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doveano tornare opportuni negli edificj di Modena Romana, il cui suolo sarà stato umidoso ab antico, del pari che al presente, e forse anche più. In riguardo per altro alla forma quadrata, ed alla dimensione bipedale de' nostri mattoni Cartoriani, potrà parere più verisimile, che fossero fatti specialmente per la costruzione de' pavimenti sospesi degl'ipocausti, sorretti da pilastrini equidistanti, e disposti per modo, che si potesse collocare sopra essi tegole o mattoni bipedali (Vitr. v, 10); in tale ipotesi però non vedesi chiara la ragione della particolarità della cornicetta che ricorre attorno alla superfice liscia de' mattoni Cartoriani, la quale nella costruzione degl' ipocausti non sarebbe restata in vista, e per essere esposta all'azione del calor delle fiamme, pare non ricevesse il rinzaffo.

I frammenti assai copiosi di tavole e di cornici marmoree, con alcuni di colonne e d'altri membri architettonici, per la maggior parte sono di marmo Greco di varie grane, con pochi altri di marmo di Carrara, delle cave de' Laghi e di Verona: non senza qualche pezzetto di marmi peregrini e preziosi. Più abbondanti sono i pezzi di pietra tenera, di colore più o meno bianco, delle cave di Costoza o d'altre de' colli Euganei, che pare senza meno l'albus lapis, ovvero tophus albus della Venezia, che, a detto di Plinio (XXXVI, 48) e di Vitruvio (11, 7), etiam serra dentata, uti lignum, secatur. Gli avanzi di questa pietra, il cui trasporto e lavoro tornava tanto più facile e men dispendioso, spettano probabilmente ad edificj più antichi degli altri, in cui si profuse l'ornamento

delle incrostature marmoree, che appellano ai tempi dell'impero, anche inoltrato. Sa ognuno, come Augusto pel primo ornò Roma di tanti edificj marmorei, ut iure sit gloriatus, marmoream se relinquere, quam lateritiam accepisset (Sueton. Aug. 28): e Plinio (XXXVI, 7) ne attesta che l'uso di segare il marmo in sottili lamine, per incrostarne le pareti, in Roma stessa non fu anteriore a Giulio Cesare, il cui Prefetto de' Fabri primum Romae parietes totius domus suae crusta marmoris operuit (cf. Lopez, Teatro antico di Parma p. 9-11). I nostri frammenti di tavole e lamine marmoree variano, nella grossezza, dai centimetri 5 a 7 in 8 millimetri; alcuni mostrano chiaro indizio dello scalpello, altri della sega: e questi, che sono i più sottili, servirono senza dubbio per l'incrostature delle pareti. Tanto era frequente l'uso di esse, che in Pompei trovansene talor rivestiti anche i poggiuoli delle botteghe (Bull. Arch. Napol. Anno 111, p. 4, 10). Altri, di grossezza media, che ricevettero il pulimento da ambe le facce, pare che facessero parte di mense marmoree collocate in qualche edificio pubblico od anche privato (v. De Lama, Iscr. di Velleia p. 27: Avellino, Bullett. Archeol. Napol. Anno 11, p. 87). Anche le cornici di marmo, che per la maggior parte sono di piccole dimensioni, non oltrepassando 10 centimetri in altezza e 13 in profondità, sembrano, per la più parte, avere appartenuto ad edifici privati (v. Bullett. Archeol. Napol. Anno II, p. 87). Sono di maniere molto svariate, per lo più semplici e di buon gusto. Di colonne non si rinvenne altro avan

zo, che uno scheggione di grande colonna scanalata, di pietra tenera de' colli Euganei. Le tre scanalature (striae), che sole rimangono, hanno ciascuna centimetri 5 in larghezza; ed i pianuzzi (striges), frapposti ad esse, sono larghi 19 millimetri; onde, se la colonna ebbe xxiv scanalature, quante ne prescrive Vitruvio (III, 3, sect. 62), essa veniva ad avere un perimetro di circa 160 centimetri (22). Notevoli mi parvero anche un frammento di marmo che mostra aver fatto parte della base di una colonnetta ottagona, della misura di centimetri 7 per ogni lato (23); altro con bel fogliame,

(22) La larghezza de' pianuzzi (striges) viene ad essere circa una terza parte di quella delle scanalature; e consta dall' osservazione di altri antichi monumenti, che la larghezza de' pianuzzi medesimi varia tra la terza e la quarta parte della larghezza delle scanalature (Stratico, ad Vitruv. 111, 3, s. 62; cf. Nardi, Arco di Rimino p. 27). Vitruvio (l. c.) vuole, che le scanalature si facciano per modo, che norma, in cavo striae cum fuerit coniecta, circumacta ita anconibus striarum dextra ac sinistra angulos tangat, ut acumen normae circum rotundatione tangendo pervagari possit. Quelle del nostro frammento sono assai meno profonde di quello che richiede la suddetta regola, fors' anche per ovviare al pericolo della frattura de' pianuzzi, o risalti, in pietra sì tenera e fragile.

