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mal umore. Appunto in ciò consiste la gloria d'un santo Abate; ed egli mansuefacendo codesti dragoni e queste pantere, gli avrà un giorno come chiarissimi soli, che renderanno sfavillante il diadema della sua gloria. I miei Sacerdoti, dice Dio nel Levitico, mangeranno i peccati del mio popolo. Perchè non presentò loro piuttosto a mangiare le sue virtù? Eccone la ragione perchè la vera carità non consiste in amare e reggere i buoni; ma in soffrire e condurre amorosamente i rubesti. Ecco la pietra di paragone che dà il saggio alla vostra fedeltà verso Dio: Benefacite iis, qui oderunt vos, ut sitis filii Dei, dice S. Matteo. Se aspirate all' augusta qualità di figliuoli di Dio, bisogna che rendiate bene per male, e che si riconosca alla vostra amorevolezza l'avversione che altri vi porta. Tutto il resto, dice S. Tommaso, è soggetto ad inganni: poichè se voi fate del bene ai buoni e a quelli che v'amano, avrete in questo a compagni i barbari e i turchi: i leoni stessi e le tigri non fanno male a colui che li benefica. Come sapete voi, s'egli avvenga che amiate alcuni per natura, o per simpatia, o per secreto interesse, o per umano rispetto, oppuramente per merito loro? Ma del bene a chi vi fa male, non c'è che Dio, che vaglia a farvelo fare: quindi il merito è intero, sicuro, disinteressato; e ciò è appunto quello che Dio richiede da voi, quando vi mette alle mani un tristo suddito per governarlo.

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10. Dio non allegò agli Ebrei altra ragione dell'aver loro mosso contro gl' Iebusei, che questa: Tentat vos Deus, ut sciat utrum diligatis eum in toto corde vestro. Così dice Dio all'Abate, che ha tutto il giorno a combattere con qualche indomito religioso: Ti tento, per vedere se m' ami. E però se non vi sentite inclinato ad amare il vostro avversario, dite pure che non amate Dio. Abbiate per certo che se, in luogo di trattarlo con amore e con dolcezza, lo menate bruscamente, così operate, non per desiderio della gloria di Dio, ma per adulare la vostra impazienza, cui date nome di zelo della regolar disciplina. Provate, provate di grazia a fargli eseguire questa disciplina con piacevolezza, carità e pazienza, e non vi inducete ad alterarvi sotto qualunque pretesto, altrimenti confessate che la vostra virtù è molto fiacca.

11. Nè state a dire che tutti gli altri sono Angioli, e che il monistero sarebbe un paradiso, se non venisse turbato dal mal umore di codesto scioperato fratello. Baie dell'amor proprio! Dio conosce ciò che torna meglio a voi ed a tutt'i vostri oltre a ciò pensate che tutti questi Angeli non vi fanno tanto di bene tutt' insieme, quanto questo spirito irrequieto che vi dà tanta pena. Un giorno sarà egli forse il più gran santo della vostra casa. Considerate un poco che quanto egli fa e dice, viene soltanto da una sua cotal difficile e ritrosa natura, ma non da reo e malizioso divisamento. S. Paolo, uno dei più fieri zelatori contro la legge di Gesù Cristo, divenne un principe degli Apostoli: forse quel vostro suddito fa maggiore sforzo ed ha maggior merito a domarsi in quel pochino, che tutt' i vostri Angeli, i quali operano per una soave facilità di natura; o almeno siate persuaso che, se poco è il guadagno che ne trae per sè medesimo, a voi reca maggior utile egli solo, che tutto insieme il monistero.

12. Quand' anche voi aveste tutte le più nobili prerogative del mondo, se non possedete quel gran dono dello Spirito Santo, che è di poter sopportare le altrui indiscrezioni, voi non farete mai nulla che monti, e sarete incapace, non solo d'essere buon superiore, ma di vivere nella società degli uomini. Dice Seneca: Non est magnum beneficia dare et perdere; hoc magnum est perdere et dare. Far del bene ai buoni è cosa dolcissima e facilissima farne agl' ingrati è oltremodo increscevole e dura: ma perdere tutto il bene che si fa, non riceverne nè grado nè grazia, vederselo interpretato malignamente, e pel benefizio cresciuta la fellonia, nè lasciar perciò di beneficare, è segno manifesto d'animo eroico e divino e pur tuttavia chi è posto a governare, secondo che dice S. Gregorio, dee operare di questa guisa. Ardua impresa in vero, ma degna d'un uomo d'apostolica carità.

Si legge che S. Ignazio deliberò lungamente se fosse stato di maggior gloria di Dio il fondare un novello Ordine religioso, o l'entrare in un rilassato monistero, per adoperarsi con tutte le forze a rimetterlo nel primiero fervore: tanto eccelsa carità, riputava quel gran Santo, il sostenere con pazienza

ogni più duro travaglio, per ricomporre lo sconcerto d'una religiosa comunità!

13. Egli ci conviene pur asserire con S. Agostino, che le contraddizioni sono necessarie per la conservazione del fervore, dell'osservanza e di tutte le più belle virtù, in una casa di religiosi. Surge, dicea la sposa de' Cantici, surge, aquilo; veni, auster; perfla hortum meum, et fluent aromata. Su, levati, soffia, sbuffa, o borea, e tu, o austro, sorgi e t'avventa sulle aiuole del mio giardino, e il delizioso odor de' miei fiori diverrà più dolce e soave. Deh, perchè, o vaghissima sposa, inviti il furore dei venti sul tuo giardino? Sì, t'intendo. Tu vuoi significare con questo, che le virtù non sorgon mai così belle nel nostro petto, come quando sono agitate dal vento delle contraddizioni.

