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chiamata la donna gentile. Si ricorda bensì nelle rime la sua 'beltate' ( VN. 12, 79; 14, 64; 26, 56; 33, 41 ), è chiamatabella gioja' (15, 23), è detto che 'Per esempio di lei bieltà si prova' (19, 66); ma potrebbe non esser la stessa cosa. Di Beatrice nella prosa c'è soltanto che il poeta immaginava 'la sua mirabile bellezza' (15, 12 ) ; e nella divisione della canzone Donne ch' avete si legge, che il poeta in essa canzone dice 'd' alquante bellezze, che sono secondo tutta la persona' e 'd' alquante bellezze, che sono secondo determinata parte de la persona ' ( 19, 116 ). Quanto al resto, Beatrice è 'gloriosa donna' (1, 4), ' donna della salute' (3, 13), 'gentilissima salute' ( 11, 13 ), ' mirabile donna' (14, 32), e mirabile Beatrice' (24, 18), e 'nobilissima Beatrice' (22, 4), e 'anima bellissima' (23, 61), e spesso 'gentilissima donna', o semplicemente 'gentilissima'. 'Donna di molto piacevole aspetto' è la donna del primo schermo (5, 5); e' gentile donna... di famosa bieltade'è Giovanna (24, 13). Comunque, che nei versi citati non vi sia descritta nessuna fase del primo. amore del poeta, sarà chiaro, io spero, a chiunque voglia considerare che Beatrice nella Vita nuova non si offre mai apportatrice di pace al cuore del poeta. Nè si saprebbe d'altra parte, donde cavare che il poeta attendea 'conforto' da Beatrice; e neppure s'intenderebbe, riferita a Beatrice, la conquista con promesse mendaci, e il subito abbandono.

L'anima del poeta che n' attendea conforto, non rivedendo più la vittoriosa vista della bella donna, e vedendo il cuore, a cui era sposata, quasi morto; se ne va innamorata piangendo fuori di questa vita, e si lamenta d'Amore che fuor d' esto mondo la caccia (vv. 22 - 42 ). La bella donna, la cui immagine siede sù nella mente ancora, e che vie più lieta par che rida, alza gli occhi micidiali e grida contro l'anima: Vatten, misera, fuor,

La canz. E m'incresce di me

vattene omai' (vv. 43-51). Certo, codesti

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occhi mici

diali' ben si convengono alla 'disdegnosa e fera' donna del Convivio; e l'attitudine della bella donna verso l''anima' può ben richiamare l''avversario della ragione' della Vita nuova.

Ma qui sorge una gravissima difficoltà. Il poeta, dopo le testè ricordate crudeli parole rivolte all'anima' dalla bella donna, segue nella quinta stanza così:

Lo giorno che costei nel mondo venne,

Secondo che si trova

Nel libro della mente che vien meno,

La mia persona parvola sostenne

Una passion nuova,

Tal ch'io rimasi di paura pieno :

Ch' a tutte mie virtù fu posto un freno

Subitamente sì, ch' io caddi in terra

Per una voce, che nel cor percosse.

E (se'l libro non erra)

Lo spirito maggior tremò sì forte,

Che parve ben, che morte

Per lui in questo mondo giunta fosse:

Ora ne incresce a quei che questo mosse.

Qui senza dubbio, il poeta parla di Beatrice; e vi è, più che un richiamo, un compendio del lungo paragrafo con cui comincia la narrazione della Vita nuova; ed anche un assai palese riferimento alle parole del Proemio, ' In quella parte del libro de la mia memoria ... si trova una rubrica, la qual dice Incipit vita nova'. Non mi par verosimile che la prosa del libello sia molto posteriore amplificazione di codesti versi. Certo, se vero innamoramento a nove anni vi fu, non fu quello narrato nella prosa e nei versi; e non è ragionevole supporre che, prima della morte della donna amata, il poeta idealizzasse tanto quel suo puerile primo incontro, da concepire la solenne fantasia apocalittica della Vita nuova e della canzone. Ma quel' costei' del

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primo verso della stanza, a chi deve riferirsi ? alla bella donna', o all'anima', cacciata da Amore fuori di questo mondo? Riesce infatti un po' duro, sebbene sintatticamente possibile, non riferire il costei' alla stessa bella donna di cui parlano le stanze precedenti. Ma, se si considera che il poeta nella Vita nuova e nel Convivio, come abbiamo già accennato, par che voglia identificare la Beatrice con l'anima, non si troverà strano che quel' costei si riferisca appunto ad 'anima'. Certo, che in codesta quinta stanza non si parli della donna micidiale da cui il poeta attendea conforto, si vede chiaro dalle parole che seguono nella stanza sesta; nella quale il poeta passa a narrare il suo secondo innamoramento, ritornando alla bella donna delle prime quattro stanze della canzone.

