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Teseo ha avuto dall' amorosa sua Arianna il filo per uscir dall' intricatissimo laberinto della Vita nuova e del Convivio, sarebbe lecito dire che il poeta nel suo laberinto di astrazioni e figurazioni si sperdette, come ci sperdiamo noi tutti. Il poeta, come Dedalo, avea sempre pronte un bel pajo d'ali, attaccate bensì con la cera, ma agili e preste ai suoi voleri, così da poter uscire speditamente dal suo laberinto quando avesse voluto, o piuttosto quando avea fatto disegno di uscirne. Giacchè non bisogna dimenticare che il Convivio non è opera compiuta; e che in fin dei conti, non avea forse torto quel predicatore che, dovendo fare il panegirico di sant' Antonio, credette fosse suo dovere di dire che sant' Antonio era il migliore di tutti i santi.

Nondimeno, in quel che nel Convivio possiamo pur leggere c'è tanto da poter dissipare qualche dubbio, se pur non basta a tanto nodo disnodare.' Vita del mio core, cioè del mio dentro, dice il poeta (Conv. 2, 8, 34), solea essere un pensiero soave (soave è tanto, quanto suaso, cioè abbellito, dolce, piacente, dilettoso), e questo pensiero... se ne gia spesse volte a' piè del Sire di costoro a cui io parlo, ch'è Iddio; cioè a dire, ch' io pensando contemplava lo regno de' Beati'. Or che la nuova donna, che quel pensiero soave facea 'fuggire', portasse a celestiali contemplazioni, a mistici rapimenti (cfr. Conv. 2, 8, 48 ), non pare; nè pare che il poeta alle mistiche contemplazioni désse, almeno per figura, meno valore che alle disputazioni dei filosofanti; se egli, lasciata stare la nuova donna, a Beatrice ritornò e alla contemplazione del regno dei beati. So bene che del cielo e degli angeli e dei beati nel Convivio qualcosa si tocca, ma quasi di sbieco, e più per incidenza che di proposito. Il dono veramente di questo Commento, dice il poeta (1, 9, 48), è la sentenza delle Canzoni alle quali fatto è, la quale massimamente intende inducere gli uo

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La materia del Conv.

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mini a scienza e a virtù'. Il primo trattato è proemio all'opera; il secondo parla del contrasto; il terzo è lode della filosofia; nel quarto si ragiona della nobiltà, o, come il poeta preannunzia (1, 9, 55), come la vera nobiltà è seminata', e (3, 7, 144) come la

natural semenza si fa',

e (1, 1, 120) come 'certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra '; nel settimo si sarebbe detto (4, 26, 65) quanto' piacere' ricevette Enea da Dido; nel quattordicesimo si sarebbe ragionato (1, 12, 86; 4, 27, 100) della giustizia, e si sarebbe mostrato (2, 1, 34) perchè il linguaggio allegorico fu trovato 'per li savi'; nel quindicesimo ed ultimo trattato il poeta si proponeva di ragionare (1, 8, 128)' per che si caro costa quello che si,priega ', e in esso si sarebbe potuto vedere (3, 15, 142) che le virtù' talvolta per vanità o per superbia si fanno meno belle o men gradite' ('). Certo qualche digressione che risente dello studio che il

(4) Il Biscioni (Pref. 22), supponendo che il Convivio dovesse avere un trattato finale per conclusione di tutta l'opera', stimava ch'essa sarebbe stata in tutto di sedici Trattati'. Certo non avvertì che penultimo trattato sarebbe stato il quattordicesimo (cfr. Conv. 1, 12, 87; 4, 27, 101). E forse a codesta svista contribuì l' altra sua supposizione (che poi fu anche del Selmi, del Casini e di molti altri) che, dopo la canzone della nobiltà, terza del Convivio, il poeta intendesse commentare undici canzoni sopra le undici virtù morali di Aristotele (cfr. Conv. 4, 17, 28); o forse a questa sua supposizione ei venne a cagion di quella svista. Ma il conto tornerebbe col calcolo del Biscioni; giacchè alla giustizia, ultima nella enumerazione aristotelica, egli assegnava il quindicesimo trattato; non torna più se consideriamo che della giustizia si sarebbe ragionato invece nel quattordicesimo; e molto meno poi se consideriamo che bisognerebbe forse fare un po' di posto anche alla 'Prudenza, cioè Senno', che ben si pone... per molti essere morale Virtù ' ( Conr. 4, 17, 77). A codesta immeritamente fortunata ipotesi del Biscioni e del Selmi, obbietta anche lo Zingarelli, Dante, 393.

