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mazza Czernin rassegnava le sue dimissioni. Un'ultima nota veniva lanciata da Vienna il 13 aprile: «Le ultime spiegazioni di Clemenceau non cambiano in nulla la verità delle dichiarazioni ufficiali pubblicate fin qui dal ministero imperiale e reale degli affari esteri. Il carattere del principe Sisto di Borbone, ben conosciuto dall'imperatore, esclude ogni possibilità di falsificazione. Nè lui nè alcuna altra personalità ne è stato ancora accusato. Siccome non è possibile al ministro degli affari esteri di stabilire dove la falsa lettera è stata sostituita alla vera, così non può che considerare l'incidente come terminato ». Era terminata anche la carriera del conte Czernin!

Così si chiudeva miseramente il tentativo di pace separata coll'Austria, tentativo che doveva colpire in primo luogo l'Italia, e di riflesso anche l'Intesa. Nascondeva esso un tranello o i principali attori agivano con un sentimento di sincerità e di lealtà? Alessandro Ribot ha scritto in proposito: «Ho sempre creduto che l'imperatore d'Austria fosse stato sincero nella dichiarazione che ha incaricato suo cognato, il principe Sisto, di farci; che, intraprendendo con noi delle conversazioni di pace agiva di sua iniziativa senza essersi messo precedentemente d'accordo coll'imperatore di Germania. Non giurerei per altro che Guglielmo II non avesse avuto alcuni sospetti dei progetti del suo alleato e che non abbia avuta la curiosità di vedere ciò che potrebbe uscire da una conversazione segreta tra Carlo I e il presidente della repubblica francese ». Ed ancora: «È certo che nel 1917 l'opinione dei governi alleati era piuttosto favorevole all'idea di mantenere un impero d'Austria-Ungheria. Il giovane imperatore, che era asceso sul trono degli Absburgo, poteva approfittare di questa disposizione trattando con decisione e franchezza cogli alleati. Aveva della buona volontà ma non era all'altezza per dominare una situazione

difficile come la sua. Come separarsi dalla Germania che faceva di tutto per immischiare le sue truppe a quelle delle sue alleate per rendere più difficile ogni azione indipendente dell'Austria-Ungheria ?» (10). In una cosa era indubbiamente sincero Carlo d'Absburgo: nel desiderio di porre termine alla guerra salvando i suoi Stati. La pace che vagheggiava era una pace bianca. Voleva trattare colla Francia e coll'Inghilterra lasciando in disparte l'Italia. E se acconsentiva a cedere il Trentino di lingua italiana, reclamava per questa cessione un compenso. Non si spingeva nemmeno sino al « parecchio » giolittiano anteriore al nostro intervento. Per rapporto alla Serbia, dall'ultimatum alla quale fu originata la grande guerra, era esitante se riconoscere o no l'indipendenza e il mantenimento della sua dinastia: tendeva alla creazione di un regno jugoslavo che avrebbe dovuto comprendere la Bosnia-Erzegovina, la Serbia, l'Albania, il Montenegro sotto la corona imperiale. Un arciduca austriaco avrebbe presa la corona al posto dei Karageorgevich. In altre parole nel 1917 il pacifico Carlo d'Absburgo faceva suo il programma dell'assassinato di Seraievo, Francesco Ferdinando, il così detto programma trialistico, inteso ad attuare il pancroatismo a detrimento della Serbia. Poneva come condizione alla pace quello che nel 1914 aveva determinato la monarchia degli Absburgo a passare il Rubicone e che solo la vittoria degli imperi centrali avrebbe potuto far raggiungere. Sincerità questa? Sincerità nei margini della pace? È assai difficile di rispondere affermativamente. Dove poi apparve tutta l'anima dell' Absburgo fu nell'accusa rivolta all'on. Sonnino e al Re d'Italia di aver sollecitata la pace separata coll'Austria, mediante la cessione del Trentino di lingua italiana. Fortunatamente la lealtà di Sonnino e il suo contegno energico, intransigente, a San Giovanni di Moriana mandarono a monte gl' intrighi di Carlo e del « caro Sisto »; di

versamente la fine della guerra avrebbe potuto avere conseguenze completamente opposte.

L'atteggiamento assunto dal conte Czernin di fronte a Clemenceau e alla Francia non poteva essere più sintomatico. L'offerta di pace separata dell'Austria nel 1917 è stata l'insidia più pericolosa superata dall'Intesa. Giustizia vuole che si dica che se questa fu sventata lo si dovette all'atteggiamento energico del ministro degli affari esteri italiano, on. Sonnino.

(1) Prince Sixte de Bourbon: L'offre de paix séparée de l'Autriche. Plon, Paris.

(2) Vedi l'Opinion del 10 gennaio 1920: Une page d'histoire inconnue. La mission secrète du Prince Sixte de Bourbon.

(3) Vedi: Le vrai danger autrichien nel « Correspondant » del 10 gennaio 1916.

(4) Alexandre Ribot: Lettres à un ami. Souvenirs de ma vie politique. Editions Bossard, Paris, pagg. 271-272.

(5) Alessandro Ribot. Opera citata, pag. 280 e seguenti.

(6) Journal des Débats, 11 ottobre 1917.

(7) Journal des Débats, 9 dicembre 1917

(8) Journal des Débats, 6 dicembre 1917.

(9) Journal des Débats, 4 aprile 1918.

(10) Alessandro Ribot. Opera citata, pagg. 266-67.

XII.

LA RIVOLUZIONE RUSSA

La rivoluzione russa non poteva non avere gravi ripercussioni sul corso della guerra. Era evidente che gli imperi centrali avrebbero cercato di trarne vantaggio, sia a mezzo di una pace separata, sia privando l'Intesa, in qualunque modo, dell'appoggio del moscovitismo. Senza parlare dell'Austria-Ungheria che si aggrappava a qualsiasi scoglio pure di salvarsi dallo sfacelo, gli uomini più avveduti in Germania erano d'avviso che convenisse fare rapidamente la pace. Il generale von Falkehayn aveva considerata la guerra come perduta per gli imperi centrali dopo la battaglia della Marna. Il massimo che si poteva sperare era di stipulare una pace bianca per riaprire la partita in condizioni migliori. Al Quartiere generale tedesco si dava invece ancora come sicura la vittoria degli imperi centrali e non si voleva sentire parlare di pace prematura, di pace zoppicante. La rivoluzione russa doveva anzi colla guerra sottomarina ad oltranza far sperare in una sconfitta dell'Intesa.

Prima ancora che lo Czar fosse rovesciato dal trono, i tedeschi avevano fatto assegnamento sulla

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