E che la cosa sia così, vediamo i nobilissimi effetti ch'esse producono nell'animo d'un buon superiore, il quale voglia valersene a suo vantaggio: per esse egli acquista

I. Un'umiltà profonda.

II. Una carità fervente.

III. Un'eroica magnanimità.

IV. Una pazienza costante.

V. Una cognizione più chiara de' suoi difetti.

VI. Un altissimo merito.

VII. Una intenzione purissima.

VIII. Una virtù disinteressata, e che tutto opera senza attender ricambio di veruna sorta.

IX. Una dolcezza somigliante a quella di Gesù Cristo.

X. Una conformità continua colla divina volontà.

XI. Un non attendere che a Dio solo.

XII. La più viva gioia nel trovar Dio nei cattivi come nei buoni, e forse meglio nei primi che nei secondi.

XIII. L'impero sulle proprie passioni.

XIV. Un animo veramente apostolico.

XV. Un cuore foggiato secondo il cuore di Dio, il quale coopera a tutt' i suoi disegni, ne andasse pur anco la propria soddisfazione.

XVI. Finalmente il mezzo più sicuro di divenire un gran santo del paradiso, sopportando volentieri le infermità di coloro, che sopportan le sue. Ed in ciò propriamente consiste quell'aurea regola della perfezione: Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi.

Laonde non saprei meglio conchiudere il mio ragionamento, che ripetendo la sentenza di Tommaso da Kempis: Beatus qui pro contrariantibus sibi libenter orat, et ex corde culpas indulget, et facilius miseretur, quam irascitur.

CAPO VIII.

S. Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, modello
d'un perfetto superiore.

Si potrebbe difficilmente trovare a' nostri giorni chi meglio di S. Francesco di Sales c' insegnasse, come debba condursi un ottimo superiore inverso i suoi sudditi. Leggendo la sua vita, chiaramente si vede, ch' ella è un tessuto delicatissimo de' più belli esempii d'una carità e d'una dolcezza senza pari.

1. Egli soleva dir sorridendo, d'essere onnipotente; poichè da una parte non volea che quel che volea Dio suo Signore, e dall' altra non richiedeva dagli uomini, se non ciò che potean fare nella lor debolezza. Non pretendeva in un giorno ciò che si sarebbe potuto aspettare in un mese e se non bastava, sosteneva pazientemente di coglierne il frutto in capo all'anno. La dolcezza e la longanimità vince ogni durezza.

2. Quando gli si lodava assai qualche religioso, siccome uomo dolce, mite e pieno di virtù, domandava tosto, s'egli avesse qualche carico di superiore poichè solea dire, che v' han molti, i quali sono virtuosi, mentre non hanno altro a fare che reggere sè medesimi. E dicea vero, mercecchè in parecchie persone la virtù non è altro che cessazione di vizio : ma se entrano in battaglia e si trovano nella dura mischia del governare altrui, allora si conosce a prova se abbiano il valor vero e la vera carità: allora si scorge se abbiano una solida umiltà per sopportare il disprezzo, una savia prudenza per at

tendere con maturità il tempo opportuno all'operare, e se sappiano reprimere quel falso zelo, ch'è una mascherata impazienza. Di qui ben chiaro si vede se l'uomo è forte nel vincere sè medesimo, e nel frenare i proprii affetti. Tutto il resto non è che simulazione di virtù.

3.

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Monsignore, diceagli taluno, ma vi par egli degno di voi e del debito vostro, il correr dietro sì spasimatamente a quel forsennato di Beza, ch'è un sì scaltro furfante? E pur voi, dimentico de' più importanti negozii della Diocesi, lo visitate, lo accarezzate, gli parlate con tanta benignità, che tutt' i buoni ne vanno altamente scandalizzati. E il santo Vescovo, rivolto a cotesti importuni censori, con una dolcezza di volto piena d'un sorriso di compassione, rispondea loro: - Poveri noi, se Gesù Cristo v'avesse avuto a consiglieri, ed avesse seguito i vostri ammaestramenti! Che sarebbe di noi, poichè Gesù diceva ch'era venuto in cerca de' peccatori, e che per uno di essi avrebbe lasciato novantanove giusti? Che sarebbe di noi? E questo meschino di Beza non è egli la pecorella traviata del Vangelo? Lasciatemegli correr dietro. Per poterlo raggiungere, io vi cederei tutte le mitre del mondo.

4. Monsignore, ripigliavano altri, abbiatevelo in pace, ma siete troppo buono e troppo dolce: i cattivi abusano la vostra bontà, e si fanno gioco della vostra dolcezza. Sembra che i più ribaldi siano i meglio accolti in casa vostra per essi non v'è anticamera, per essi ogni porta è spalancata, le vostre braccia sono sempre aperte; ve li abbracciate, ve li accarezzate e baciate come fossero i più sviscerati amici vostri. E pure li conoscete, le triste volpi che sono. Deh, rispondeva egli placidamente, quant' è soave cosa l' andar dannati per soverchia dolcezza! Perchè adunque Dio padre si fa chiamare il Dio delle misericordie? Il divin Figliuolo gradisce d'esser nominato agnello senza fiele; e lo Spirito Santo dilettasi d'esser adombrato sotto l' immagine della colomba, ch'è simbolo della dolcezza? Se vi fosse cosa migliore di questa infinita soavità di Dio, egli ce l'avrebbe insegnata. Impariamo adunque

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BRESCIANI Vol. I.

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