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Voi che intendendo, dice uno spiritel d' amor gentile' all'anima 'questa bella Donna, che tu senti, Ha trasmutata in tanto la tua vita, Che n' hai paura, si se' fatta vile'; e nel commento: (2, 11, 12). Non è vero che tu sia morta; ma la cagione, per che morta ti pare essere, si è uno smarrimento, nel quale se' caduta vilmente per questa donna ch'è apparita'. Il nuovo pensiero adunque poteva parer vile anche perchè generava smarrimento e viltà; certo a ogni modo, non perchè fosse turpe o abietto ('). A buon conto, bene il poeta ammoni che, siccome il ciel sempre è lucente e chiaro... ma per alcuna cagione alcuna volta è licito di dire quello essere tenebroso, così una certa ballatetta considerò la filosofia, che altrove è pietosa ed umile', 'orgogliosa e orgogliosa e dispietata', 'secondo l'apparenza, discordante dal vero, per infermità dell'anima, che di troppo disio era passionata' ( Conv. 3, 9, 11; 10, 6; canz. Voi che intendendo, 46). Non pare insomma, comunque la cosa si voglia considerare, che codesta pretesa contradizione sia tale spauracchio da far indietreggiare chi non sia già disposto a fuggire.

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Sennonchè lo Zingarelli, mésse da parte codeste omai logore obbiezioni, osserva che (Dante, 130) nella Vita Nuova l'amore per la donna pietosa è appetito del cuore, che contrasta alla ragione, e dopo un breve trionfo cede a questa che ottiene impero definitivo, quando nel Convivio essa è invece la filosofia, e il suo amore si avanza sempre sino a riuscire dominante'; e che se confrontiamo i cinque

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(1) Vilissimo, travil'. si considerava, rispetto al valore' di madonna l'amante dell' Intelligenza, st. 10; o Lapo Gianni (canz. Donna, se'l prego) volea che madonna non isdegnasse suo cor vile '.

L'appetito del cuore

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sonetti [ veramente son quattro i sonetti dell' episodio nella Vita nuova con quella canzone Voi che intendendo il terzo ciel movete, nella quale il poeta rappresenta il contrasto tra la filosofia e il pensiero di Beatrice, vi è tale diversa ispirazione e sentimento, quanta suol essere tra i moti delle nostre passioni e quelli del nostro intelletto speculativo, tra la natura umana che ama, ride e piange, si turba e rasserena, sempre sofferente e il ragionamento astratto del nostro cervello '. Quanto a quest' ultima osservazione, lasciamo giudice il lettore; chè, se dovessi dire la mia impressione, non esiterei a giurare che io non vedo la diversa ispirazione e il sentimento diverso. A ogni modo, sarebbe codesta una prova affatto subbiettiva che non proverebbe nulla. E poi, altro è parlar dei sonetti, altro dell'episodio della donna gentile. E lasciamo dunque che la natura umana ami, rida e pianga a sua posta, e che a sua posta si turbi e si rassereni; chè, se la cosa avesse ancora a decidersi a parole, diceva quello, la declamazione che s'insignorisce della critica positiva più spesso di quel che non si creda, ci metterebbe in sacco. Vediamo piuttosto l'altra osservazione. Non è forse esatto, dire che 'l'amore per la donna pietosa è appetito del cuore '; certo, si sconfinerebbe da ogni parte, se con codeste parole si volesse insinuare che nell' amor del poeta vi fosse, per sua confessione, alcun che di sensuale. Dice il poeta nel noto passo della Vita nuora: In questo sonetto fo due parti di me, secondo che li miei pensieri erano divisi. L'una parte chiamo cuore, ciò è l'appetito, l' altra chiamo anima, ciò è la ragione... Vero è che nel precedente sonetto io fo la parte del cuore contra quella de li occhi, e ciò pare contrario di quel ched io dico nel presente; e però dico, che ivi lo cuore anche intendo per lo appetito, però che maggiore desiderio era 'l mio ancora di ricordarmi de la gentilissima donna mia, che di vedere costei, avve

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gna che alcuno appetito n' avessi già, ma leggero parea '. Adunque 'cuore' o 'appetito' sta ad indicare maggior desiderio; e l'amore per la donna gentile era appetito o cuore, come cuore o appetito era stato il desiderio di ricordare la gentilissima Beatrice. E che degno sia, dice il poeta, di chiamare l'appetito cuore, e la ragione anima, assai è manifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia aperto'; giacchè, come si legge nel Convivio (3, 5, 195), al' nobile ingegno . . . è bello un poco di fatica lasciare'. Comunque sia di codesta distinzione e di codesta denominazione (cfr. Conv. 2, 7, 18 e 76), è chiaro che nella Vita nuova abbiamo un contrasto tra due pensieri, l' uno dei quali è chiamato appetito o cuore perchè ad esso inclinava l'animo del poeta.