(23) Nel mezzo dell'area del peristilio di una casa di Pompei trovaronsi avanzi di sei colonnette di fabbrica con rivestimento d' intonaco, che dava loro una forma ottagona (Avellino, Casa di Pompei con capit. fig. p. 3o; cf. Bullett. Arch. Nap. Anno 111, p. 3). Negli ultimi nostri scavi del Pelatoio si rinvenne pure, ma a poca profondità, un grande capitello di pietra tenera de' colli Euganei, non finito, ovvero lasciato così a pena sbozzato per rivestirlo poscia di stucco o

che spettar dovette ad un capitello di pilastro Corintio; ed altro con scanalature poco profonde, che forse rivestiva un pilastro leggermente sporgente dal muro (cf. Avellino, Casa di Pompei con capit. fig. p. 23). Ma il pezzo forse più interessante di tutti in questo genere, si è una tavoletta rettangolare di marmo bianco larga centimetri 24, ed alta 30, benchè frammentata alquanto nella parte superiore. In una delle due facce è sculta a bassorilievo rappresentante uu vaso a due anse, posto di mezzo a fogliami e rosoncini architettonici, al quale sovrasta un volto di putto o genietto fornito di due alette sotto la gola, che restano in parte coverte da pianticelle e fiori che escono dalla sommità del vaso medesimo (24). Il volto del

d'altro intonaco (tectorio inducto, Cic. in Verr. 1, 55). Alcuni frammenti architettonici, della stessa pietra, con indizj che fossero similmente rivestiti di stucco, trovaronsi l'anno scorso a Macreta, in un predio del Seminario Vescovile di Modena, insieme con una base quadra, nella cui grossezza leggesi: QGAVIVS BILLVS, che pare reggesse una statua, perchè ivi stesso si rinvenne un pezzo di marmo in forma di tronco d'arbore, quale suol essere quella de' sostegni od appoggi delle antiche statue isolate (v. Bullett. Arch. 1844, p. 181).

A

(24) Si trovò tutta intrisa di calce tenacissima dalla parte sculta, e logora da lungo attrito nella faccia opposta, che peraltro serba alcune piccole cavità, che paiono avanzo della primitiva scabrosità datale per vie meglio affiggerla al suo posto. Siccome essa si scoperse negli ultimi scavi del Pelatoio fra le ruine ov' erano que' pilastrini, che sostenevano un pavimento a musaico di costruzione secondaria; così parmi assai verisimile che la tavoletta stessa, tolta da un edifizio già ruinato, vi fosse posta in opera a rovescio, per servir di tas

putto alato è simile a quello che vedesi sculto per ornamento dei calzari in sul collo del piede di una statua di Bacco presso il Visconti (Mus. PioClem. T. IV, Tav. agg. B, 1, 4), che lo reputa Genio Bacchico; e l'insieme della composizione ricorda le parole di Vitruvio che si lagna de' capricci dei dipinti parietarii, invalsi fin da que' tempi, fra' quali, ex colicolis flores dimidiata habentes ex se exeuntia sigilla, alia humanis, alia bestiarum capitibus (Vitr. VII, 5). Analogo alla nostra tavoletta, che pare avere servito d'ornato architettonico, si è un capitello antico, scopertosi nel Perugino, con foglie d'acanto che vanno a finire in teste di putti e di putte, alternate (Gori, Mus. Etr. T. 111, P. III, Tab. 27). Vuolsi pur ricordare l'unico frammento di marmo scritto trovatosi negli ultimi scavi del Pelatoio, che formava l'angolo superiore, a destra, di una sottile tavola di marmo, e che serba sole le seguenti lettere di forma assai bella, ma tendente al manierato. Le lettere MI, che non capivano nello spazio estremo della prima linea, sono legate in

nesso.

: RIMI

IBI

sello, onde restasse intrisa di calce al disotto e logorata al disopra. Il pavimento dell' orchestra dell' antico teatro scopertosi a Parma era di robusto battuto, seminato a larghi tratti di piccole lastre di marmi svariati (Lopez, p. 6); e quello del tablino di una casa di Pompei, fu posteriormente interrotto con quattro tasselli di marmo (Avellino, Casa con capit. fig. p. 23).

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