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se duro che il principe tentasse una tal novità, la quale non aveva fra noi dove appoggiarsi, mancando allora apparentemente in Napoli sin l'ombra dell' eresia. Nondimeno il sospetto nel reggimento del vicerè Consalvo sempre più accrescendosi, seguirono le cose state da me narrate nel primo di questi libri. Se non che in quello della parte solo esterna dell'avvenimento trattai, differendo a questo la storia delle idee, o per meglio dire, la vera storia; il che con l'animo venne da me operato di non interrompere la serie continuata degli eventi con la trattazione di si spinosa materia. Ora dunque seguitando dico, che i Napoletani di quel tempo erano fermi nel credere che gli errori, non gli uomini si avessero da distruggere, e che nel distrugger gli errori si dovesse stare alle norme prescritte da' canoni, come faccenda tutta degli Ordinarî. Intollerande le denuncie, gli spogliamenti, le confiscagioni. Co`modi tenuti in Ispagna non s' esser mai certi, se l' innocente od il reo avesse a soccombere, e dove la mano invisibile dell'Inquisizione il reo aggiugnesse averne sempre a piangere le innocenti famiglie, spogliate e, per giunta, anche infamate. Volevano forse gli Spagnuoli insegnare a' Napoletani d' essere affezionati alla fede di Cristo ? Ma qual popolo meglio del nostro essere alla religione degli avi devoto? Solo quell'uso barbaro ed abbominato sotto sì mite cielo essere impossibile di trasportar e.

La Inquisizione, soggiungevano, in Ispagna rappresentare fedelmente la rabbia dell'antica razza gota

avverso alla razza moresca, contrastantisi entrambe la occupazione del suolo, sicchè alla prima conveniva l'altra distruggere per restare della terra interamente signora. Ma di questo in Napoli non esser pur l'orma. Quistione di razza essere la Inquisizione in Ispagna. Nè creda alcuno che grave errore di anacronismo io commetta, prestando agli uomini di quell'età le ragioni de' tempi miei. Imperciocchè questa instituzione male augurata, toccando al vivo le coscenze, trovava gli animi maravigliosamente disposti a ributtarla con tutte le armi della dialettica. Vagliami per prova il seguente brano di Camillo Porzio, scrittore nato dopo il 1527, come pone chi di lui più recentemente ne ha scritto la vita (1). «Fu questa rigorosa giustizia (chiama il Porzio giustizia la Inquisizione di Spagna) da'quei popoli ricevuta per ritrovarsi quelle regioni in quel tempo da'marrani uomini novellamente venuti alla nostra fede, e da'molti infedeli abitate, con ciò sia che ogni loro contrada di Mori e di Giudei abbondava: il più di costoro veggendo avere ad essere dal terreno natio scacciati e spogliati delle sostanze, o ingiuriosamente trattati, per ripararsi da tante miserie, più che mossi da volontà o da spirito buono chiamati, ricevevano l'acqua del battesimo, ma non già la grazia, onde tosto alla lor prima vita riducevansi, sì che conveniva d'essere nella Spagna un magistrato che ricercando sì fatti nemici di Dio, a guisa di eretici agramente li punis

(4) Memoria intorno alla vita e alle opere del Porzio d'Agostino Gervasi innanzi alla Stor. d'Ital. dell'anno MDXLVII.

se. Le quali ragioni nel reame di Napoli cessavano tutte ». Così egli.

Or ripigliando il racconto, io soggiungo che, non ostante questa ragionata avversione del popolo all'Inquisizione, la quale non si può credere che il vicerè non conoscesse, bisogna pur confessare, che le condizioni de' tempi nel costui governo erano assai mutate su questo particolare. La peste dell' eresia serpeva nascosta; ond'egli, secondo le idee del suo tempo, si credè in obbligo di far qualche cosa per estirparla, e d'uno in altro pensiero entrando, gli parve quello il momento favorevole di potere finalmente introdurre in Napoli l'Inquisizione, che era in fondo de'suoi desideri. Ma, come astutissimo, volle che la prima parola d'Inquisizione venisse da altra banda che da Spagna. Se giungeva ad ottenere una bolla da Roma, pensava egli, si sarebbero vinte di leggieri le durezze di prima. In somma volle egli lottare di finezza col popolo, ma il popolo non si lasciò da lui sopraffare. Comprese benissimo che una volta introdotta, la Inquisizione si sarebbe a modo di Spagna amministrata. Ma, prima di procedere oltre nel mio racconto, sono qui da descrivere que'fatti, i quali, a detta del vicerè, necessitavano l'estremo rimedio.

