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non negativa, in quanto cioè nulla contengono che ripugni alla fede e a' buoni costumi.

Non è pertanto cosa definita o di fede che il purgatorio sia sotterra, un luogo oscuro e sol pieno d'affanno, come sostenevano i Greci nel Concilio di Firenze, benchè sia da ritenersi, secondo i Latini, che nel purgatorio vi sia fuoco. Gli è per questo che l'Alighieri, senza offendere troppo l'opinione generale e la comune credenza del popolo cristiano, volendo pure non iscostarsi troppo da' placiti teologici, mentre concepì 'il purgatorio non sotterra, o ne' pressi dell'Inferno, ma alla luce del sole e nel luogo più lontano che sulla terra si desse dalla voragine infernale, formatosi per la caduta del Lucifero 1, non obliò di porvi il fuoco, e quelle pene purgative, che sono tutto quel più che la dottrina teologica per questo lato insegna.

Delle visioni oltramondane vere o fittizie dell'Inferno e del Purgatorio, come non si può negare che almeno alcune ne conoscesse, così ne fece quel conto e quell'uso, che a poeta e teologo, come lui, era lecito; il quale, più che all'esteriorità della forma, tutto inteso al concetto da esprimere, subordinò l'arte al pensiero, facendo gettito di tutto quello che di stravagante gli altri almanaccavano sull'oltretomba della purgazione delle anime, e compiendo il poco che ritenne colla ricchezza fornitagli dalla sua alta fantasia illuminata dalla scienza filosofica, teologica e scritturale.

III.

<< Dante, scrive il Graf, non fu il primo a far contigui il Purgatorio e il Paradiso terrestre: altri aveva già avuto la medesima idea 2. » E si citano la Visione del monaco Alberico, l'antico poema manoscritto della Vendetta di Cristo, la leggenda del Pozzo di S. Patrizio, la Visione di Tundalo,

1 Vedi E. COLI, Il paradiso terrestre dantesco, Firenze, 1897, pag. 191 segg. 2 Lectura Dantis, il Canto XXVIII, del Purgatorio; Firenze, Sansoni, 1902, pag. 6.

l'Andata di Seth al Paradiso terrestre, e qualche altra operetta medievale, dove il Purgatorio è sulla via che mena al Paradiso, ed è o una pianura tutta spine e triboli, ove un demonio, che cavalca un drago, insegue le anime, o un ponte stretto, e pericoloso, e irto di chiodi per cui convien passare, o una fossa che circonda il Paradiso, chiamato quando campo amenissimo, quando luogo di soggiorno precario, quando monte di gioia. Ma questo purgatorio è assai secondario e meschino, come lo dice il Coli; « non serve esso al Paradiso terrestre, nè questo serve al Purgatorio. Non ci ha quindi necessaria relazione di concetto tra l'uno e l'altro, che ne spieghi la contiguità, all' infuori della più ovvia ragione che, per giungere al cielo, conviene, chi non è mondo, passi pel Purgatorio.

Se questi esempi combaciano col disegno dantesco del Purgatorio, non bastano però per provare che di lì il poeta. s'ispirasse alla magnifica e sublime concezione della sua seconda Cantica. Il genio di Dante non poteva ivi trovar nulla che rispondesse alla sua grande idea, nè que' miseri cenni di contiguità del luogo di purgazione con quello della felicità segnarono la via a' grandi studi da lui intrapresi pel senso morale ed allegorico del sacro monte, « ove l'umano spirito si purga E di salire al ciel diventa degno ». Quando si rifletta come l'Alighieri pesasse ogni singola parte del suo edificio, perchè la profondità del pensiero sopravvanzasse l'intelletto dell'arte, inteso com'era, « forti cose a pensar mettere in versi » 3, non si negherà che per la concezione. complessiva del secondo regno dovesse con assai maggior diligenza e acume di mente andar cercando il disegno, ponderarne le ragioni, ordinarne i diversi fini, sicchè si appagasse non solo la fantasia, come meschinamente avveniva

Cf. GRAF, I. c., e Miti, leggende e superstizioni del M. Evo, Torino, 1892, 1, pag. 22, pag. 80, ecc. – COLI, Il Paradiso terrestre dantesco, pag. 140

e segg.

2 Op. cit. pag. 145.

3 Purg., XXIX, 42.

nell'altre visioni o leggende, ma e più la mente, sitibonda di verità. Se nell' Inferno dantesco regna l'allegoria, questa trionfa nel Purgatorio, e tocca il colmo quando il poeta, da pellegrino spettatore quasi inoperoso che era, diviene nel Paradiso terrestre un attore principale della scena e si accompagna con colei, per « veder la quale ha mossi passi tanti » 1.

«

Ivi << disbrama la decenne sete »; ivi tocca il fine de' suoi desiri e dove l'uomo è felice, non teme di nominar sè stesso, perchè là collimano tutte le linee delle prime due cantiche, e di là partono quelle della terza. Ivi è la storia di Dante e di Beatrice, dell'uomo e di Dio, della verità rivelata e della Chiesa. Il passato, il presente e il futuro stanno davanti al fortunato poeta, che là assurge a profeta meglio che in qualunque altra sosta del suo mistico viaggio:

Però, in pro del mondo che mal vive,

Al carro tieni gli occhi, e quel che vedi,
Ritornato di là, fa che tu scrive 2.