poeta avea fatto o faceva per glorificar Beatrice, non toglie nulla al carattere di questo libro che dovea svolgere l'episodio della Vita nuova e commentare quelle rime che a quell' episodio intendeva il poeta riferire. Ed è pur notevole che appunto sotto gli auspíci della nuova donna il poeta, ragionando del latino e del volgare, promette (1, 5, 66) un libro di Volgare Eloquenza; e che pur sotto il suo governo egli tocca qualcosa (4, 4,) di quella materia che poi svolgerà nel De Monarchia ('). Tutto insomma. cospira a mostrar che il poeta volesse con le sue figurazioni insinuare che dalle mistiche contemplazioni egli fosse passato a cogitazioni che non aveano per fine diretto la vita futura; e che l'amor delle presenti cose' lo avesse distolto dalla visione gloriosa di Beatrice.

Nè la beata mensa' a cui egli allude nel Convivio (1, 1, 68), è forse, come par che intenda lo Scarano, ' la filosofia del cielo', 'il filosofare dei beati'; ma è la mensa di coloro che si cibano di dottrina, ' pane degli Angeli'; nè il pane degli angeli è, come par voglia poi G. Manacorda (Da S. Tommaso a Dante, Bergamo 1901: p. 9)' la scienza divina', 'la teologia o scienza di Dio'. Alla beata mensa sedeva certamente il suo maestro Aristotile (1, 9, 61); 'glorioso Filosofo, al quale la Natura più aperse li suoi segreti (3, 5, 55); 'Maestro della umana ragione' (4, 2, 138); 'Maestro e Duca della ragione umana ', ' degnissimo di fede e d' obbedienza' (4, 6, 71 e 50); 'ingegno quasi divino e Filosofo sommo' (4, 6, 133 e 156); Mae' stro dei Filosofi' (4, 8, 141); 'Maestro della nostra vita' (4, 23, 81); ai piedi del quale il poeta certo avea ricolto la maggior parte delle briciole e dei rimasugli ch' ei nel suo convito imbandisce, mosso dal desiderio di dottrina

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(4) Per le recenti discussioni intorno alla cronologia del libro, vd. Bull. ns. 8, 240 ss; 9, 26 ss 149 ss 279 ss; Rass, bibl. 11, 54,

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dare' (cfr. 4, 6, 137 e 143). Ma non coloro che primi seggono a quella 'beata mensa ', Aristotile, Platone, Boezio e Tullio, lo libereranno dalle tre bestie e dalla selva erronea di questa vita; nè la donna di questi autori, di queste scienze, e di questi libri' (2, 13, 38); ma Beatrice; e con Beatrice, non con la donna gentile, cioè con la filosofia, tornerà, nel mezzo del cammin di nostra vita', al pensiero soave, alla contemplazione del regno dei beati (').

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Ma lo Scarano osserva: 'stando appunto alle affermazioni del poeta, nel Convito reca subito maraviglia che Beatrice e la Donna gentile non sian più l'una contro l'altra armata come nella Vita Nuova: nel Convito esse hanno come fatta pace, pur occupando la Donna gentile un posto superiore a quello di Beatrice, e, dirò meglio, pur cedendo Beatrice il suo posto alla Donna gentile' (2). Nel

