli passò negli Austriaci, discendenti di casa d'Asburgo. Ogni più lontana speranza di poter tornare a formare stato di regno indipendente per allora fu spenta. Ben se ne avvidero quei buoni nobili, i quali mostravano almeno il lor desiderio. Carlo d'Austria regnava; e quando dico Carlo, intendo Carlo V futuro, sul cui capo accumular si dovevano tante corone che mai, da Carlo Magno in qua, la cristianità non vide maggior principe insino ai giorni di Napoleone. Carlo regnava, che si mostrò ben presto in Spagna, come poi in Alemagna, avverso alle nazionali franchigie.

Andavano ad inchinarlo in Fiandra il 5 di maggio del 1517, partendo da Napoli, ambasciatori della città e del regno Cicco Loffredo, dottor di legge, pel sedile di Capuano, Paolo Brancaccio per quel di Nido, Galeazzo Cicinelli per quel di Montagna, Baldassarre Pappacoda, anch'esso dottor di legge, per quel di Porto, Andrea Gattola per quel di Portanova, e Messer Cola Francesco Folliero per il popolo. Prestarono omaggio al giovinetto re, ma non tornarono con la confermagione de privilegi (1).

Due anni dopo l'andata di questi ambasciatori in Fiandra, furono in Napolile feste grandi. Trattavasi di festeggiare per causa della corona imperiale ottenuta da Carlo, il dì 28 di giugno del 1519, in pre

(1) Parrini, Teatro de'vicerè, al vicerè don Raimondo di Cardona, dove scrive Livio in luogo di Cicco Loffredo, se pur non è errore di stampa. Nel Passero è scritto Cicco e Cecco, personaggio noto nella nostra storia, come appresso si dirà a suo luogo.

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