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Amore in forma vera

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come un tutto di parole, e l'ultima parte di esse, è l'ultima parte del quarto sonetto. Se in quell' Amore in forma vera il poeta a. vesse voluto farci vedere una velata allusione a Beatrice, non si sarebbe probabilmente lasciata sfuggire l' opportunità di farne qualche cenno nella ragione o nella divisione. Forse non rispondeva agl' intendimenti del libello, codesto far piangere Beatrice sovra la morta imagine avvenente'; e forse il pianto di Beatrice voleva il poeta serbare per altro e ben più grave avvenimento. Certo, non è prudente, alle allusioni che volle vedere il poeta nelle sue rime, quando, con altro intendimento, le assunse ed innestò nel racconto della Vita nuova, aggiungere le allusioni che, non saprei se occupati o preoccupati, indotti o sedotti dal solito pregiudizio, vogliamo veder noi. quando ci accingiamo a dichiararle.

Ma se in nessun modo può vedersi allusione a Beatrice nel terzo sonetto, nel quarto bisogna bene scoprire dove mai il poeta volle che ci sia. Egli, volgendosi a parlare a indifinita persona', dice:

Chi non merta salute,

Non speri mai d'aver sua compagnia.

Non certo, come alcuni intesero, quel's u a' si può riferire a Bea trice; il poeta parla sempre della giovine donna morta, e il Carducci ha ragione da vendere (*). Neppure si può ammettere che il poeta si volgesse a Beatrice (che sarebbe l'indifinita persona ' ) per dirle, secondo il Todeschini: 'tu avesti talvolta la compagnia della giovane donna defunta: d'ora in poi non si speri d'averla mai se non chi si meriti la salute eterna: sarebbe affatto gratuita la prima parte di codesta chiosa, e la seconda parte avrebbe tutta l'aria d'un monito, che la gentilissima salute e reina d'ogni virtù non avea fatto niente per tirarsi addosso. Nè l' interpretazione che, dubitando, dà il D'Ancona mi pare migliore: 'solo quegli che merita salute, e certo Beatrice la merita, d'ora innanzi potrà sperare

(*) A codesta interpretazione del Fraticelli, del Torri e del Witte, il Renier (Giorn. stor. 2, 391 n) forni una nuova acconciatura; la quale tuttavia non mi pare che la renda più accettabile o meno strana: Nel due versi D. si rolge a parlare a indiffinita persona, quindi letteralmente sua compagnia si riferisce alla donna morta, come la grammatica vuole ma quanto all' intendimento di D. questa persona diffinita. Secondo dunque il riposto intendimento, questo mem. bro va staccato dal rimanente..., si deve far punto dopo conosciute e riferire sna alla beatrice. La indifinita persona' non è da vedere nel sua', ma nel 'chi', certamente; è la persona a cui il poeta volge il discorso.

d'aver in cielo la compagnia della defunta': non si terrebbe nel debito conto ciò che più importa rilevare, la circostanza della compagnia fatta quaggiù dalla giovine donna a Beatrice; e di Beatri ce, cioè della gentilissima salute, della donna della salute, di colei che dava appunto salute, si direbbe che meritava salute. A me sor riderebbe invece questa ipotesi: il verso

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Non speri mai d'aver sua compagnia,

si può intendere in due modi: -non isperi mai d'aver la compagnia di costei; cioè, non isperi d'andare in cielo, dov' ella si trova; non isperi di vederla più; ella è salita in cielo -: ovve‐ ro anche: non isperi d'aver mai la compagnia che si eb. be costei, la compagnia, cioè, di Beatrice; di colei che qual vuol gentil donna parere' deve avere compagna; di colei che ‘dona salute' a chi la merita; di colei che dà buona fine a chi 'le ha parlato' (vd. canz. Donne ch' avete, vv. 31 - 42). Insinuerebbe quindi il poeta nella prosa della Vita nuova, che i due tormentati versi si debbano intendere così: - L'indefinita persona e definita quanto al mio intendimento, sappia dunque che chi non merita salute, non avrà mai la compagnia che si ebbe una beata—. Sarebbe poi vano voler ricercare chi sia proprio la indifinita persona '; certo non è Beatrice: e sofistica sarebbe l'obbiezione che la defunta faceva compagnia a Beatrice, non già questa a quella.