Quando m' apparve poi la gran beltate,

Che si mi fa dolere,

Donne gentili, a cui io ho parlato,

Quella virtù, che ha più nobilitate,

Mirando nel piacere,

S'accorse ben, che 'l suo male era nato:

E conobbe 'l disio ch'era criato

Per lo mirare intento ch'ella fece.

Sicchè piangendo disse all' altre poi:

Qui giugnerà in vece

D'una ch' io vidi, la bella figura,

Che già mi fa paura;

E sara donna sopra tutto noi,

Tosto che sia piacer degli occhi suoi.

Codesta grande beltate, codesta bella figura, che apparve poi, che prese il luogo d' un' altra, non pare assolutamente sia la Beatrice, della quale si narra l' innamoramento nella stanza precedente. E quel dire che l'intelletto, mirando nel piacere', conobbe che il 'disio' era nato dal 'mirare intento della bella donna; e quel dire che tutte le virtù s'aspettavano di esser signoreggiate quando aves

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sero voluto gli occhi di lei (cioè, le sue dimostrazioni, come si spiega nell' opera temperata e virile); ben pare che accenni alla dolce consolatrice della Vita nuova e del Convivio, a colei di cui il poeta s' innamorò appresso lo primo amore. Nella tornata infatti, egli perdona

a quella bella cosa

Che men n'ha colpa, e non fu mai pietosa (1).

La qual conclusione, sottilmente considerando, pare gel ch'ogni uomo sganni.

sia sug

12.

Non si ha dunque ragione alcuna per negar fede alle dichiarazioni del Convivio; le quali, anzichè abbujare o sconvolgere l'episodio della Vita nuova, vengono molto a proposito, non derogando a quella narrazione, a dichiararla e a toglierle quelle contradizioni e inverosimiglianze che, intesa alla lettera, essa offrirebbe.

Ed invero, è forse quell' episodio così semplice e naturale da ricever nocumento, anzichè giovamento, dalle proteste e spiegazioni del Convivio? In mezzo a tanto scompiglio d'ipotesi dotte, a si disperato parapiglia di congetture argute, o perchè non sarebbe egli lecito di guardar la cosa un po' alla buona, con la fida scorta del senso comune? Giacchè, anche il buon senso potrebbe aver bene onorevole parte nell' esegesi del libello dantesco. E si veda un po', quale uomo di giudizio, anche concedendo gran parte all'esagerazione poetica, possa sentir tanto scrupolo di essersi lasciato a ventisette anni vincere da un' inno

(1) Così stampa il Giuliani (La Vita Nuova e il Canzoniere, Firenze, Le Monnier, 1885). Altri, Che men' ha colpa e non fu mai pietosa'.

cente passioncella intenzionale, da guiderdonarne ben bene gli occhi col pianto; quale uomo di senno possa sentir tanto orrore dell' amor platonico di alquanti giorni per una donna gentile, pietosa, bella, giovane e savia, da adonestarlo per timore d' infamia. D'altra parte, quale amore avea mai sentito o dimostrato Beatrice, perchè il poeta dovesse o potesse sentirsi tanto obbligato alla memoria di lei? Codesta gloriosa donna della mente, codesta gentilissima salute, per alquanti anni lo avea, ben è vero, beatificato col suo dolcissimo salutare; ma poi gli negò anche codesta magrissima sodisfazione, ed egli allora ripose tutta la sua beatitudine nel cantarne le lodi. Una volta in compagnia di certe donne, si gabbò di lui la gentilissima; e appunto quando egli entrava nella gioventù, mori la gloriosa, lasciando vedova e dispogliata un' intera città, ai magnati della quale il poeta scrisse in quell' occasione un' epistola latina con un cominciamento di Geremia. Concesso pure che la realtà di codesto amore non si possa negare, perchè molti critici pare che di tali passioncelle abbiano esperienza particolare; come mai codesto strano amore poteva aver tanta efficacia oltre la tomba, da far riprovare come vile e malvagio ogni altro onesto e gentile pensiero che ad esso, dopo tanto tempo, si sostituiva? Ne sarebbe il caso di pensare a quel che nella Vita nuova non c'è, ma di considerar diligentemente quel che nella Vita nuova il poeta volle che pur ci fosse. Certo, se non molto convenienti, molto sennate sono le parole di Vittorio Imbriani (Studi dant. Firenze 1891: p. 429), che, sebbene dette ad altro proposito, io voglio qui riferire. Dato anche e non concesso, che Dante avesse difatti amato nella infanzia e nell' adolescenza, molto buffonescamente, una Bice qualunque, che vergogna ci sarebbe, per lui, nello aver amata, dopo la morte di costei, un' altra femmina? O che siamo infeudati in perpetuo alla prima pettegola, che ci fa bat

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