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Le parole oscure e i simulacri d'Amore

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7.

Nel Convivio (2, 13, 27) il poeta confessa che, nella mistica adolescenza della Vita nuova, molte cose, quasi come sognando, già vedea'. Certo, egli non aveva ancora temprato i suoi muscoli alla severa disciplina delle armi; non ancora nella destra gli balenava la 'spada lucida ed

re d'Amore, che si leggono nel paragrafo 12. Dante, per il simulato amore alla gentildonna del secondo schermo, avea perduto il saluto di Beatrice: un giovane vestito di bianchissime vestimenta', cioè Amore, gli apparve in sogno, e sospirando gli disse: Fili mi, tempus est ut praetermittantur simulacra nostra'. Poi piangeva 'pietosamente, e il poeta gli chiese: Signore de la nobiltade, e perchè piangi tu?' E Amore allora disse queste oscure parole: Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes: tu autem non sic'. Il poeta non capiva, e voleva spie gazione; ma Amore tagliò corto, dicendo: Non domandare più che utile ti sia'; e si pose a ragionare de la salute negata', senza però muovere alcun rimprovero al suo fedele. Potrebbe il luogo attribuito a s. Bernardo, qui addietro citato (p. 254 n2), illustrare codeste oscure parole? Oltre le spiegazioni riferite nelle edizioni della Vita nuova del D' Ancona e del Casini, ricordo: l'interpretazione di G. Maruffi (Le parole oscure d' Amore, Venezia 1895: estr. dal q. 2o, a. 3o del Giorn. dant.), alla quale si accosta in fondo il Boffito (Bull. ns. 10, 266); l'interpretazione di A. Butti (Giorn. dant. 6, 129 s); e, insieme alle osservazioni del Federzoni (Studi, 108 ss) e dello Scarano (Beatrice, 42), un recente articolo di E. Proto (Rass. crit. 7, 193 ss), che muove appunto dalla chiosa del Federzoni, e la sviluppa e conforta di ragioni filosofiche'. Sta bene: il circolo rappresenta perfezione e nobiltà; dunque si tratta di perfetto e nobile amore. Si è citato il luogo del Paradiso, 13, 49 - 51, e il luogo del Convivio, 4, 16. E si potrebbero ricordare di Jacopo della Lana più luoghi, e specialmento questo (2, 198): nelle cose naturali quella fine che torna al suo principio, è detta perfetta, siccome appare nel moto circolare, il quale è tra li altri movimenti il più perfetto, perchè il suo fine torna al suo principio, come appare nell'ottavo

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acuta' di Paolo; come il rapito di Patmos, venia dormendo con la faccia arguta'.

Veramente, due soli sogni fanno parte della dubbiosa narrazione; e non sono pur chiamati sogni, ma' visioni ' nel sonno (§§ 3 e 12); e 'vana imaginazione' è chiamato il farneticare in una specie di dormiveglia (§ 23). Altri episodi sono visioni ad occhi aperti, 'imaginazioni', come le chiama il poeta (§§ 9, 24, 39); una sola imaginazione, l'ultima, è chiamata 'visione', 'mirabile visio

della Fisica e nel libro De Coelo et Mundo d' Aristotile'. Cecco d'A scoli poi, dell' amor sensuale cantava (Acerba, 3, 1):

Amor nel cerchio non tien fermo punto,

O cala o monta nell' uman concetto,
Sempre col moto fu così congiunto.

Ma una spiegazione chiara, e per ogni verso convincente, non si potrà mai dare, se non si spiega l'episodio degli schermi della veritade', dei simulacra' d' Amore. [Dionigi Areopagita (Ope ra, Antuerpiae, 1634), De divinis nominibus, 4, 12 Cum enim verus amor non a nobis solum, sed ab ipsis sanctis Scripturis, ut Deum decet, laudetur, vulgus hominum, cum non percepisset illam uniformitatem quam divinum nomon amoris significat, convenienter sibi ad amorem patibilem et corporeum atque distractum delapsum est. qui non est verus amor, sed imago, vel potius lapsus a vero amore: multitudo enim non potest cogitatione capere illud singulare divini et unius amoris'. Paraphrasis Pachymerae (1, 659): 'Hoc igitur divini amoris nomen vulgus non intelligens, ad amorem corporeum et distractum ac divisum dilapsum est: alius enim aliud amat, et alius aliud appetit secundum istiusmodi amorem, qui non est verus amor, sed magis simulacrum vel prolapsio ab amore divino... Amor corporeus simulacrum est amoris divini 'In Dionigi anche il paragone col circolo: De dir. nom. 4, 14 'Qua in re et fine et principio se carere divinus amor excellenter ostendit, tamquam sempiternus circulus'. ] Certo, stando alla lettera, nè degli schermi, nè delle parole oscure, anche se rischiarate un poco da ragioni filosofiche, non se ne vede davvero la ragione. Cfr. Giorn. stor. 2, 386 e 392.

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ne' (§ 42), 'mirabile' come la prima visione nel sonno. Sette sono dunque le visioni che occorrono nel breve racconto (cfr. Bull. ns. 9, 262). E se non pare del tutto inesplicabile che il poeta, passando dalla visione alla realtà e dalla realtà alla visione, rimpolpi con visioni i pochi accenni alla strana storia del suo amore; ben desta meraviglia che le visioni siano così opportune e necessarie all' integrazione del racconto, che mal si apporrebbe chi volesse considerarle come semplici adornamenti poetici. D'altra parte, anche in quel che come realtà è narrato, pare che le condizioni del reale siano sopraffatte da un intendimento riposto; che il simbolismo sforzi la lettera, eccedendo i confini del reale; certo, codesta pretesa realtà storica è rappresentata essa stessa come vero sogno e vera visione.

