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parte di soldati che sfogavano il loro livore «evangelico» di preferenza contro i sacerdoti sotto pretesto che fossero dei franco-tiratori; ma à la guerre, comme à la guerre; poichè la Germania aveva sguainata la sua spada per completare l'opera di Bismarck, Mattia Erzberger e i suoi amici mettevano innanzi la Russia ben sapendo che costituiva il punto debole e che il Sacro Collegio doveva essere inclinato ad accettare il punto di vista del Mémoire.

Più tardi i cattolici francesi raccoglievano il guanto colla pubblicazione del volume : « La Guerre allemande et le Catholicisme » (3). Noi avremo occasione di ritornare più ampiamente sopra questo argomento; ma ciò che importava sottolineare era il fatto che prima, durante e subito dopo il Conclave, i belligeranti, sotto il manto della religione, cercavano di creare delle atmosfere favorevoli alla propria parte nel Sacro Collegio prima, attorno al nuovo Gerarca del cattolicismo, dopo. Questi era stato scelto nella persona del cardinale arcivescovo di Bologna che era stato in cura d'anime, dopo aver passato parecchi anni alla scuola del cardinale Rampolla del Tindaro e di Leone XIII. I tempi erano difficili ed occorreva che sulla Cattedra di Pietro sedesse un Pontefice che non fosse estraneo alle sottigliezze della diplomazia. Benedetto XV non doveva tardare a trovarsi di fronte a un compito oltremodo difficile e quasi

sovrumano.

(1) Jean Maxe: De Zimmerwald au Bolchevisme, ou Le triomphe du marxisme pangermaniste, - Paris, Bossard, 1920.

(2) Vedi: Mattia Erzberger: Erlebnisse im Weltkriege - Stuttgart und Berlin, 1920.

(3) Vedi: La Guerre allemande et le Catholicisme - Paris, Bloud et Gay,

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persistente rimase sulla breccia gridando: pace pace, mentre la balda gioventù cadeva nei campi di battaglia. Alla vigilia del Conclave da cui doveva uscire eletto Pio XI, avendo io chiesto al cardinale Achille Ratti, arcivescovo di Milano una parola che scolpisse il Pontificato di Benedetto XV, Colui che alcuni giorni dopo doveva essere il suo successore sulla Cattedra di Pietro, s'esprimeva in questi termini sull'azione pacifica di Benedetto XV:

- È stato il Pontefice della pace. Sono pochi coloro che si sono resi conto delle difficoltà che dovette superare per rimanere fedele al suo programma pacifico e pacificatore. È stato molto criticato mentre infuriava la procella e sarebbe da meravigliarsi se fosse avvenuto il contrario di fronte ad interessi cozzanti tra di loro che dovette affrontare. Egli per altro non piegò mai. Più di una volta mi disse: «Vogliono condannarmi al silenzio. Il Vicario di Cristo non dovrebbe invocare la pace! Non riesciranno a sigillare il mio labbro. Guai se il Vicario del Principe della pace fosse muto nell'ora della tempesta! La Paternità spirituale ed universale di cui sono investito mi fa un dovere preciso d'invitare alla pace i figli che dall'opposta barricata si trucidano a vicenda. Sono e mi sento il Padre spirituale dei combattenti nell'uno e nell'altro aggruppamento. Nessuno potrà impedire al padre di gridare ai propri figli Pace, pace, pace ».

Queste parole che rispecchiavano l'animo di Benedetto XV, permettono anche di spiegare l'atteggiamento da lui assunto nella guerra. È innegabile che un tale atteggiamento, essendo in contrasto coll'azione bellica e cogli interessi diversi ispiratori dell'azione bellica, doveva essere diversamente apprezzato nel momento in cui più infuriava la lotta, ma chi vuole giudicare con serenità della linea luminosa seguìta dal vegliardo del Vaticano, deve porsi sullo stesso punto di vista che ha ispirata la sua

azione. La visione della guerra non è per tutti la medesima; essa varia a seconda della scuola cui si appartiene; e la stessa concezione cattolica suggerisce atteggiamenti diversi al Pontefice Sommo che abbraccia tutte le nazioni e al Vescovo defensor civitatis. Vediamo brevemente la cosa.

Enrico Corradini ha descritto lo stato d'animo in cui si trovavano le varie democrazie nei paesi dell'Intesa nel periodo anteriore al grande urto. Ecco le sue parole: « I lettori ricordano - così Enrico Corradini - che gl'italiani, i francesi e gl' inglesi avevano perduta la memoria del passato. Provenienti da storie millenarie cariche di ogni sorta di guerre e giunti ai primi d'agosto del 1914, erano come neonati avanti il peccato originale e venivano colpiti da quell' << immane » flagello dacchè mondo era mondo. I lettori ricordano che l'unica guerra aveva un unico autore: l'imperialismo germanico. Per alcune sue goffaggini politiche e alcune sue efferatezze militari, quella nazione che godeva del privilegio di essere pervenuta all'apice di tutte le scienze, conservando la freschezza della sua barbarie, istigata dal suo agente di brigantaggio, il militarismo prussiano, stretta intorno al suo Attila, che era il suo loquace imperatore mercantile e mistico, aveva inventato la guerra, la crudeltà della guerra e la violazione dei trattati internazionali. Tanto la guerra, il militarismo, l'imperialismo non erano stati prima, che non sarebbero stati più, nè mai più avrebbero turbato il regno della pace e della giustizia, del diritto, del principio di nazionalità e della libertà dei popoli. Le quali ciance non sappiamo se trovassero credito presso le popolazioni; sappiamo che ne trovarono presso i loro conducenti che le diffondevano. Questa era la mentalità della borghesia di coltura, della borghesia

che fabbricava artiglierie e proiettili, della borghesia politica. Voi entravate nel gabinetto di un uomo di Stato, parlavate col valent'uomo e vi accorgevate che credeva, che mostrava quella oltremodo sgradevole cecità che altro non è in chi ha grado elevato od elevata funzione, se non inconsapevolezza generata dall'abito della stupida menzogna. I rari filosofi del buon senso che ancora sopravvivevano videro così arrovesciarsi un oceano di ridicolo sull'oceano di sangue dei due mondi. In realtà era stato sempre così. Nulla era cominciato colla guerra, tutto era continuato. Era continuato il pacifismo degli anni di pace. La democrazia aveva sempre creduto o fatto credere che «l'êra delle guerre », come dicevasi, fosse ormai << chiusa ». Voi affermavate che la natura umana non comporta con sè radicali mutamenti e che il pericolo permaneva che una guerra potesse nascere ? Il vostro intimo amico democratico, il deputato del vostro collegio democratico, il vostro professore dell'università democratico, leggermente sorridendo di voi e della vostra mentalità d'altri tempi, mallevavano :

L'êra della guerra è ormai chiusa! Voi osservavate loro che le guerre erano pure nate nel corso degli ultimi anni? Vi ripetevano: - L'êra delle guerre è ormai chiusa! E in realtà neppure le guerre contemporanee nella mentalità democratica erano state, tanto il pensiero democratico prevaleva sulle testimonianze dei sensi comuni. Nulla sono i fatti, tutto i miti. Gli Stati democratici disarmarono » (1).

Il quadro risente alquanto del pennello del nazionalista italiano, ma lo sfondo è vero. A questo quadro Enrico Corradini oppone la sua concezione diametralmente opposta additando la « causa prima della guerra nella volontà del mistero che forma la specie a così disporre. La dottrina spiritualistica mostra la guerra nella sua essenza di forza e mostra la sua funzione dinamica nel mondo umano. Mostra perciò la sua necessità». Tra le due concezioni della

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