Nel tempo che l'imperatore stette in Napoli usava egli spesso a chiesa in S. Giovanni maggiore, e v'udiva le prediche di Bernardino Ochino da Siena, frate cappuccino, il quale attirava a sè gran gente, tuonando dal pergamo con ispirito e fervore grande,

al riferire d'un nostro ingenuo cronista. Parti l' imperatore, restò il frate a sermoneggiare. Parve che nelle sue prediche insinuasse semi di perversa luterana dottrina, ma accortamente in modo che solo i dotti se ne potessero addare. Di che avvertito il vicerè, destò l'attenzione degli ecclesiastici. Badassero bene, non in mezzo a'fiori dell'eloquenza, s'avesse a nascondere il verme dell'eresia, brutto e schifoso. Il vicario di Napoli, senza entrare in pericolosa disputa col frate, a sè chiamatolo, si comportò con prudenza: gli propose alcuni punti delicati di dottrina, sovra i quali aveva inteso dire che colui zoppicava, proibendoglî di più predicare, se prima non si spiegava nettamente sulle materie in proposito. Il frate non disanimato punto, tali soddisfacenti spiegazioni diè, che persuaso e convinto il vicario gli fece continuare le prediche quaresimali. Finite le quali, lasciò di sè tal desiderio nell'animo de'Napoletani, che lo vollero in ogni modo risentir di bel nuovo. Tornò il dubio frate, e predicò nel duomo stesso di Napoli. Fosse o non fosse intinto della mala pece la prima volta, non voglio entrare, ma certa cosa ella è che questa seconda volta, tante ne disse intorno al modo d' interpetrare le sante scritture, intorno alla giustificazione, alla fede e alle opere, intorno all'autorità pontificia e simiglianti spine teologiche, e tanto si abbindolò, che cacciò i suoi uditori in tal ginepraio, dal quale molti non credettero di poter altrimenti uscire, se non col mezzo del libero esame

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della personale ragione. senza più (1). Dirò cosa incredibile e vera, scrive il Castaldi. In quel tempo la licenza del parlare era giunta a tal segno che alcuni conciatoi di cuoio appresso al Mercato disputavano intorno alle epistole di S. Paolo, come dovessero essere interpetrate. Non erano consumati teologi che di ciò disputassero, ma miseri conciatoi di cuoio presso al Mercato! Peggio, che poi si seppe che l'Ochino, andatone a Ginevra, avea gettato la maschera e chiaritosi luterano, e per togliere ogni dubbio sul passato eziandio, scrivendo sue omelie in volgare, promulgava il mal frate, avere sino allora predicato Cristo disguisato, cioè velato la verità com' ei diceva, ora predicarla nuda, cioè tutt' essa intera la verità. E pure non fu l' Ochino il solo che fra noi turbasse il riposo delle coscienze: altri furono, e non meno di lui fattivi, come sarà pregio dell'opera venir rammentando. Tali furono un Giovanni Montalcino dell'ordine de'minori di S. Francesco, un Lorenzo Romano siciliano, apostata de' PP. Agostiniani, e, più di tutti famoso, un Pietro Martire Vermiglio, prete e canonico regolare fiorentino. Costui, al quale Fiorentino essendo, non moriva la lingua in bocca, andava con grande eloquenza e dottrina esponendo in S. Pietro ad Ara le epistole di S. Paolo, con tale un concorso di gente, che chi non fosse andato ad udirlo era chiamato cattivo cristiano. Aveva

(1) Lo spirito interno di ciascheduno (in Germania) si fa divina regola delle cose che si deon credere. Vico, lettera all'abate Esperti.

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