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Non sapeano che si chiamare

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poeta che essi indovinavano il vero nome? Bisognerebbe almeno emendare: fu anche da molti, che non sapeano che si chiamare, chiamata Beatrice -. E lasciando stare che non sapeano che si chiamare' non certo molto agevolmente si può intendere non sapeano come si chiamasse come altrimenti chiamarla, con quale altro nome chiamarla'; avrebbe detto il poeta che molti, non sapendo come chiamare la donna della sua mente, tiravano a indovinare, quando egli stesso nelle rime l' avea chiamata Bice e Beatrice? avrebbe detto che molti non sapeano che nome avesse la gentilissim a, se era venuta 'in tanta grazia de le genti che quando passava per via le persone correano per vedere lei' ( VN. 26, 2)?

Sordi dunque, o negligenti, ma, come pare, molto perspicaci, codesti molti della prima chiosa ; certo, meno storditi e più intendenti degl' inconsapevoli o sbadati della seconda interpretazione, che non è più persuasiva della prima. Perchè mai il poeta dovea con tanta sollecitudine occuparsi di quegli sciocchi che non aveano saputo vedere quanto alla gentilissima fosse appropriato il nome di Beatrice? E come mai e perchè mai la Bice era chiamata Beatrice appunto dagli sciocchi? Per quale ragione quegli storditi, senza intenzione riposta, avrebbero chiamata la bella Fiorentina, anzichè Bice, com' ella si chiamava, Beatrice? Se degli sciocchi il poeta si fosse voluto occupare, avrebbe detto: fu chiamata Beatrice, benchè molti, non sapendo quanto quel nome le si convenisse, la chiamassero Bice; o qualcosa di simile; e non gli sarebbe certo occorso di esprimere il suo pensiero alla rovescia. E in fin dei conti, non sapeano che si chiamare' può egli valere 'non sapeano con quale e quanto nome chiamassero'?

Giacchè, se non tutta, gran parte della questione è qui: che valore ha 'non sapeano che si chiamare'? Talvolta in simili costrutti troviamo, come in latino, il con

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giuntivo. Nella stessa Vita nuova abbiamo: 13, 19' mi facea stare quasi come colui, che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde se ne vada'; 13, 36 'Ond' io non so da qual matera prenda; E vorrei dire e non so ch' i' mi dica '. E nella Commedia : 1, 24, 11 'Come il tapin che non sa che si faccia'. Jacopo da Lentino, canz. Madonna dir vi voglio, Vivo in foco amoroso e non saccio che dica; Lo meo lavoro spica e poi non grana'; Barberino, Regg. 81, ' Pensoso, che non so qual via mi prenda' (1). Ma più spesso occorre l'infinito: Folcacchiero, canz. Tutto lo mondo vive, Non so onde fuggire, ne a cui m' accomandare'; Rustico di Filippo, son. Poichè vi piace, Merzede, Amor, ch'io non saccio che dire'; Novellino, 52 che tutti gridino a una voce mercè, e non sappiano a cui la si chiedere '; 61' non seppe che si dire'; 64 'non sapea che si fare'; 87 'non sapea che si dire, nè che si fare'; 89 ma non sapea come 'l si fare'; Fioretti, 4 frate Masseo non sa che si fare, nè che si rispondere'; 26' per nessuno modo non sapea che si fare, nè che si dire'; 45 io non so che mi ti addimandare'; Decamerone, 2, 4 non sappiendo che farsi '; 2, 5 'non sappiendo altro che rispondersi'; 2, 9 nè sapea che si sperare, o che più temere'; 3, 3non sapeva che dirsi '; 4, 7 non sappiendo che dirsi'. Sono evidentemente locu

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(4) L'espressione non so che mi dica o mi faccia' può valere, non solo non so che dire o fare', ma anche non so quel che io dico o faccio'; giacchè pare da qualche esempio che in quel congiuntivo abbiano confluenza e l'una e l'altra espressione, di signi ficato ben differente: cfr. VN. 25, 75 non avendo alcuno ragiona. mento in loro di quello che dicono'; Conv. 2, 15, 59 Quello che Aristotile si dicesse di ciò, non si può bene sapere '; Buti, 2, 531 'profetò non sapendo quello che dicesse'; Decam. 2, 5 'Come, disse Andreuccio, non sai che io mi dico? certo sì sai'; 2, 5 • senza sapere dove s' andasse, prese la via per tornarsi allo albergo'.

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zioni ellittiche; manca il servile o perifrastico o modale al congiuntivo, che si trova invece in questi esempi: Tavola Rotonda (Nannucci, Man. 2, 161), 'io non soe ch'io altro vi ne possa dire'; Decamerone, 2, 3 più non sappiendo che aspettare si dovessono '; 2, 8 appena sapeva che far si dovesse' (1). Pare dunque, che per analogia non sapeano che si chiamare' valga non sapeano che si dovessero chiamare'. Il poeta avea già chiamata la donna della sua mente, nelle sue rime, Bice e Beatrice; ma la gentilissima, conosciuta da tutta la cittade' come un miracolo, non era, stando alla narrazione della Vita nuora, conosciuta come donna di Dante; quindi il poeta insinuerebbe che molti, pur chiamando la donna della sua mente Beatrice perchè così leggevano nelle sue rime, non sapeano tuttavia che cosa dovessero con tal nome chiamare; non sapeano a che attribuire tal nome; non sapeano che cosa il poeta con tal nome volesse significare; non sapeano insomma, di che cosa fosse egli innamorato (2).

