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fine dell' episodio campeggia. Coloro, peregrini', andavano a Roma; ma il poeta, 'peregrino spirito', passava

Oltre la spera che più larga gira (4).

Egli ebbe allora una mirabile visione'; alla quale accennando, finisce di assemprare la sentenza delle parole della rubrica della vita nova'. Bene quei peregrini andavano a Roma; ma egli forse (e perchè forse?) pensava a più santo peregrinare.

8.

L'immortale don Ferrante farebbe questo semplice ragionamento. Quattro sono i generi di narrazione: historia, fabula, argumentum, negotialis vel iudicialis assertio (2). Che la Vita nuova sia assertio, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicchè è inutile parlarne. Che non sia argumentum, si dimostra in quattro parole: quel che ivi è narrato, non è mai potuto accadere. Che se, per evitar questa Scilla, i signori critici si riducono a dire che sia fabula, dánno in Cariddi; perchè favole son quelle di Fedro e di Ovidio. Riman da vedere se possa essere histo

(1) Non è forse senza significato il fatto, che il poeta chiama 'peregrini', anche nella prosa, coloro che andavano a Roma; o non‐ dimeno avverte, che propriamente si chiamano ‘romei' (cfr. Giorn. stor. 2, 388).

(2) Marziano Capella, Liber de arte rhetorica (Halm, Rhetores, 486): Narrationum genera sunt quattuor: historia, fabula, argumentum, negotialis vel iudicialis assertio. Historia est, ut Livii: fabula neque vera est neque verisimilis, ut << Daphnen in arborem versam »: argumentum est, quod non facta, sed quae fieri potuerunt continet, ut in comoediis patrem timeri » et « amari meretricem » : iudicialis autem narratio est rerum gestarum aut verisimilium expositio'.

Le concatenazioni di don Ferrante

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ria. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori critici ch'essa sia una storia poetica; che questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante storielle senza costrutto. Ora, se fosse una storia poetica, dovrebbe partecipare della storia e della poesia del reale; e se io provo che la Vita nuova non partecipa nè dell' una nè dell' altra, avrò provato che non è storia poetica. E son qui. L'incongruente e l'assurdo non è idealizzazione poetica di fatti reali, dunque non è poesia del reale. Ma il racconto della Vita nuova è pieno d'incongruenze e di assurdità, dunque il racconto della Vita nuova non è poesia del reale. Ma se non è poesia del reale, molto meno sarà storia; perchè, supponendola storia, verrebbe a essere una storia inverosimile, due parole che fanno a calci, non essendoci in tutta la filosofia cosa più chiara e più liquida di questa, che il vero deve essere, prima di ogni altra cosa, verosimile. Posti questi principi. . .

Posti questi principi, la Vita nuova non sarebbe niente. Ma non è poi detto che le concatenazioni di don Ferrante non abbiano qualche volta un certo valore. Se non si può dire che la Vita nuora, intesa alla lettera, è niente, non si può dire neppure ch' essa sia cosa della quale un attento lettore possa contentarsi. È un racconto sui generis : pensatamente oscuro ed enigmatico, a disegno inverosimile ed incongruente, a bello studio incoerente ed assurdo, non pare che possa essere altro che una concezione allegorica. Sicchè la conclusione sarebbe pur questa, che bisogna aprire ufficialmente a due battenti la porta alle fantasticherie; e dico ufficialmente, perchè nel fatto le fantasticherie nella esegesi della Vita nuova, per amore o per forza, son sempre riuscite ad esercitare il contrabbando.

E in fin dei conti, nessuno dovrebbe opporsi. Il D' Ancona (Disc. 41) concede che non vi ha quasi nn momento nella Vita Nuova in cui Beatrice sia soltanto una

