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d'animo per essersi dalla memoria d'una morta, e per un tempo assai breve, allontanato? E non si era egli già di quella pretesa leggerezza pentito? e gli occhi, causa di tanto fallo, non erano stati ben guiderdonati? A me invero riesce più ovvio pensare, che il poeta volesse insinuar nel Convivio che coloro i quali potevano riprenderlo d'essersi dal primo amore mutato, considerassero l'amore per Beatrice come allusivo a tal tenore di vita e di studi da parere il secondo amore, accennato nella Vita nuova e sviluppato nelle canzoni, un' apostasia, o un deviamento, certo un abbandono delle mistiche idealità dell' adolescenza.

Sia come si voglia, il poeta ha dichiarato che la donna. gentile della Vita nuova è allegorica; ha detto che con codesta dichiarazione non intendeva derogare, ma giovare alla Vita nuova; ha implicitamente dichiarato che dell' allegoria di Beatrice si sarebbe trattato altrove; ha insomma voluto insinuare ch'egli nella Vita nuora aveva avuto intendimenti allegorici. Se così stanno le cose, anche ammessa l'ipotesi del poi, non vediamo perchè si debba vociferar tanto contro i poveri allegoristi; perchè gli equites peditesque delle frequenti dantesche platee, debbano elevar si alto cachinno se ogni tanto qualcuno, non bene esperto del canto corale, con audacia insolita nell' impero assoluto della critica, pronunzia l'abominevole e detestata parola. Concedo che parlare oggi di allegoria, sia grave stonatura nel grande concerto; ma se Dio vuole, a codesti poveri diavoli pare non si possa negar l'autorevole testimonianza. a discarico dello stesso poeta.

4.

Falsa testimonianza, ci assicurano i dotti. E muove forse da lodevole discrezione quel suggerir che si fa all' esule immerito, attenuanti alla sua grave colpa. Ma la scusa

La pretesa confessione del mendacio

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riescirebbe allo stringer dei conti a confermar l'accusa ; sicchè non discrezione, ma circospezione sarà da veder nell'opera di chi cerca scagionare il poeta del bel tiro che gli si appone fatto agli esegeti dell' opera sua. Sarà dunque necessario alla presente trattazione, veder se nel Convivio possono, come assicurano i critici del poi, pescare codeste attenuanti.

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Tre luoghi invero dell' opera temperata e virile pare che offrano un indizio, se non addirittura la confessione della causale del posticcio opportuno adonestamento. Nel purgare dalla prima macola ('parlare di sè medesimo pare non licito') il pane del suo convito, cioè il commento alle sue canzoni, il poeta scrive: (1, 2, 114) Movemi timore d'infamia, e movemi desiderio di dottrina dare, la quale altri veramente dare non può. Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni in me avere signoreggiato. La quale infamia si cessa per lo presente di me parlare interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù si è stata la movente cagione'. Veramente in codesto luogo il poeta mostrerebbe, o meglio lascerebbe incautamente trasparire, ch' egli avea desio di adonestare la donna delle canzoni, non la pietosa consolatrice della Vita nuova; e da quelle parole potrebbe dedursi quello forse che dedurre non si vuole, ch'egli allora (qualunque ne fosse la cagione, e con qualsivoglia ragione) considerava come allegoriche gran parte delle sue canzoni; nè forse v'è modo d'escludere le così dette rime pietrose; anzi da quel timore d'infamia parrebbe che ad esse appunto il poeta pensasse. Ma certo alla donna gentile del libello ci riporta l'altro luogo del Convivio; (3, 1, 82): Dico che pensai che da molti di retro da me forse sarei stato ripreso di levezza d'animo, udendo me essere dal primo amore mutato. Per che a torre via questa riprensione, nullo migliore argomento era che dire

qual era quella donna che m' avea mutato'. E qui veramente par di trovare espressa l'ubbia che avrà consigliato al poeta il posticcio adonestamento. Sennonchè quelle parole il poeta scrive nell' esporre le ragioni che lo 'informaro' a commendare, con la canzone Amor che nella mente, la donna amata; e l' ubbia, se ubbia si deve chiamare, è da riferire al tempo della composizione della canzone. Tuttavia, in un altro luogo del Convivio esclama il poeta: (1, 3, 15) 'Ahi! piaciuto fosse al Dispensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata; chè nè altri contro a me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d'esilio e di povertà'. Ma anche qui è fuor di luogo pensare al preteso adonestamento. Il poeta scusa la durezza del suo commento, accagionandone l'esilio (1). Toglier dal loro luogo i tre brani del Convivio, e guardarli fuori del contesto, e cucirli insieme, pare industria molto simile a quella dei centonari che facevano dire a Virgilio quel che

essi volevano.