Con tale, certo posticcia, sottigliezza, il poeta pigliava più piccioni ad una fava: diceva che Beatrice dava salute a chi ne era degno; diceva che la defunta aveva fatto compagnia alla gentilissima; insinuava che per ciò quella gentile donna era salita in cielo; senza contare che quel ritorcimento conferiva, non solo al sonetto, ma a tutto l'episodio il pregio pregiato dell'oscurità. Alla parola 'sua' probabilmente, penultima delle parole che il poeta in quella triste occasione disse, siamo dunque debitori di tutto l'episodio dell'amica di Beatrice; quel povero uncino dunque offrì al poeta il destro di poter sospendere i due funebri sonetti alle luttuose pareti della Vita nuova. Opportunità codesta, che, d' altra parte, non dovea certo sembrar di poco momento a chi volea che in quelle pagine di studiata oscurità, vi spirasse continuo il soffio della morte, vi aleggiasse frequente un sospiro al cielo. Notevole infatti, che, dopo il pianto d' Amore ed il versetto di Geremia, spunti melodici del preludio, in queste rime vibra già forte la corda del dolore, prima ancora della morte di Beatrice; e l'animo mesto e

La pretesa compagna di Beatrice

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sprime già con un gemito quell' aspirazione al cielo che il poeta pur vorrebbe espressa nel primo sonetto. Notevole che ai due sonetti dell' episodio della morte della compagna di Beatrice, par facciano eco i due sonetti dell'episodio della morte del padre di Beatrice; duplicità di carmi non concessa agli altri episodi, e ripetuta tre volte, quasi con ostentazione, nelle rime per la morte di Beatrice; prima una canzone e un sonetto, poi due stanze d'una canzone, e, nell' annovale, un sonetto con due cominciamenti.

Per conchiudere, il secondo e poco evidente significato dei due ultimi versi del quarto sonetto, sembra, ed è, posticcio e stiracchiato; comunque, nè dal terzo nè dal quarto sonetto possiamo desumere con certezza un indizio qualunque che valga a darci qualche prova della veridicità della storia dell'amor del poeta.

Quinto sonetto. Cavalcando l'altr'ier per un cammino (VN. 9). Vi è descritta una visione simbolica che il poeta dice di aver avuta non solo ad occhi aperti, ma cavalcando. Amore, 'in abito leg. ger di peregrino', portando il cuore del poeta, gli viene, 'di lontana parte', incontro, e gli dice ch'ei reca quel cuore ‘a servir novo piacere'.

Cavalcando l'altr' ier per un cammino,
Pensoso de l'andar, che mi sgradía,

Trovai Amore in mezzo de la via,

In abito legger di peregrino.

Ne la sembianza mi parea meschino,

Come avesse perduta signorla;

E sospirando pensoso venía,

Per non veder la gente, a capo chino.

Quando mi vide, mi chiamò per nome,

E disse: Io vegno di lontana parte,

Ov'era lo tuo cor per mio volere;

E recolo a servir novo piacere.

Allora presi di lui sì gran parte.

Ch' elli disparve, e non m'accorsi come.

Di codesta immaginazione, come se si trattasse d'un fatto reale ed

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obbiettivo, il poeta nella ragione determina meglio i particolari ac cennati nel sonetto (per es. la cagione della sua tristezza, la provenienza d' Amore), ed altri ne aggiunge (per es. i 'vili drappi', il fiume bello e corrente e chiarissimo'); mirando evidentemente, non solo ad innestare il sonetto nella narrazione della Vita nuova, ma a completare il simbolo. Appresso la morte di questa donna, egli scrive, alquanti díe, avvenne cosa, per la quale mi convenne partire de la sopradetta cittade, ed ire verso quelle parti, dov' era la gentile donna ch'era stata mia difesa, avvegna che non tanto fosse lontano il termine del mio andare, quanto ell' era. Tutto ch'io fossi a la compagnia di molti quanto a la vista, l'andare mi dispiacea sì, che quasi li sospiri non poteano disfogare l'angoscia, che il cuor sentía, però ch' io mi dilungava da la mia beatitudine. E però lo dolcissimo signore, il qual mi segnoreggiava per la virtù de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito, e di vil drappi. Elli mi parea sbigottito, e guardava la terra, salvo che talora li suoi occhi mi parea che si volgessero ad un fiume bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen gía lungo questo cammino là ov' io era (*). A me par ve che Amore mi chiamasse, e dicessemi queste parole: < Io vengo da quella donna, la quale è stata tua lunga difesa, e so che 'l suo rivenire non sarà a gran tempi; e però quello cuore, ch'io ti facea avere a lei, io l'ho meco e portolo a donna, la qual sarà tua difensione, come questa era (e nominollami per nome sì ch'io la conobbi bene). Ma tuttavia di queste parole, ch' io t'ho ragionate,

