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A che dunque vado io battendomi il fianco per maraviglia nell'udire il frastuono di guerra, e nel mirare le falangi nemiche rovesciarsi come torrenti sulle province? La fortuna muta soggiorno, e i nemici, a guisa di bagaglioni e saccomanni, sulle spalle la portano altrove. Evvi forse privato cittadino che si traslati dall'antica dimora senza strepito di carri e tumulto di portatori? E le fortune delle province e dei regni passeranno altrove soavemente e senza romore?

Nè io darommi qui la briga di accusare o gli stolti consigli de' regnanti, o l' insolenza de' magnati, o la discordia de' governatori, o la vigliaccheria de' soldati, o le sedizioni de' sudditi. Codesti non sono che stromenti nelle mani di Dio, per far trasmigrare la felicità dagl' imperi a punizione dei delitti dei popoli. Le loro malvagità resero forte il braccio de' nemici: Peccatis enim nostris barbari fortes sunt, al dire di S. Girolamo; e pel puzzo delle ree fellonie de' soggetti, Dio talvolta sbalza i santissimi Re dai troni, e li sbandisce dai loro reami. Son esse le nostre scelleraggini che tolgono il consiglio ai Re, il senno ai ministri, la fortezza ai soldati, la concordia ai cittadini. Essendo adunque tutti cotesti disastri le sferze, colle quali Dio a nostro gran bene, e con tutto diritto, e per nostro gran merito ci percuote, null'altro ci resta che piegare umilmente la fronte, e baciare senza mormorazione quella giusta e paterna mano, che ci flagella. Poichè è verissimo quello che dice S. Agostino: Saevire videtur Deus cum ista facit; ne metuas, numquam sic saevit, ut perdat. Quando male vivis si parcit, plus irascitur. Omnes istae tribulationes flagella sunt corrigentis, ne sit sententia punientis 1.

1 In Ps. 65.

CAPO X.

Che ciascuno dee vivere contento
del proprio stato.

Avendo le cose, che avvengono fuori di me in pubblico od in privato, assestale e, secondo le viste ammirabili della divina sapienza, ordinate e composte di tal sorta, che resto appieno capacitato del giusto e retto loro procedimento; entro finalmente in mia casa per vedere onde procedano tante turbazioni, che me la mettono tutta in iscompiglio. E chiamati i miei pensieri a raccolta, e fatto lor cenno di calmarsi, dissi: -Olà burbanzosi, che fare è il vostro? E donde tanto cruccio? E perchè si torvi e irrequieti? Chi v' ha posti in sì fatto bollimento e v' ha fatto venire a sì furiosa battaglia? Cessate una volta! Ricomposto a gran fatica l'ordine e la pace riavuta, veggo, mirando le cose con occhio tranquillo, che sì matto trambustio ha sua origine nella scontentezza che ho di me stesso. E mi pare che sarei dovuto esser ben altro da quello ch'io sono; nè io a me piaccio, nè ch' io mi sia quello che sono punto mi piace: e qual maraviglia adunque se nulla va a grado di colui, che non aggrada a sè stesso?

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Per isvellermi adunque dall'animo codesta acuta spina, che sì angosciosamente trafiggemi, usai di tale argomento. — Di' un po' qua, carissimo, e perchè, omicciattolo da nulla qual tu sei, t' è egli entrato il ruzzo d'opporti alla saggissima legge di Dio, quasi che ella t' avesse dovuto impastare di più nobile creta che non sei? Oh avevi tu forse qualche diritto precedente, perchè dovessi nella natura delle cose esser posto innanzi a tutti gli uomini possibili, i quali non avranno giammai altra esistenza, che quella d'esser in Dio eternamente presenti alla sua scienza delle cose possibili a crearsi? Non sei tu, come da nobilissima forma, emanato da quel sovrano intelletto? Non t'ha egli, per dir così, sull'immensa tela del mondo disegnato e dipinto, e postoti in quella condizione, in cui al presente ti trovi? BRESCIANI Vol. I.

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Tu se' gracile, malaticcio, tapino, oscuro, re o mendico, signore o servo? Qual tu ti sia, il sei per Dio: Unusquisque enim proprium donum habet a Deo 1. Egli t'ha voluto così, egli per le cui mani e per la cui voce se' quel che ora sei; avvisando egli per sì fatto modo che la sua gloria ne fosse magnificata.

Dimmi, non sarebbe egli da ridere piacevolmente se i putti, che il pittore mette in iscorcio sul quadro, e con poche botte di pennello abbozza quasi perdentisi nelle ombre o nel lontano della prospettiva fuggenti, gridassero al maestro: - Ohe là, che modo è il tuo? Intingi ne' colori più vivi, dacci miglior aria e tocchi più risentiti, che ci cavin fuori dal buio, e fanne danzare vispi e brillanti anche noi sul dinanzi, colle figure che vi grandeggiano nel primo lume? Parti egli bene di rappiccinirci sì meschinamente e farci perdere tra le sfumature del campo? Che se il pittore non è tenuto di render ragione a' suoi putti, com'egli adopera nell'arte sua, e quali ombre e qual luce gli bisogni per dare al suo quadro i risalti, e le fughe, e le posture, e gli andamenti ch' egli s'è proposto; Dio sarà poi tenuto di farlo colle sue creature?

§. I.

Che Dio scelse lo stato convenientissimo a ciascuno.

