Page images
PDF
EPUB

tutti i miei sforzi sono per la pace». Ne' suoi occhi si riflettevano la bontà e la sincerità. Il Papa conchiuse : «Io metto tutta la mia speranza nel popolo americano, nell'influenza che può esercitare nel mondo intero. Equa, imparziale e neutra, l'America, quando sarà venuto il momento d'iniziare le negoziazioni di pace, può essere sicura di tutto l'appoggio della Santa Sede. L'ho già fatto sapere al presidente da' suoi amici più eminenti ». Questo messaggio ebbe una cattiva stampa nei paesi dell'Intesa e particolarmente in Inghilterra. La cosa si comprende. Il Papa, le cui preghiere, i cui sforzi di tutti i giorni erano per la pace, non poteva parlare diversamente; è anche vero che i popoli dell'Intesa, ai quali sarebbe andato l'apporto dell'Italia e dall'America, quando queste fossero uscite dalla neutralità, non erano nelle condizioni d'animo di collocarsi nell'atmosfera che dettava le parole pacifiche del Papa; essi non scorgevano che l'effetto immediato di quel pacifismo, che appariva in contrasto coi loro interessi nazionali. Ma oggi che siamo in parte liberi delle atmosfere di guerra, possiamo giudicare più serenamente l'atteggiamento della Santa Sede, massime se riflettiamo che cosa significava pel Vaticano l'intervento dell'Italia in guerra.

Al di là del portone di bronzo si sapeva che gli imperi centrali, entrando l'Italia in guerra avrebbero, fatto della «questione romana » il punto principale delle loro recriminazioni, coll'intento di nuocere all'Italia, ma con lo scopo preciso di provocare l'urto tra il Vaticano e il Quirinale. D'altra parte non si deve dimenticare che la Santa Sede non aveva mai accettata la legge delle guarantigie e riteneva anzi che una guerra, in cui fosse implicata l'Italia, sarebbe stata la prova suprema della legge stessa. A monsignor Galimberti, Nunzio a Vienna, che doveva avere nel marzo del 1888 un colloquio a Berlino con Bismarck, in occasione dei funerali di Guglielmo I,

il cardinale Rampolla del Tindaro inviava le seguenti istruzioni: «Farà apportunamente rilevare il pericolo gravissimo che correrebbe il Papa ove l'Italia fosse impegnata in una guerra. Per mezzo di queste ad analoghe considerazioni dovrebbe Ella provocare delle dichiarazioni esplicite del Principe sulla attitudine Sua e della Germania di fronte all'Italia e al Papa allorquando la forza degli avvenimenti metterà sul tappeto la questione romana » (6). Filippo Crispolti scriveva correntemente: « Lo scoppio di una guerra in cui fosse mescolata l'Italia, sarebbe il terzo ponte dell'asino della legge delle guarantigie ». Era questa del resto la mentalità dei cattolici, prima della prova del fuoco. A guerra terminata, si può constatare che si poterono eliminare difficoltà gravissime che esistevano realmente, ma ciò non impedisce che, giudicandole in antecedenza, quali furono e quali potevano essere, non fosse naturale nel Capo Supremo della Chiesa l'invocazione: «Transeat a me calix iste ». Fortunatamente l'Intesa e l'Italia hanno vinto la guerra, ma noi abbiamo ancora viva nell'orecchio e nel cuore il grido di un giornale ufficioso viennese, la Reichspost, all'indomani di Caporetto contro l'unità italiana. Qualora la vittoria avesse arriso agli imperi centrali, quali sciagure si sarebbero rovesciate sulla « diletta Italia >> ed io penso anche, sul Papato! Contemplato da questo punto di vista il solo vero e rispondente alla realtà delle cose l'atteggiamento della Santa Sede favorevole al mantenimento della neutralità italiana non appare come l'espressione del favoreggiamento Vaticano degli imperi centrali, bensì si presenta come l'applicazione particolare del pacifismo generale della Santa Sede e la legittima preoccupazione del Supremo Gerarca di una religione mondiale, che temeva nella partecipazione dell'Italia al conflitto europeo nuove burrasche per la navicella di Pietro già scossa

[ocr errors]

-

dalle onde dei nazionalismi più accaniti che non soffrivano che il Pontefice fosse e si dichiarasse au dessus de la mêlée.