(*) Cfr. VN. 19, 1‘Avvenne poi che, passando io per un cammino, lungo lo quale sen gía un rivo chiaro molto, a me giunse... volontade di dire'. Secondo il Carducci (D' Ancona, VN. 73): leggermente vestito, adombra la leg. gerezza e varietà di siffatti amori; e di vili drappi, significa che quel nuovo amore fu indegno: per ciò...guarda la terra'. Il D' Ancona : Perchè Amore è rappresentato sbigottito, e, come Virgilio nell' Inf. VIII, 118, cogli occhi alla terra e le ciglia rase d'ogni baldanza? [cfr. Aen. 6, 862frons laeta parum et defecto lumina voltu']. Forse perchè la bontà degli avvolgimenti da lui consigliati a Dante era adesso messa in forse dalla partenza della donna. schermo, sebbene Amore provvedesse a trovare altra che facesse il medesimo ufficio. Ma perchè poi si volgeva al fiume? Forse il correre del fiume era un simbolo della mutabilità delle cose umane?' A me pare che i vili drappi, il capo chino, la meschina sembianza, siano esponenti simbolici della condizione d'Amore che avea perduto signoria. Giusta, forse, è l'interpretazione del simbolo del fiume corrente. Eros pellegrino è rappresentato anche in una Anacreontéa, tradotta dallo Zanella (vd. Vitelli e Mazzoni, Manuale della lett. greca, Firenze 1899: p. 215).

Il son. Cavalcando l'altr' ier

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se alcuna cosa ne dicessi, dillo nel modo che per loro non si discernesse il simulato amore, che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare ad altri ». E dette queste parole, disparve questa mia imaginazione tutta subitamente'.

Che significato avea codesta finzione? Quale il proposito del poeta? Non quello di manifestar velatamente il suo sentimento, l'animo suo, tutto occupato del pensiero della gentilissima; e di accennare alla dura necessità in cui si vedeva, per la partenza della donna del primo schermo, di provvedersi d' un' altra difesa; perchè Beatrice e le donne dello schermo appajono solo nelle amplificazioni della prosa. È vero bensì, che il poeta nella ragione avverte, che il suo signore gli aveva vietato di fare alcuna allusione al simulato amore; ma codesta riserva sarà, come sembra, un naturale ri piego per l'adattamento del sonetto; giacchè nel sonetto non si leg. ge neppure che Amore avesse detto altro, che fosse da tacere. Nè, d'altra parte, il poeta poteva proporsi con questo sonetto di aprir la via al nuovo amore, simulato o non simulato; perchè non sarebbe stata conveniente dichiarazione amorosa venir a dire a una don na: Eccovi il mio cuore, che mi è arrivato or ora, fresco fresco, da lontana parte -; nè il poeta dice che mandò il sonetto alla nuo va difesa, e che quel sonetto appunto inaugurò il nuovo giochetto (*).

(*) Assai trita è l'immagine della spedizione del cuore dell' amante all' obbietto amato. Mazzeo Ricco (canz. Lo core innamorato) così rappresenta una dolce corrispondenza d'amorosi sensi:‘— Lo core innamorato, Messere, si lamenta... Avendo di voi voglia, Lo mio core a voi mando; Ed ello vene e con voi si soggiorna; E, poi a me non torna, A voi lo raccomando; Non li facciate gelosia nè doglia - Donna, se voi mandate Lo vostro dolze core Innamorato si come lo meo, Sacciate in veritate, Che per verace amore Immantinente a voi mando lo meo... — -'. Lapo Gianni (ball. Io sono Amor) ha una figurazione, per così dire, alla rovescia: madonna, avendo cordoglienza' del servente, vuol dare al suo mal guarigione'; e dice ad Amore, che era ve nuto mezzano per implorare mercè: Portateli lo cuor ch' avea 'n prigione, E da mia parte 11 date allegranza'. In una corona di tre sonetti (Così diviene a me, lo mi disdico, Grazie e mercè) Chiaro Davanzati rappresenta un curioso contrasto messere manda il suo cuore a madonna: Così 'l mio cuor, che a voi, donna avvenente, Mando perchè vi conti le mie pene; Con voi rimane, ed io ne son perdente': madonna però risponde: Io mi disdico che non ho tuo core, Es' lo l'avessi, lo ti rendería: Ma poi non l'ho, richiedilo ad Amore, A cui lo desti per la tua follia'; e gli dà una buona lezione e un corollario ancor per grazia: Se sei saputo, pensalo e provvedi, Ch'esser non può amor seuza píacere replica messere, ringraziando, mostrandosi lieto, e promettendo di ubbidire a sua signoria, l'avvenente. L'immagine d'Amore che reca il cuore del.

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