یا

Sì alti concetti non poteva l'Alighieri attingere che dal lungo studio e dal grande amore, che gli faceva cercare il volume della Bibbia, prima fonte dell'ispirazione e della concezione della seconda Cantica, come vedremo. Onde il Coli, che pur confessa insufficienti per Dante gli accenni da altri fornitigli della contiguità del Purgatorio col Paradiso terrestre, mentre nota che « la Commedia in singolar modo » è piena di ricordi biblici, ci fa meraviglia che affermi, lui il quale tanto studiò il Paradiso terrestre, che la seconda Cantica, « come concezione è quella che nella Bibbia ha meno radici » 3. Invece, secondo il nostro avviso, le ha più profonde d'ogni altra.

3

Pagana e aristotelica è la concezione dell' Inferno, e prettamente tolemaica e teologica, ed anche, se si vuole,

1 Ivi, XXXI, 135.

2 Purg., XXXII, 103-105.

3 Op. cit., pag. 24-25.

astrologica quella del Paradiso; laddove il disegno del Purgatorio s'aggira tutto sul concetto della caduta e della rigenerazione spirituale dell'uomo, ed ha per linea principale il Paradiso terrestre, meta da riconquistare con un cammino a ritroso, purgando mano mano quelle reliquie della colpa attuale, rampollata per causa del delitto d'Adamo, le quali la grazia dell'ultima ora non cancellò dall'anima pentita.

IV.

Prova di quanto affermiamo è quello che parecchi padri e dottori antichi e medievali asserirono della cacciata dei nostri progenitori dal giardino dell'Eden. Dante, come ognun sa, e cento prove ne offrono le opere di lui, pose non leggero studio nell'intelligenza della Scrittura, e ne conobbe parecchi commenti, vuoi generali, vuoi parziali.

Tra i commentatori medievali ebbe non poco nome Ruperto abate di Tuizio o Deutz, uomo dottissimo, che lasciò tra i dotti quell' adagio: Experto crede Ruperto. Vero è che l'Alighieri non lo nomina nell'opere che ci rimangono. Ma se de' primi studi di Dante, come fe' lo Scherillo', possiamo trovar la traccia de' libri che consultò, dappoichè ebbe scritto la Vita Nuova, e si pose a studiar quanto poteva per trattare più degnamente della sua donna, è impossibile tesserne il catalogo e seguire il genio del poeta, che va scovando per tutti i rami dello scibile medievale, iscegliendo fior da fiore per far più bello e più alto il poema sacro, ed è

di tal volo

Che nol seguiteria lingua nè penna 3.

Molti sono i raffronti tra i concetti danteschi e quelli d'altri

1 Alcuni capitoli della Biografia di Dante, Torino, Loescher, 1896, pag. 448 e segg.

2 Cf. Vita Nuova, § 43 ultimo.

3 Par. VI, 63-64.

scrittori non nominati dal poeta, com'è noto a' suoi cultori 1, nè per questo sono meno veri, dato pure che qualcuno sia solo casuale. Casuale invece non ci pare, ma verissimo e fondatissimo il ravvicinamento dantesco con un passo del soprannominato Ruperto; dove questi commenta l'espulsione de' due primi peccatori dall' Eden, e la custodia che Dio vi pose a guardarne l'accesso. Delle tre parti in cui si divide il regno dantesco della purgazione, ivi ci si dà la ragione del vero purgatorio in quanto è connesso col paradiso terrestre. Vedremo poi come vi si allacci l'antipurgatorio de' negligenti.

Il famoso abate, ammette che la via di andare al cielo, è il ritorno al paradiso terrestre donde l'uomo, dopo il primo fallo, fu cacciato in bando, e che la spada di fiamma versatile che lo difende non è altro che il fuoco del purgatorio. Scrive infatti che in quelle parole del Genesi: Et collocavit ante paradisum Cherubim et flammeum gladium atque versatilem ad custodiendam viam ligni vitae, « il divino scrittore toccò più brevemente e più nascosamente che non si faccia in altri luoghi della Scrittura, del giudizio del fuoco, ma in modo più terribile enunciò, chi ben vi riguardi, la difficoltà del ritorno, per cui i figli di benedizione nati in quest'esiglio, sono per grazia di Dio là richiamati 2. » Questo concetto, che non è solo di Ruperto, ma s'incontra sotto la forma letterale o allegorica presso altri padri e dottori, è da lui, meglio d'ogni altro, sviluppato e preso in senso letterale ed oggettivo, così da sostenere che veramente tutti

1 Cf. E. MOORE, Studies in Dante, S. I, II, III, Oxford, 1896 e segg.

P. TOYNBEE, Dante, studies and researches, London, 1902.

2 << Igitur, dum dicit scriptor iste divinus: Et collocavit ante paradisum Cherubim et flammeum gladium atque versatilem ad custodiendam viam ligni vitae, brevius quidem ac secretius rem attigit, scilicet judicium ignis, per quod transituri sumus, quam in plerisque Scripturae locis invenitur, sed diligenter intuentibus terribilius enunciavit difficultatem regressionis qua filii benedictionis in hoc exilio generati per gratiam Dei illuc revocantur. » RUPERTI ABBATIS, In Genesim Comm., 1. III, c. 32. Opera Omnia, Coloniae Ag. 1577, Vol. I, pag. 65.

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