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Il gemino battagliare della Bice

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dice, nè alcuno sul serio direbbe, che il poeta, appena narrato il suo trascorso, chiamiamolo pure così, e quando pochi potevano aver letto, pochissimi aver capito quello ch' egli avesse inteso dire di sè e dei suoi amori nella fervida e passionata operetta giovanile, se ne penti, intese vergogna, temette accusa di levezza d'animo, e pensò d'aggiustare ogni cosa con ritorcimenti allegorici. Bisogna dunque pur pensare che il poeta, descritto nella Vita nuova un contrasto tra Beatrice morta e una gentildonna viva, poco dopo veniva fuori con la canzone Voi che intendendo, per notificare ai fedeli d'amore e particolarmente a Carlo Martello il fatto assai singolare, che di un' altra battaglia dopo la prima battaglia, di un altro contrasto dopo il primo contrasto, l'animo suo era stato disputato campo; che codesta seconda battaglia era di natura diversa dalla prima bensi, ma, forse per la legge dei ricorsi storici, alla prima affatto simile; e che in codesto gemino battagliare la gloriosa Beatrice avea riportato due sconfitte, che poteano però contare per una sconfitta sola; costretta bensì a litigare prima con una gentildonna, poi con una donna allegorica; ma in fin dei conti con due donne che ben poteano valere quanto una donna sola; 'savia' l'una, 'saggia' l'altra, bensi; ma entrambe 'pietose ' e 'belle donne ' entrambe. Non ricordiamo, perchè la gravità dell'argomento cel vieta, il fatto singolarissimo occorso a quell' egregio cittadino di Cuneo; il quale, avendo preso parte a una gita di piacere Cuneo - Aosta e Viceversa, arrivato appunto a Viceversa, non sapea darsi ragione come mai co

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nuova, può stringersi o costringersi anche in un semestre. Ma il poeta parla come di cose affatto lontane; ed il solo fatto coevo alla composizione del libello è questo, che il poeta, già ritornato a Boatrice, avuta la 'mirabile visione', studiava per poter un giorno dir di lei quello che non era stato mai detto d'alcuna.

desta sua città fosse del tutto simile a Cuneo. Ma dobbiamo dire sinceramente che non si vede bene come il poeta potesse illudersi che gli occhi del vicinato avrebbero bene scorta l'intenzion dell' artista. Giacchè bisogna pure scoprire chi fu quel valentuomo che allora avrà creduto prudente aspettar che l'esilio consigliasse al poeta l'identificazione delle due avversarie e trionfatrici della gentilissima; che non avrà fin d'allora cristianamente pensato di risparmiare a quella poveretta una almeno delle due battaglie, e a sè stesso la cura fastidiosa di uno sdoppia

mento non necessario.

Si vuole poi che il poeta nella Commedia confessi di essersi straniato dalla memoria di Bice per sensuali amori; sicchè avremmo che il poeta, appena narrato nella Vita nuova il fallo, o una parte del fallo, corse al riparo con la canzone Voi che intendendo; poi, mentre meditava la confessione di quel gran fallo nella Commedia, persisteva nel fallo stesso e insisteva, con le dichiarazioni del Convivio, nell' adonestamento. E gli mancava certo, come al Montefeltrano, la loica del Diavolo.

Comunque, è caso assai curioso certamente quello di chi, mentre pensa che il poeta non volea parere d'essere stato troppo proclive agli amori, non vede e non intravede dappertutto che amori danteschi; e vagheggia non so quante Pietre, Lisette, Violette, Gentucche, montanine, gozzute e pargolette; e nella Lonza, nell' episodio di Francesca, nell' episodio di Forese, nell' attraversare che fa il poeta le fiamme del Purgatorio, nei rimproveri di Beatrice, non adocchia che peccati di lussuria dantesca. Perchè, insomma, pare che la critica sia arrivata a questa conclusione, che il grand' uomo' passò quasi metà della sua vita a fare all' amore, e l'altra metà a lasciarne prosaica e poetica testimonianza; e che soltanto un bel giorno di efimera resipiscenza, anzi un cattivo giorno di malumore,

Le pretese contradizioni tra la VN. e il Conv. 29

per un suo malinconico ghiribizzo, volle fare, diciamo così, una sostituzione di persona, sentendo scrupolo d'un amoretto, anzi d'un innocente desiderio di alquanti di.

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Rodolfo Renier e Adolfo Bartoli ed altri, hanno già con efficacia e con alcune buone ragioni, ribattute le argomentazioni dei critici del poi, sostenuto che la donna gentile del libello è proprio la filosofia, dimostrato che non vi sono vere contradizioni tra la Vita nuova e il Convivio (1). Nondimeno, su codeste pretese contradizioni ancora s' insiste da ogni parte; e parrebbe che il poeta non avesse ben presente l'episodio della Vita nuova, quando appunto quell' episodio nell' opera temperata e virile richiamava. Stranissimo sospetto, senza dubbio; ma necessario a chi si propone di scoprire contradizioni palesi; salvochè non si voglia ripetere con S. De Chiara che il poeta cercò di togliere le contradizioni tra le due opere, ma non vi riusci'). A storditezza bisognerebbe dunque pensare, oltre