vaga giovanetta, una creatura mortale al pari di tante altre: al modo stesso come, e converso, non vi ha un momento nella Divina Commedia nel quale colei che siede accanto a Maria nell' empireo cielo, non sia anche la leggiadra pargoletta, per cui Dante sospirò e scrisse nell' età giovanile'. Il Rajna (in Vita ital. nel 300, p. 154) ammonisce Guai di sicuro a chi nella Vita Nuova prenda ogni cosa alla lettera; ma la Vita Nuova non è neppure un tessuto di finzioni immaginate colla mira di comporre un romanzo; anche là, dove non è storia di fatti reali, essa viene ad essere pur sempre talora con una certa perturbazione cronologica storia di sentimenti, di pensieri, di fantasie'. Lo Scartazzini (Proleg. 320; cfr. 198) risolutamente afferma: 'Questa storia (chiamiamola così ) degli amori di Dante e Beatrice, procede per via di visioni e di sogni che sono, non esitiamo un momento a dirlo, non già storia, ma invenzione poetica. Onde quelle interminabili questioni, se la Vita Nuova sia « un' ingenua storia de' giovenili amori di Dante con Beatrice (Fraticelli), oppure « un libro da cui non può ritrarsi nulla per la storia della vita di Dante» (Bartoli). Non è nè l'uno nè l'altro. È un lavoro d'arte. Realtà e invenzione, storia e poesia fuse insieme in modo, che anche coll' acqua forte della più arguta critica non è a noi possibile di separarne i due elementi e dire, tal passo essere storico, tal altro poetico. Sopra un fondo di realtà, di esperienze della propria vita, Dante eresse un edifizio ideale, poetico, in buona parte allegorico'. E lo Zingarelli (Dante, 99): 'La storia dell' amore di Dante per Beatrice, in ciò che vi ebbe di reale, deve procedere tra molte difficoltà; la narrazione prosastica della Vita Nuova è scritta dopo la morte della sua donna e quando le aveva dato carattere simbolico, le rime accoltevi furono scelte nella medesima disposizione d'animo, le escluse (e certo non le ab

»

Le conclusioni della critica

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biamo o non le sappiamo tutte) non serbano un chiaro indizio della loro destinazione, molte situazioni erano già convenzionali nella lirica amorosa. Ma tutti questi elementi velano la realtà, non la fingono, e a chi li esamini nelle reciproche relazioni e coi necessarî sussidî, danno modo di scoprirla, e di intessere con quella storia gli altri fatti reali della vita di Dante'.

Della giovinezza di Dante non sappiamo niente che possa considerarsi come notizia storica. C'è l'affermazione del Boccaccio e del codice Ashburnhamiano sugli amori di Bice Portinari, e c'è l'affermazione di Francesco da Buti sulla vestizione dell' abito francescano; notizia l' una e l'altra che merita conferma, come dicono i giornalisti (').

(4) Veramente il Buti, nel Proemio posto innanzi all' esposizione della prima cantica, toccando alcuna cosa della vita del poeta, non fa cenno del fatto che Dante vestì l'abito francescano. Ne parla a proposito della famosa corda (1, 438): 'questa corda ch' elli avea cinta significa ch' elli fu frate minore; ma non vi fece profes sione nel tempo della sua fanciullezza. E con essa... pensai..... al· cuna volta, cioè quando mi feci frate... Questa lonza, come fu posto nel primo canto, significa la lussuria, la quale l'autore si pensò di legare col voto della religione di san Francesco... Poscia che l' ebbi da me... tutta sciolta... Sì come il Duca... m' avea comandato, que sto si dee intendere quand' elli fu in questa considerazione de' vizi, ove la ragione li fece vedere che quello pigliamento di religione era stato spezie di fraude, cioè atto d'ipocresia, poi che non v'era perseverato; e però li comandò che si sciogliesse la corda, cioè quel lo atto e segno d'ipocresia'. E ne tocca anche altrove: 2, 735 Pri ma ch' io fuor di puerizia fosse, cioè inanti ch' io Dante avesse passato la puerizia, che si finisce al XIII anno; e per questo appare che 'l nostro autore infine quando era garsone s'innamorasse de la s. Scrittura; e questo credo che fusse quando si fece frate dell' or dine di s. Francesco, del quale uscitte inanti che facesse professio ne'; 2, 740 Anco si dè intendere che Beatrice sia pure la santa Scrittura, come ditto è, de la quale s'innamorò l'autore quando era garsone, quando si fece frate'; 2, 741 tornò adrieto lassando la

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Quale realtà velano le figurazioni della Vita nuova? Apriamo a due battenti la porta alle fantasticherie, chè altro non si può fare. Salvochè non si voglia preparare alla Vita nuova un funerale di prima classe.

religione e tornando al mondo'; 2, 759 E però bene appare in queste parole che Beatrice lo riprende de lo sviamento e de l'errore suo, quando abbandonò la religione e tornò al mondo... Le presenti cose... cioè mi feceno tornare adrieto et uscire de la religione'. Che sia codesta un'invenzione del Buti, è poco probabile. Egli una volta, per esempio, scrive (2, 266): 'Se queste istorie narrate non si diceno per me a pieno, abbimi scusato lo lettore, ch'io noll'ò trovate altramente, et io non vollio fingere da me'. Vd. Pelli, Memorie, 79 s; Rass. crit. 3, 173; Bull. ns. 8, 317; 9, 30 e 176; 10, 85; D'Ovidio, Studii, 585; Rass. bibl. 10, 116.

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