Come una visione è narrato l' apparimento sanguigno della gloriosa donna della mente al novenne fanciullo; come una visione il bianco apparimento della donna della salute al diciottenne giovinetto. E visione, estasi mistica, ascetico rapimento, pare davvero la trasfigurazione' del poeta e l'apparizione della gentilissima nel convito nuziale ('). Si legge nei Salmi (83, 3): 'Concupiscit et deficit anima mea in atria Domini'; ed un altro versetto (21, 8) potrebbe pure averci avuta qualche parte nel fatto del gabbo: Omnes videntes me, deriserunt me: locuti sunt labiis, et moverunt caput.' Comunque, all' inverosimiglianza del racconto (vd. Bartoli, St. 5, 64 ss), si aggiunge la grave incongruenza di codesto ingrato particolare. Nessuno vorrà certo dire che la donna amata non si possa burlare dell' amante, che spesso non si burli dell' amante; ma il gabbarsi di chi si sia è forse delle gentilissime e

(4) Cfr. Gregorio Magno, Mor. 5, 55 ss; 23, 41 ss; 27,

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31, 70.

cortesissime donne? Se altro non fu l'intendimento del poeta, riesce davvero affatto strano e incongruente codesto ricordo nell' apoteosi della gentilissima, della cortesissima, della distruggitrice di tutti i vizi e reina delle virtù (1).

(4) L'Orlandini (Disc. in D. e il suo sec. 408) osserva: 'la Vita nuova non è, come altri affermava, una storia compiuta degli amori di Dante per Beatrice; ma una eletta di fatti appartenenti a quella storia, e precipuamente di quelli che fossero bastanti ad apparec– chiare e giustificare l'apoteosi che il Poeta si accingeva a farne in una maggiore opera futura, che fu poi la Commedia'. Ma il critico non si dà punto cura di farci sapere come, nella eletta di fatti appartenenti a quella storia ', c'entrasse il gabbo, ch'egli stesso chiama (p. 399) volgare leggerezza'. Lo Scartazzini ( Proleg. 185 ) non vuole che si esageri: E non meno naturale è pure quel gabbarsi di Beatrice, su cui ultimamente si fraseggiò e declamò tanto, e tanto inutilmente. Non si tratta di uno scherno spietato nè di una beffa spinta oltre il segno, come alcuno favoleggia, si tratta di una semplice derisione'. Dio mio, sì! Una semplice derisione. Cose che pas sano coll'acqua fresca. Il Canepa poi si spiega ogni cosa (N. ricer. 29): Non è perciò tanto inesplicabile questo gabbarsi: inoltre nel l'angiola giovanissima adorna di tutte le virtù, forse potrà parere una stonatura, ma quando Dante canta le virtù della sua amata è poeta e segue l'ispirazione, mentre esponendo i fatti è storico, e non gli è lecito travisarli'. Ma Dante dice che madonna si gabbò di lui, anche quando, come 'poeta', 'segue l'ispirazione'; e la chiama ⚫ gentilissima' ben quattro volto appunto quando, come storico', espone il fattaccio del gabbo. A ogni modo, il Canepa (e non il Canepa soltanto) farebbe dire a Dante: Signore e signori! Questa è la vera storia di una gentilissima donna, la cui ineffabile cortesia è oggi meritata nel grande secolo'. Ma badate bene ch' io, come poeta, seguendo l'ispirazione, la chiamo gentilissima e cortesis. sima; perchè, a parlarvi da storico, vi so dire che quella gentilis sima giunse a tal punto di villana crudeltà, che una volta, e non faccio per vantarmi, si gabbò di me. Se nell' esposizione dei fatti voi, gentili signore e cortesi signori, trovate incoerenze e contradi zioni, sappiate che la colpa non è mia, ma della storia che non si sa metter d'accordo coll' ispirazione poetica. Potevo io far tacere l'ispirazione? o dovevo manomettere la storia? E perchè poi? per

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Episodi che arieggiano la visione

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E sogno o visione pare anche il colloquio con le donne che s'erano raunate non si vede ben dove, e che aveano così poca verecondia e così grande familiarità col poeta, da chiamarlo alla loro adunanza e sottoporlo, fra i sospiri, a un indiscreto interrogatorio intorno al fine del suo amore. Come trasognato infatti il poeta risponde, e come trasognato si parte e quasi vergognoso', per essere stato côlto in contradizione.

E che altro se non sogno o visione ad occhi aperti sarà l'episodio della morte del padre di Beatrice? Giacchè, niente varrà a rimuovere le obbiezioni del Centofanti e del Bartoli (St. 5, 71 s). All' episodio del gabbo fa da contraltare l'episodio della pietà di Beatrice. 'Melius est, dice l'Ecclesiaste (7, 3), melius est ire ad domum luctus, quam ad domum convivii'. Il Barberino cantava (Docum. 374):

Pietà non vidi, ma credo in voi sia,

Non per tor pena mia,

Ma per averla colà dove usare
Disonestate non puote chiamare
Alcun, nè dir follia.

E dalle incongruenze, dai sogni, dalle visioni, dal farneticare sulla futura morte di Beatrice, colla morte di Beatrice passiamo bruscamente al calcolo ed all' enigma. Introduce quest' altra nova materia' un cominciamento di Geremia: Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium'. Ed ecco, tra il grave e il malizioso, il poeta vien fuori con questa dichiarazione: E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare

la sciocca pretesa di essere coerente? Ma l'incoerenza, vi dico, non è mia, vale a dire, non è di chi è poeta e si trova talvolta nella dura necessità di far lo storico; ma è della storia e della poesia che si guardano come cani e gatti —.

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