(4) Renier, VN. e F. 179 ss 186; Giorn. stor. 2, 387 n; Bartoli, St. 4, 214 ss 232; 5, 80 n1; Lubin, .Commedia, 39 ss; D. spiegato con D. 37; Dante e gli astronomi italiani, Dante e la Donna gentile, Trieste 1895, p. 65 ss; Scrocca, Il pecc. 59 ss. Dello studio del Carpenter (The episode of the donna pietosa) non ho altra notizia che quella fornitami dalla recensione del Pasqualigo, L'Alighieri, 1, 254; e conosco l'opinione del Centofanti (Sulla Vita Nuova di D.) dal breve cenno del Renier, Giorn. stor. 1, 478 n3; e del Kraus (Dante, sein Leben und sein Werk) dalla recensione dello Zingarelli, Rassegna critica della lett. ital. 3, 175.

(2) La Pietra di Dante e la donna gentile, nel L' Al. 3, 418. Non si capisce tuttavia perchè non sia riuscito il poeta a toglier via le contradizioni, se, come pensa il De Chiara, la Vita nuova non è che un rifacimento: (p. 436) Forse le rime pietrose furon dalla Vita

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che al deliberato proposito di mentire ed all' incauta cautela della excusatio non petita. Ma io non so quanti fra gli stessi assidui ricercatori di contradizioni, vorranno apertamente dire che il poeta volle adonestare la donna gentile, senza pur ricordarsi bene dell' episodio della Vita nuova. E già codesta pregiudiziale avrebbe potuto frenare, anzi fermare addirittura, la corsa frettolosa nel bujo viottolo delle contradizioni, se una maledetta fatalità non avesse sempre perseguitato il giovanile libello, e quel benedetto amore per la Portinari non avesse sviato anche i critici più avveduti e sereni. Comunque, stridente e palese contradizione si è creduto e si crede di vedere nel fatto che il poeta chiama nella Vita nuova 'vilissimo' e 'avversario della ragione' quello stesso amore che nel Convivio è nobilissimo' ed è per la filosofia. Ma saremmo noi davvero avversari della ragione se non volessimo concedere al poeta quel che egli pur vorrebbe, che sotto un certo rispetto l'amore alla filosofia si possa concepire come avversario talvolta della ragione e vilissimo. Perchè in fin dei conti, si tratta d' intendere, non di negare se non s'intende, l' affermazione del poeta. E con un esame più attento, non si sarebber forse tirate le sue parole a peggior sentenza ch' ei non tenne. Nella Vita nuova (38, 25) è descritto un contrasto tra il cuore' che teneva per la donna genlile, e 'l'anima' che teneva per Beatrice; e il cuore è chiamato 'appetito e l'anima ragione'; adunque il cuore è l'avversario dell' anima, ovvero l'appetito è l'avversario della ragione. E benchè codesto appetito, codesto desiderio malvagio e vana intenzione, sia

Nuova tolte via quando l' Alighieri tornò su quel che aveva già scritto, e corresse la Vita Nuora; e per fuggir infamia e non inducer sospetti, variò e colorì in diversa guisa il già scritto, non volendo in nessun modo a quell' operetta derogare'!

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L'avversario della ragione e vilissimo

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l'amore alla donna gentile, cioè alla filosofia; non si può a rigor di termini inferire che la donna gentile sia avversaria essa della ragione, e sia vana e malvagia. D'altra parte, anche nel Convivio codesto nuovo pensiero è 'contrario' e 'avverso alla memoria di Beatrice, cioè all'anima che, secondo la Vita nuova, è degno di chiamare ragione (1). Nė ragione maggiore si ha nell' inalberar trionfalmente il nobilissimo' del Convivio contro il vilissimo' della Vita nuova. Anzitutto è bene notare che per Dante 'nobile' vien da non vile' ( Conv. 4, 16, 74); che' viltà è la sfacciatezza' (19, 93); che la viltà di ciascuna cosa dalla imperfezione di quella si prende, e così la nobiltà dalla perfezione, onde tanto quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile; quanto imperfetta, tanto vile (21, 3); che quanto il cielo è più presso al cerchio equatore, tanto è più nobile' (2, 4, 69). E siccome non è inconveniente una cosa, secondo diversi rispetti, essere perfetta ed imperfetta' (4, 11, 48), così non pare vi sia inconveniente che una cosa sia nobile e vile, vilissima e nobilissima, secondo diversi rispetti. E sotto un certo rispetto invero, il poeta nell' opera fervida e passionata chiama 'vilissimo' l'amore per la donna gentile e savia, quell' innocente desiderio, quel gentile pensiero che gli parlava della pietosa consolatrice: ( VN. 38, 10) Deo, che pensiero è questo, che in cosi vil modo vuole consolar me e non mi lascia quasi altro pensare?... Gentil pensero; e dico gentile in quanto ragionava di gentile donna, che per altro era vilissimo' (cfr. Perez, Beatrice, 138). Del resto, nello stesso Convivio risuona un'eco di codesto vilissimo della Vita nuora. Nella canzone

(1) Conv. 2. 2, 28; 7, 73; 8, 64; 9, 6; 10, 2; 11, 3. Non mi riesce chiara l'obbiezione del Barbi, Della pretesa incredulità di D. in Giorn. stor. 13, 56 n 2.

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