Hanno forse gli uomini ad esser tutti re, tutti ricchi, tutti eccellenti? Eccoti la simmetria del mondo ita in disordine. Che monta se in questo grande teatro io m'abbia a rappresentare piuttosto una parte che un'altra, s' io dal mio canto la rappresenti con sì bella grazia, che debba spiccarne l'arte del sommo maestro? Osservo inoltre che Dio, bilanciata sottilmente ogni cosa, conobbe nella sua sapienza che la condizione, in cui mi pose, è quella che appuntino mi si conviene, e può guidarmi meglio di ogni altra all' eterna salvezza: laddove in altro stato io forse non sarei giunto a salvarmi; e certo non gli avrei procurato quel grado speciale di gloria, che egli esi

1 1. Cor. 7.

ge da me. E perchè dunque a sì alta provvidenza non m'appago, e co' più devoti rendimenti di grazie non l'adoro?

Avviserò forse io ch'egli, il quale tutto sì ben regge, e a peso e a misura divinamente ogni cosa dispone, abbia errato riguardo a me solo? E che quegli, che una minutissima formica non crea, senza avere con somma squisitezza osservato e provveduto quanto alla natura di sì picciola bastiolina conviene; a me poi, per cui tutte le cose ha creato, neghi quanto al mio maggior bene ed alla sua maggior gloria conduce? Sarei ben forsennato se m'entrasse in capo sì reo sospetto! Laonde propongo di quinci appresso non più turbarmi a questo proposito; anzi con soavissima pace del cuore dirò a me medesimo: Quel ch' io mi sia, sono da Dio; e solo per esser di Dio son quel che sono. E mi sta bene l'esser così; nè, se potessi, vorrei esser altrimenti da quel ch' io mi sia, per non oppormi a tanta sapienza.

CAPO XI.

Che chi è contento del suo stato, dee tenersi pago
eziandio di quanto a quello lo guidò.

S'io parlai costì sopra con lealtà dell' acconciarmi tranquillamente a quello stato, a cui sortimmi la divina provvidenza, egli si conviene altresì che gli tenga salda la fede promessa, coll'acchetarmi a pieno anche a tutti gli eventi, che a tale stato mi hanno condotto. Essi sono di due sorte, esterni gli uni, interni gli altri. Gli esterni riguardano i parenti', la patria, l'educazione, la morte de' congiunti, il favore degli amici o l'invidia degli emoli, la nobiltà o l'oscurità de' natali, la fortuna prospera o avversa. Gl' interni spettano alle doti dell' animo o del corpo; come l'aver ingegno svegliato o pigro, spiriti alti o miseri, cuor magnanimo o pauroso, memoria tenace o labile, membra robuste od inferme.

Perchè fin ora mi turbai follemente intorno a sì fatte cose, senza por mente alle viste e alle disposizioni di Dio? Appunto per avermi egli nella sua provvidenza disegnato ad una con

dizione mediocre, volle ch' io nascessi da poveri genitori, ai quali fosse tolto il potere di farmi educar gentilmente ed a più nobili studii applicare. Dio stabilì ch' io mi guadagnassi la vita col sudor del mio volto e coll'opera delle mie mani; e però diemmi ignobile schiatta, e volle che indurassi la mia fanciullezza faticando in un' officina d'artiere, spintovi da necessità o dall' esempio del padre. Quindi agevolmente mi resi famigliare la mia sorte, mentre balzatovi per traversìa di fortuna, me la sarei recato ad intollerabile angoscia. Se Dio mi volea popolano, potea egli condurmi a codesto stato con maggiore soavità? E a che pro dunque gitto lamenti e guai, se morte immatura m' ha tolto il padre, che potea levarmi in istato, o se mi si niega il favor dei potenti, o se ho perduto la lite, o se la mala ventura mi si attraversa per tutto? Dio mi vuole plebeo, povero, abbietto; io bacio i miei cenci, godendo d' essere alla mercè di Dio, che mi governa. Tranquillati dunque anche tu, se hai senno, a quegli eventi che ti condussero a quello stato, nel quale ora ti trovi.

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At durus hic sermo! È duro, agro e mordente di molto. Non è dunque più lecito, secondo il tuo dire, di cercar miglior sorte, e torsi a miseria, e sorgere dalla polve, usando oneste arti e giusti partiti? Oh s' ha egli a morire nel lezzo, e come i vermini strisciare nel fango, o come l'uccello impaniato non tentare di stricarsi per volare liberamente? L'uomo tende a grandezza, perchè d' alti spiriti e di nobile e libero ingegno: tu lo avvilisci con tua dottrina e gli snervi il vigore.

Sì eh? ma io non t'ho mai vietato di cercare d'avvantaggiarti onestamente; bensì ti dico, che non dei perdere la tua pace, se qualora tu abbia posto in opera i convenienti mezzi per riuscire al tuo intento, non fosse poi volere di Dio che tu vi giunga; poichè s' egli non vuole, puoi rimescolar cielo e terra, non ti leverai un dito dal luogo ove ti pose.

Nè volere puranco mover lite a Dio, rispetto alle qualità dell'animo o del corpo, ch' egli ti concedette, non lagnandoti punto della rozza tempera del tuo ingegno, o delle non graziose fattezze del tuo volto, o di tua mal ferma salute; poichè Dio per cotali argomenti determinò di condurti a quello stato.

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