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(4) Nel Convivio Aristotile è citato 104 volte, Platone 15 volte, Boezio 14 volte, Tullio 24 volte; mentre 4 volte soltanto è citato s. Tommaso e 5 volte s. Agostino. Cfr. Ozanam, D. et la phil. 265 s; D'Ovidio, Studii, 263. Scrive il Gaspary (St. 1, 165): Benchè Boezio stesso fosse già cristiano, pure il suo pensiero filosofico era ancora quello classico; in lui noi abbiamo un' argomentazione solamente con i motivi della ragione, dai quali vengono derivati anche l'esistenza e l'essere di Dio; di premio e pena nell' altro mondo si può prescindere, il premio sta per sè nel bene, la pena nel male, giusta la dottrina della filosofia del paganesimo, e quando Boezio mentova inferno e purgatorio, questo avviene soltanto. per metterli da parte'. Intorno al libro di Boezio è degna di nota la bella pagina del Graf (Roma nella memoria e nelle immaginazioni del ME. Torino 1882-3: 2, 336).

(2) Anche lo Scrocca (Il pecc. 22) vode una conciliazione; ma per lui la subordinazione è inversa. Ed ho per fermo, egli afferma, che il Convivio è il libro non della umana scienza disgiunta dalla teologia (come è opinione dello Scartazzini), o inopportuna almeno e tale che valse in parte a distoglier Dante dal suo proposito di colebrar Beatrice (come è espressa opinione del D' Ancona ); ma della umana scienza conciliata già con Beatrice, anzi fatta soggetta, e ri.

Convivio, a onor del vero, la donna gentile, la filosofia, è anzitutto, come abbiamo veduto, un pensiero 'avverso' al pensiero di Beatrice, al soave pensiero della mistica con

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cercata appunto in servigio di quella, che nel pensiero di Dante era salita a simbolo altissimo'. Ma non è cosa molto facile veder chiaro nella ricostruzione del critico (cfr. pp. 4, 35, 38, 40). Sbrogliata un po' la matassa, forse abbiamo: Dante si straniò almeno tre volte da Beatrice; una volta quando, morta Beatrice, si diè in preda a vani e disonesti amori donneschi'; un' altra volta quando, ai nuovi studi incominciati per consolarsi della morta Beatrice, egli si diede tutto con esclusiva cura'; una terza volta quando si applicò a una dottrina filosofica disforme in parte dalla teologia'. Nella Commedia di codesto trinomio abbiamo il primo termine e il terzo, un binomio molto semplice: peccati di lussuria (Purg. 30 e 31) e dottrina filosofica disforme (Purg. 33, 85 ss ). La Vita nuova e il Convivio ci dánno invece notizia, come di cosa passata, dello straniamento che noi abbiamo classificato secondo, oblio della donna per l'amore alla filosofia. Niun dissidio, dunque, conclude il critico, so non passeggero è nel Convivio (e però anche nella Vita Nuova se si creda alla allego. ria della donna gentile) tra la filosofia e Beatrice; e questa ultima, non nell' aspetto di teologia; e quel dissidio stesso è compensato nel Convivio da un ragionevole accordo tra la nuova scienza e Beatrice, non obliata più come donna, e inchinata omai come simbolo'. Lasciando stare che non si vede bene come mai nella Commedia non si faccia cenno alcuno dello straniamento di cui tanto si parla nelle due opere che con la Commedia hanno così stretto legame; osserviamo che neppure è molto chiaro perchè mai nella Vita nuova il poeta, che avea da rimproverarsi gli amori vani e disonesti, dovesse far tanto caso del breve oblio della donna per l'amore alla filosofia. Scrive il Foscolo (Disc. sez. 20), non certo dello Scrocca: Così a me pare ch' egli guardandosi dai falsi sentieri battuti dagli altri, n' abbia spianato de' nuovi più tortuosi; e come cavaliere errante, ei si trova nella selva incantata faccia a faccia co' suoi rivali, senza veder più lume a duellare'. Lo Zingarelli (Dante, 520) dice che, mentre l'amore della sapienza, filosofia, è nel Convivio rappresentato come diverso da quello di Beatrice subentrato ad esso '; 'nella Commedia Beatrice si prende le parti della « donna gentile », ossia della sapienza stessa. Il progresso artistico' della mente del poeta sarebbe

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