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E in fin dei conti, strana senza dubbio è la pretesa di chi vorrebbe scorgere nello stesso Convivio quasi la confessione del mendacio. Il poeta nello stesso tempo che, per fuggir taccia di levezza d'animo e per timore d'infamia, mentiva, scusava e giustificava la menzogna, adducendone la movente ragione! Mentre s' industriava di dar maschera filosofica al suo secondo amore, non ben sicuro di sapere. o potere aggiustar le cose sue come la gravità del caso richiedeva, previde che, se non subito, fra cinque o sei secoli si sarebbe scoperto il suo gioco; e, avveduto com'era, non si lasciò cogliere alla sprovvista; pensò alle attenuanti, e le attenuanti produsse! In conclusione, nello stesso tempo.

(1) Belle osservazioni a codesto luogo del Convivio, ha il Foscolo, Disc. sez. 99.

La canz. Voi che intendendo, è allegorica

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che mentiva, ci forniva la più bella prova del suo mentire, la causale del mendacio, e implicitamente confessava il mendacio stesso! Non dico che non sieno cose che non possano capitare; ma non pare che sia appunto codesto il caso occorso a Dante, che sarebbe per Dante davvero un bel caso.

Nè pare che l'esilio c' entri per nulla nella pretesa ritrattazione. La canzone Voi che intendendo è anteriore certamente all'esilio, e in essa canzone è descritto il noto contrasto delle due donne, come nella prosa della Vita nuora e del Convivio. Non si può pensare che quella canzone non abbia avuto prima dell'esilio che significazione letterale di amori reali, e che poi le sia stato attribuito un significato allegorico (1). Il D' Ancona ( Disc. 68 ) affer

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(1) So bene che il Fauriel (Dante et les origines de la langue et de la littér. ital., Paris 1854: 1, 402), il Balbo (Vita di Dante Ali ghieri, lib. 2, cap. 4), e qualche altro (vd. Gaspary, St. 1, 452, appendice a p. 218) affermano anche questo. Ma niente contano dun. que, neppure le parole del poeta alla stessa sua canzone? Canzone i' credo che saranno radi Color che tua ragione intendan bene. Tanto la parli faticosa e forte: Onde se per ventura egli addiviene che tu dinanzi da persone vadi, Che non ti paian d'essa bene accorte; Allor ti priego che ti riconforte, Dicendo lor, diletta mia novella: Ponete mente almen com'io son bella'. Cfr. Conv. 1, 1, 105; 1, 2, 123; 2, 12, 21. Del resto, a sentire il Fauriel, Dante compose la Vita nuova a ventun anno, e la canzone di cui parliamo, Voi che intendendo, è inserita nella Vita nuova! (1, 375 s 397). Ma la gratuita affermazione del Fauriel e del Balbo pare oggi si rive sta di novelle frondi: vd. le curiose argomentazioni di M. Rieger Bull. ns. 9, 146 s). Certo, gravi sono le considerazioni del Fraccaroli (Giorn. stor. 33, 365 s). Nondimeno, si potrebbe osservare che il poeta, quando scriveva la Vita nuora e probabilmente anche le canzoni, forse pensava che fosse lecito fare allegorie con intendimenti, come pare, molto riposti. E codesto sospetto sarebbe forse giustificato dal seguente luogo della Vita nuova (25, 44): Dunque se noi vedemo, che li poeti hanno parlato a le cose inanimato sì

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ma perfino che la spiegazione allegorica è la sola vera e plausibile'. Ed invero, codesto disperatissimo espediente non arrise neppure allo Zingarelli (Dante, 131 ); il quale tuttavia vede la prova materiale' dell' essere diversa la donna gentile della Vita nuova dalla donna allegorica della canzone, nel fatto che la canz. Voi che intendendo è posteriore all' ultimo sonetto della Vita Nuora', perchè in essa canzone v'è un richiamo esplicito' a quel sonetto. Noi codesto esplicito richiamo non vediamo davvero; ma se anche ci fosse, neppure lo Zingarelli col desumere che la donna gentile della Vita Nuova sta di là, non di qua vorrebbe concludere, che dunque la Vita nuova è anteriore alla canzone e quindi anteriore all' amor filosofico.

La canzone allegorica a ogni modo, se non precede, segue ad assai breve intervallo la pretesa ingenua narrazione del libello, la cui composizione allo stringer dei conti non si può rimandare più indietro del 1293 (). Nessuno

sa...

come se avessero senso o ragione, e fattole parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere . . . ; degno è 'l dicitore per rima di fare lo somigliante, ma non sanza ragione aleuna, ma con ragione, la quale poi sia possibile ad aprire per proE acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che nè li poeti parlano così sanza ragione, nè quelli che rimano deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa sotto vesta di figura o di colore retorico, e do mandato non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento'. Ma di questo luogo della Vita nuora, anch'esso molto controverso, diremo più innanzi.

(1) Lo stesso Zingarelli (Dante, 132 s 141 375 s) afferma che la canzone Voi che intendendo è della seconda metà del 1293, e che la prosa della Vita Nuova o è dello stesso tempo, o la precede probabilmente di poco'. Cfr. Carducci, Op. 8, 76. Certo, la narrazione che, alquanto tempo' dopo l'annovale di Beatrice, segue nella Vita

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