E neppure si può trovar contradizione nel fatto che l'amore alla donna gentile è breve e transitorio nella Vita nuova, mentre nel Convivio si avanza sempre sino a riuscire dominante' ('). Il sonetto Gentil pensero, come ha notato il Bartoli (St. 4, 228), descrive appunto quel trionfo della donna gentile che si legge nella quarta stanza della canzone Voi che intendendo. Nella Vita nuova è bruscamente troncata la narrazione delle vicende di questo nuovo amore, e nel Convivio è ripresa e sviluppata. Ma da quel che abbiamo dell' opera temperata e virile, non pare che il secondo amore trionfasse definitivamente. Nel secondo trattato si è ancora al litigare; nel terzo il poeta si deve già scusare d'aver chiamata codesta sua seconda donna, orgogliosa e dispietata '; nel quarto trattato si commenta la canzone che comincia:

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(4) Qualcosa di se avea già obbiettato il Witte (La Vita Nuova di Dante Alighieri, Leipzig 1876: Prolegomeni, p. 12), convertitosi per la seconda volta ala tesi dell'adonestamento.

Il son. Parole mie

Le dolci rime d'amor, ch' io solia

Cercar ne' miei pensieri,

Convien ch' io lasci, non perch' io non speri

Ad esse ritornare,

Ma perchè gli atti disdegnosi e feri,

Che nella donna mia

Sono appariti, m' han chiuso la via
Dell'usato parlare.

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E un' altra canzone che dovea anch' essa probabilmente trovar posto nel Convivio, comincia :

Poscia ch' Amor del tutto m' ha lasciato.

Ma c'è di più e di meglio. C'è un sonetto, in cui il poeta, pigliando commiato da codesta bella donna del Convivio, confessa che in lei errò, che in lei non v'è amore, e che non intende più scriver rime per lei.

Parole mie, che per lo mondo siete;
Voi che nasceste poi ch'io cominciai
A dir per quella Donna, in cui errai:
Voi che intendendo il terzo ciel movete;
Andatevene a lei, che la sapete,
Piangendo sì ch'ella oda i nostri guai;
Ditele: Noi sem vostre; dunque omai
Più che noi semo, non ci vederete.

Con lei non state, ch'è non v'è Amore;

Ma gite attorno in abito dolente

A guisa delle vostre antiche suore.

Quando trovate donna di valore,

Gittatevele a' piedi umilemente

Dicendo: A voi dovem noi fare. onore (1).

(4) Il Carducci (Op. 8, 77 ) prima dice che codesto sonetto chiu de il periodo della lirica allegorica' per la donna del Convivio, la filosofia; poi (p. 96 ss) vorrebbe insinuare che la donna a cui allude il sonetto, e in cui il poeta dice che errò, sia la donna reale

Potrebbe alcuno sottilmente notare che, secondo la testimonianza di questo sonetto, le rime per la donna del

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delle rime pietrose, che sarebbe da identificare con la donna dell'episodio della Vita nuova. Il Bartoli (St. 4, 232) prima afferma che la donna in cui il poeta errò, è quella, per la quale scrisse la prima canzone del Convito'; poi (p. 258 ss) scorge nel sonetto 'come un pentimento, come un rammarico', e pensa che il sommo artista avesse un giorno sentita quasi ripugnanza per le tre canzoni dottrinali', e che alle dottrinali désse commiato, non anche alle allegoriche, tutte ispirate da Amore'. Meglio il D' Ancona (Disc. 70 n2): Le rime filosofiche si chiudono col sonetto: Parole mie'; e il Gaspary (St. 1, 453, append. a p. 221): Come chiusa della lirica filosofica si considera, e pare a ragione, il sonetto: Parole mie'. Buone osservazioni ha il Ronier (VN. e F. 185 s), e il Fornaciari (Studj, 177 s). Il Gaspary (St. 1, 452, append. a p. 218) intende l'errai del sonetto, non nel senso che il poeta ‘si sia ingannato nella filosofia. Errare qui, osserva il critico, come spesso ne' Siciliani, ha quasi il significato di « essere in pena, in travaglio, » come in V. N., 13: Così mi trovo in amorosa erranza'. Certo, le voci'errore ed erranza' nel senso indicato dal Gaspary, occorrono, per influenze occitaniche, nella nostra poesia amorosa delle origini: non mi venne fatto però, di trovare in tal significato il verbo errare'. Rinaldo d' Aquino (canz. 'N amoroso pensare): ‘Lo meo 'nnamoramento, Che m' ha miso in erranza'; Semprebene (canz. Come lo giorno): 'Però vi prego, dolce mia nemica, Da voi si mova mercede e pietanza, Si che d'erranza mi traggiate, donna'; Bonaggiunta Urbiciani (canz. Ben mi credeva): 'lè ov' ella appare, Nessun la può guardare, E mettelo in errore'. Sennonchè, specialmente nell' esempio della Vita nuova, qualcosa del significato più comune pur resta; giacchè il Nostro si trovava ‘in amorosa erranza' appunto perchè, combattuto da diversi pensieri, stava come colui, che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde se ne vada'. Del resto, il poeta nel sonetto Parole mie, non dice soltanto che nella sua donna allegorica errò, ma che in quella donna, ch' ei credeva amorosa, non v'è amore; e le dà bellamente congedo. Anche nella canzone Io sento sì d'amor, si legge che il poeta era servente di quella che non s'innamora '.

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