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mente un senso letterale, ma una storia, una novella, un racconto vero o verosimile o fantastico. Chi scrive un' allegoria, adopera la lettera come mezzo per velare la verità che vuol significare; e chi legge non dovrebbe acquietarsi in essa, che è pura apparenza. La verità, cioè quel che lo scrittore vuol veramente dire, assume forme non sue; e queste forme, in quanto sono aliene dalla sentenza che si vuol significare, sono nell' intenzione di chi scrive, e devono essere nel criterio di chi legge, finzione e menzogna. Il senso letterale è menzogna, in quanto mostra, non quel che si vuol dire, ma altra cosa; non mostra, ma nasconde il verace intendimento, la vera sentenza, la vera intenzione dell' autore. Chi si fermasse all' apparenza, considerando la lettera come per sè stante, sarebbe indotto in errore; giacchè non intenderebbe quel che lo scrittore volle pur dire, ma quel che lo scrittore, allo stringer dei conti, non disse (').

Nel luogo del Convivio, citato dal Trivulzio, Dante definisce il senso letterale e il senso allegorico' secondo che per li poeti è usato '. Disgraziatamente il passo è lacunoso; ma anche così com'è, mostra benissimo la sentenza del poeta, specialmente dall' esempio messo innanzi. Si legge

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(4) Giorn. stor. 2, 379 n Il Centofanti [ Sulla VN. di D. lez. ult. p. 9 s] giustamente osserva che tale interpretazione [ di coloro che nella donna di Dante trovano nel tempo stesso realtà e simbolo ], credendo di lasciar larga parte alla lettera, ne distrugge il valore. Infatti o si vuole che il senso apparente così s' introduca in quello recondito, che questo solo sia la verità che si cerca, o si vuole che l'uno non abbia una primitiva e radicale dipendenza dall' altro ». Nel primo caso la realtà non ha valore: essa si atteggia sempre al simbolo, che è il vero oggetto del libro. Nel secondo caso Dante e Beatrice si sarebbero amati sensibilmente e poi in seguito Dante avrebbe & tratto da questi amori naturali un valore scientifico, innalzandoli a grande spiritualità». Ma in questo caso che cosa sarebbe avvenuto della realtà?'

Il senso letterale è finzione mendace

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adunque nel Convivio (2, 1, 14): Dico che, siccome nel primo Capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare ad intendere si vuole sapere che le scritture si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole, ed è una verità ascosa sotto bella menzogna (1). Siccome quando dice Ovidio che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e gli arbori e le pietre a sè muovere che vuol dire, che 'l savio uomo collo strumento della sua voce fa mansuescere e umiliare li crudeli cuori; e fa muovere alla sua volontà coloro che [non] hanno vita di scienza e d' arte; e coloro che non hanno vita ragionevole sono quasi come pietre. E perchè questo

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(1) Gli Editori Milanesi (Trivulzio, Monti e Maggi: Milano 1826) restituivano così il passo malconcio: L'uno si chiama litterale, e questo è quello in cui le parole non escono del senso proprio rigoroso; il secondo si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole'. Il Todeschini poi (Scr. 2, 120), migliorò il conciero milanese così: 'L' uno si chiama litterale, e questo è quello che la scrittura ci offre secondo il suono e 'l valore delle parole, secondo il quale senso le favole do' poeti ci si rappresentano come avvenimenti realmente accaduti: lo secondo si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole'. E un altro conciero mise fuori il Giuliani: Lo primo si chiama letterale, e questo è quello che risulta dalle Favole o dalla Storia della lettera, nè si stende più che la lettera suona. Lo secondo si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole'. Il Fraticelli, nella seconda edizione del Convito, seguì la lezione del codice Riccardiano 1044: 'L'uno si chiama litterale, e questo è quello che non si distende più oltre che la lettera propia, siccome è la narrazione propia di quella cosa che tu tratti: che per certo e appropiato esempio è la terza canZone che tratta di Nobiltade. L'altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole'. Ma il Moore accoglie la lezione del codice Riccardiano; alla quale non fa

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buon viso neppure il Vandelli (vd. Bull. ns. 8, 160 n1).

nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo Trattato si mostrerà. Veramente li Teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma perocchè mia intenzione è qui lo modo delli poeti seguitare, prenderò il senso allegorico secondo che per li poeti è usato '(').