(1) Erzberger: Erlebnisse im Weltkriege. Stuttgar und Berlin, 1920, nel capitolo: Prima dell'entrata in guerra dell'Italia.

(2) Vedi il Journal de Bruxelles, 26 aprile 1923. La conversion d'un catholique germanophile. Lettre ouverte d'Emile Prümm à Mathias Erzber

ger.

(3) Der Tag, 1915, N. 30.

(4) Plülz: Hermann von Malinckrodt

bourg, 1901).

(5) Erzberger: Erlebnisse im Weltkriege.

II. ediz., pag. 392 (Fri

(6) C. Crispolti e Aureli: La politica di Leone XIII, da Luigi Galimberti a Mariano Kampolla. Roma Bontempelli e Invernizi 1912.

[ocr errors]
[ocr errors]

VII.

LA CAMPAGNA TEMPORALISTICA

L'entrata in guerra dell'Italia poneva alla prova dei fatti la legge delle guarantige, ossia la legge sulle prerogative del Sovrano Pontefice e della Santa Sede e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa. Votata il 13 maggio 1871 dal Parlamento italiano, essa costituisce uno statuto puramente unilaterale in quanto la Santa Sede s'è sempre rifiutata di riconoscerla. Le sue disposizioni essenziali concernono la sovranità personale, riconosciuta al Papa, l'extraterritorialità dei Palazzi Apostolici (Vaticano, Laterano e residenza di Castel Gandolfo), le immunità delle missioni diplomatiche accreditate presso il Vaticano e di quelle che accredita, l'inviolabilità della corrispondenza pontificia coll'estero. L'articolo 4 prevede a profitto della Santa Sede, che non se n'è mai prevalso, un'annuità di 3.225.000 lire a carico del governo italiano.

Prendendo l'Italia parte al conflitto, il Capo Supremo della cattolicità avrebbe conservato il diritto di restare in comunicazione coll'episcopato e i fedeli del mondo intero? La sua corrispondenza sarebbe rimasta inviolabile come al tempo di pace? Potrebbe

inviare telegrammi cifrati ai Nunzi nei paesi in guerra coll'Italia? Gli ambasciatori degli imperi centrali presso la Santa Sede avrebbero potuto continuare a risiedere in Roma? Gli stessi problemi sorgevano pel governo italiano, il quale doveva da una parte tutelare gli interessi nazionali e dall'altra fare onore alla legge delle guarantige che aveva decantato per mezzo secolo contro le opposizioni dei cattolici che prendevano le loro ispirazioni al di là del portone di bronzo: «Il governo italiano scrive il senatore Francesco Ruffini - ebbe la grande saviezza di non dare ascolto alla voce pur tanto autorevole di Francesco Scaduto, il quale nel 1915 invocava che almeno si sospendesse l'articolo undecimo della legge delle guarantige, che cioè si sospendessero le immunità diplomatiche agli inviati delle Potenze belligeranti presso la Santa Sede; perchè a lui sembrava certo che essi si sarebbero potuto avvalere della immunità per macchinare più comodamente contro di noi. Il governo si mantenne fedele alla tradizione liberale, di cui, contro la proposta dello Scaduto, si fece interprete eloquente in quell'occasione il più strenuo assertore della saviezza e della intangibilità politica della legge delle guarantige, Luigi Luzzati » (1). Non mancavano a destra e a sinistra gli intransigenti che avrebbero salutato con gioia l'urto tra il Vaticano e il governo reale. Sarebbero partiti i rappresentanti diplomatici dell'Austria, della Prussia e della Baviera accreditati presso la Santa Sede? Il governo fece sapere alla Segreteria di Stato, che, rispettoso degli obblighi imposti dalla legge delle guarantige, non domandava l'allontanamento di quei diplomatici. Il Vaticano parve lasciarli liberi. Questi invece trovarono che, malgrado tutta la buona volontà del governo, questo non poteva rispondere di eventuali molestie da parte della popolazione. Essi proposero quindi al Papa una cosa semplicissima: di poter trasportare le loro persone, i loro archivi nel Palazzo

« PreviousContinue »