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(4) Per attrazione probabilmente, il Boccaccio mette talvolta all' infinito anche il servile: Decam. 2, 6 senza saper dove mai alcuno dovers ene ritrovare'; 2, 7 'nè sappiendo che d o vermi dire'.

(2) La formula risolutiva del Flechia (vd. D' Ancona, VN. 16 s), 'i quali non sapevano che si chiamassero, chiamando Beatrice', non può piegarsi che a tale interpretazione; giacchè codesto congiuntivo dovrebbe alla sua volta risolversi, non nell' indicativo, ma nell' infinito. La distinzione messa fuori primamente dal Fanfani (Studj ed osservazioni sopra il testo delle opere di D. Firenze 1873: p. 294 s), che in tali costrutti l'infinito ora si usa 6 con riferenza ad un'azione non ancor fatta..., dove gli antichi lo usavano... nell'attualità d'azione'; cosicchè la frase dantesca, anzichè richiamare il servile al congiuntivo, varrebbe non sapeano ciò che attualmente chiamavano; è forse più speciosa che vera. Certo, molti dotti oggi chia mano Matelda la donna della 'divina foresta', senza saper chi deb. bano chiamare con tale nome. Il dire, senza saper chi si chiama.

Qualcosa di simile disse anche Cino (son. A vano sguardo):

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no', sarebbe altra cosa; a quei critici scrupolosi si attribuirebbe trascurataggine, mentre si vuole attribuire onesta dubitazione. I 'molti della Vita nuova pur pensavano: Noi chiamiamo Beatrice la donna di Dante; ma che dobbiamo chiamare con tal nome? Noi non sappiamo bene che cosa chiamare. È naturale dunque, che il poeta dica ch'essi non sapeano che si chiamare'. I tre esempi addotti dal Fanfani, saranno leziosaggini del Davan. zati e del Varchi; leziosaggini che lasciano in dubbio il lettore sul loro vero significato. Non è chiaro infatti se debbano essere interpretati come vuole il Fanfani, ovvero in altro modo: 'disse quel Re guerriero che sapeva che dirsi', 'disse Dante il quale sapeva che dirsi', 'Annibale seppe che dirsi quando avvertì il Castelvetro', possono valere, anzi dovrebbero valere, non già sapeva ciò che diceva', ma 'sapea che era da dire, sapea bene quel che dovesse dire', o simile. E lo stesso suppergiù può dirsi degli altri esempi addotti, a sostegno di codesta chiosa, dal Gaspary (cfr. Bull. ns. 9, 44). Ma, concesso pure che in simili costrutti l'infinito fosse talvolta usurpato in tal modo, non resta però escluso che fosse usato più generalmente e più correttamente nell' altro significato; e gli esempi del Novellino, dei Fioretti, del Decamerone, che abbiamo addotti, son certo buona prova; come buona prova è l'uso costante ed esclusivo moderno. Del resto, anche se il luogo della Vita nnova può valere non sapeano ciò che si chiamavano, ciò che essi nominavano', si può bene intendere che quei molti ignoravano che cosa fosse la gloriosa donna del poeta ; diceano che si chiamava Beatrice, ma non sapeano altro. Pur credendo alla realtà della donna amata, negava l'identità del nome Paolo Costa: 'Se molti e non tutti, egli scriveva (Vita di D. prem. alla DC. Firenze 1839: 1, 7 n), così la chiamarono, è da credere che tale non fosse il nome suo. E forse Dante stesso, per riverenza all'onestà dell' amata donna, ne ascose il vero nome e, chiamandola Beatrice, avvisò di significare la bel lezza del corpo e dell' animo di quella gentilissima che faceva beati coloro che la riguardavano'. Alla stessa conclusione veniva poco dopo anche Luigi Muzzi (vd. Torri, VN. 102): 'tal nome ideale fu imposto a donna vera, ma in quel tempo non conosciuta da niuno; e forse le fu imposto dal medesimo Dante, dal quale udendolo molti, ei potè dire, da molti fu chiamata, che non sapeano altro '.

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Non sapeano che si chiamare

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A vano sguardo ed a falsi sembianti
Celo colei che nella mente ho pinta;

E covro lo desio di tale infinta,

Ch' altri non sa di qual donna io mi canti.

Molti similmente chiamavano Corinna la donna di Ovidio, ma anch'essi non sapeano qual donna chiamar si dovessero con tal nomignolo:

Et multi, quae sit nostra Corinna, rogant,

avea pur cantato (Ars amat. 3, 538) l' amoroso poeta latino. E pare davvero che il Nostro, nel tormentato luogo della Vita nuova, voglia fare un' insinuazione che potrebbe trovar rispondenza o riscontro nell' altra sua affermazione, che i molti risponditori al primo sonetto non aveano saputo vedere il 'verace giudicio' del sogno del cuore mangiato. Pare ch' egli, fin dalla soglia del dubbioso libello, voglia insinuare che molti ancora chiameranno Beatrice la gloriosa donna della sua mente, ma non sapranno tuttavia che si chiamare. Certo, a questo appunto, non ad altro, riesce il misterioso racconto della Vita nuora.

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Dal fatto stesso che il poeta chiama Beatrice la donna. amata e nelle rime e nel racconto della Vita nuova, sarei indotto piuttosto a negare che a riconoscere aver egli mai amato una fanciulla di tal nome. Ma sia come si voglia; abbia egli amato una Bice qualunque: abbia egli amato la Portinari; il povero Biscioni concedeva anche codesto: abbia egli cantato di codesta Bice; si può concedere anche

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