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(1) Segue il poeta, accennando a due luoghi biblici, come ad esempi appropriati ciascuno al senso ch' egli vuol dichiarare; a par. lar del senso morale e del senso anagogico. Nella lettera a Cangrande (Epist. 10, 7) si tocca, un po' sommariamente, di tutti i famosi quattro sensi, col solo e solito esempio del versetto della Bib bia, accennato nel Convivio pel solo senso anagogico, qui espressamente citato, In exitu Israel de Aegypto' (segue alla lettera que sto luogo dell' Epistola, senza però citarla, il Buti, 1, 14 s); o si aggiunge, che il senso morale e l' anagogico possono chiamarsi anch'essi allegorici, quum sint a literali sive historiali diversi ' ( cfr. Buti, 1, 39; e Filippo Villani [ Il Comento al primo canto dell' Inf.: ed. Cugnoni, Città di Castello 1896: Collez. di opusc. dant. N. 31–32: p. 26]; il Boccaccio [Il Commento di G. B. sopra la Commedia, Firenze 1863: 1, 154] traduce dall' Epistola, o da altra fonte comune, non solo il brano sui quattro sensi, come il Buti, ma anche quest' ul. tima osservazione). Non si escludo veramente nel Convivio, che dal senso letterale fittizio si possa cavare, oltre il senso allegorico, anche l' anagogico e il morale (cfr. Conv. 2, 1, 121); come non si dice neppure che dalla storia non si possa tirar fuori il senso allegorico ; ma insinua bene il poeta, che in questo caso non si ha l' allegoria dei poeti, ma l'allegoria dei teologi. Insomma, pel poeta il senso letterale è, in ogni caso, uno solo, quel che suona la lettera; la quale, intesa prima d'ogni altra cosa, si presta alla generazione degli altri tre sonsi. Degne tuttavia di molta considerazione sono le osservazioni di Francesco d' Ovidio ( Studii, 461 ss, 481 s). Cfr Bull. ns. 8, 160. Quanto all' autenticità dell' Epistola a Cangrande, non sappiamo veramente deciderci. Contro l'autenticità scese gagliardamente in campo il D' O. vidio (Riv. d' It. 15 sett. 1899; vd. ora Studii, 448, 474), e giudicò che Dante ben poteva scrivere a Cane, ma non da cane. A codesta sentenza interpose subito appello il Torraca (Riv. d' It. 15 die. 1899). Poichè dunque la cosa non è ancora passata in giudicato e la sen tenza non è esecutiva, contentiamoci di accennarvi con riserva ( vd. Bull. ns. 8, 137; 9, 77).

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Le confusioni dell' esegesi

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Nell' esempio citato di Ovidio, c'è un senso letterale e c'è un senso allegorico. Il senso letterale è finzione, è bella menzogna. Tuttavia, voleva forse con ciò il poeta negare la realtà oggettiva' delle fiere, degli alberi, delle pietre? Ma, siamo giusti, che c'entra la realtà oggettiva delle fiere e degli angeli col senso letterale? Quelle pietre, quegli alberi, quei cieli stanno forse li a significar sè stessi? Stanno a significare altra cosa. Dunque il senso letterale è finzione e il senso allegorico è verità.

sensi

3.

Sennonchè, l'esegesi biblica, volendo, e dovendo talvolta, trovar l'allegoria dove non c'era, turbò ed oscurò ogni genuino e ragionevole concetto di senso letterale e di senso allegorico. Gli odorati campi di mirto e d'alloro dell' allegoria, nel medio evo, come tante altre cose, inselvatichirono. Si chiamò allegoria un informe accozzo di similitudini, analogie, moralità; e non vi fu un'allegoria, ma tante allegorie quante frasi, quante parole; anzi, spesso una sola parola ebbe la capacità di dar ricetto a molti mistici o allegorici in una volta. La qual moltitudine d' intendimenti riposti, se ne stavano insieme bensi nello stesso racconto, ma ciascuno per conto suo. Lo Spirito Santo avea certamente appiattato allegorie dappertutto, e i sottili ed arguti mettevano piamente a soqquadro tutta la loro erudizione, affilavano tutto il loro acume, per scoprire, per cogliere, per sorprendere l'allegoria, che poteva starsene comodamente accoccolata anche dietro il povero paravento d'una semplice congiunzione della traduzione latina della Bibbia. Codesto preconcetto fu causa di febbrili investigazioni, che oggi sembrano deliri e ci fanno mestamente pensare; di fatiche immani, puerili e

sciocche, che ci fanno ridere: ma un tempo erano singolare acume e dottrina profonda.

Quella malattia dello spirito (stavo per dire dello Spirito Santo) dalla Sacra Scrittura si propagò alle profane scritture, e le attaccò facilmente. L'allegoria, come gramigna, invase ogni scritto e si abbarbicò ad ogni parola. E si cavarono allegorie, imitando l' esegesi biblica, anche Ida testi che eran considerati come scientifici. Chi coll' onesto proposito di moralizzare, volea volgere a senso allegorico una scrittura qualunque (leggenda, storia, favola, nozioni scientifiche), dall' esempio autorevole dell' esegesi biblica, si credeva licenziato a trovare, non l' allegoria coerente ed integra che non c'era, nè vi poteva essere, perchè il senso letterale era tutto; ma tante allegorie, ma un' allegoria spezzettata e incoerente. La sola cosa ragionevole era il senso letterale, nato prima, e non certamente coll' intenzione di sposarsi all' allegoria; la quale veniva a galvanizzare, dopo averle dilacerate, le povere membra della lettera; ma non a rivelare quell' anima occulta che non c'era. Si procedeva per similitudini e analogie, si moralizzava allegorizzando. Non sempre, come nei poeti, si poteva negare la sentenza espressa nella superficie della lettera; ma si voleva vedere a ogni modo, sotto la lettera, una verità più alta, d'ordine morale e mistico ('). Così vi

(1) Non è chi non conosca qualche pagina dell' esegesi biblica. Note le Moralisationes medievali (vd. Bartoli, St. 1, 83 ss); nè occorro certo ricordare le belle pagine del Comparetti ( Virgilio nel ME.: cito dall' ed. di Livorno, Vigo, 1872: 1, 138 ss 156 ss 169 262 ) ; efr. anche Perez, Beatrice, 35 ss, 47 ss; Graf, Roma, 1, 5; 2, 187 ss 305 ss. Traccia della confusione tra allegoria e moralità conservano gli antichi commenti alla Commedia. Il Buti dice espressamente (1, 39): Allegoricamente si dee intendere, o vero moralmente: imperò che tra moralità e allegoria non fo distinzione, seguendo li grammatici, che dicono che, quando la sentenzia è altro che le parole

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